517 – 2017 I 1500 anni della biblioteca Capitolare di Verona

Dopo la distruzione delle famose biblioteche di Alessandria e di Pergamo, la Biblioteca Capitolare di Verona resta la più antica di tutto il mondo ancora attiva.

Essa trae origine dalla Schola Sacerdotum Sanctae veronensis Ecclesiae (cioè dal Capitolo Canonicale della Cattedrale), che aveva il duplice compito di prestare servizio liturgico in Duomo e di preparare culturalmente i nuovi sacerdoti.

Il Palazzo del Canonicato, situato alla sinistra del Duomo di Verona, accoglie nelle sue sale il Museo Canonicale e la Biblioteca Capitolare. È certo che l’officina libraria (Scriptorium) era attiva il 1° agosto dell’anno 517, quando regnava in Italia Teodorico il Grande.
Questa data fu apposta da un sacerdote amanuense su un codice della Capitolare, che aveva appena terminato di trascrivere: un prezioso manoscritto sulla vita di San Martino e San Paolo eremita, ancor’oggi conservato nella Capitolare. Questo codice non è però il testo più antico in essa conservato.

Il Codice di Ursicino, prezioso tomo in pergamena custodito alla Biblioteca Capitolare di Verona e terminato l’1 agosto 517 dall’amanuense di cui porta il nome. (Foto: www.capitolarediverona.it)
Il Codice di Ursicino, prezioso tomo in pergamena custodito alla Biblioteca Capitolare di Verona e terminato l’1 agosto 517 dall’amanuense di cui porta il nome. (Foto: www.capitolarediverona.it)

Le sue millenarie sale hanno portato sino ai nostri giorni anche le Istruzioni di Gaio, l’unico testo al mondo di diritto romano che è pervenuto sino ai giorni nostri pressoché completo, oltre ad una edizione del De Civitate Dei di Sant’Agostino, contemporanea all’autore (V secolo), l’Evangeliario Purpureo sempre del V sec.
I numerosi manoscritti presenti confermano che anche durante i secoli successivi l’officina fu molto attiva, in particolare nel IX secolo sotto la guida dell’Arcidiacono Pacifico. Un uomo di grande cultura e versatile in tutti i campi del sapere che diede notevole impulso allo scriptorium, nel quale furono composti ben 218 volumi; una cifra incredibile per l’epoca, quando bastavano un centinaio di volumi per formare una biblioteca reale.

La facciata della Biblioteca Capitolare di Verona
La facciata della Biblioteca Capitolare di Verona

Nel duecento la Capitolare iniziò ad assumere la fisionomia di vera e propria biblioteca, con ambienti di conservazione, studio e consultazione. I Canonici della Cattedrale possedevano ormai un tale numero di volumi riguardanti le varie branche del sapere da poterli anche prestare alle altre chiese, per favorire la formazione del Clero, mentre le sue sale diventarono un centro di aggregazione culturale, come testimoniano le presenze di Dante Alighieri (1320) e Francesco Petrarca (1345), che vi trovò un codice delle lettere di Cicerone (ad Attico, Quinto, Bruto) che lo spinse a far rinascere il genere letterario degli epistolari.

Una delle sale della Capitolare
Una delle sale della Capitolare

La biblioteca fu attiva fino al seicento, quando venne smarrita la parte più antica della raccolta che era stata spostata in attesa di darle nuova sistemazione: nel 1630 la Peste colpì Verona, uccidendo quasi due terzi degli abitanti, tra cui anche il bibliotecario che aveva nascosto i preziosi manoscritti.
Furono ritrovati solo nel 1712, dopo una meticolosa ricerca effettuata da Scipione Maffei; l’interesse destato dalla riscoperta portò a costruire la nuova sede della Biblioteca Capitolare, che nel 1781 fu ampliata per accogliere le donazioni che seguitavano a pervenire.
Dopo aver superato la cupidigia di Napoleone Bonaparte, che asportò svariati preziosi manoscritti per rifornire la Biblioteca Nazionale di Parigi, l’inondazione del 1882 che imbrattò di fango le sue pergamene, e i bombardamenti angloamericani del 1945 che la rasero al suolo, la Biblioteca Capitolare di Verona conserva ancora oggi nei suoi archivi ben 1.200 manoscritti, 245 incunaboli, 2.500 cinquecentine, 2.800 seicentine, 11.000 pergamene ed oltre 72.000 volumi… di valore inestimabile sotto il profilo economico ma sopratutto culturale.

Biblioteca Capitolare dopo i bombardamenti anglo americani del 1945
Biblioteca Capitolare dopo i bombardamenti anglo americani del 1945

Vi troviamo il famoso Indovinello Veronese, un testo in corsiva nuova vergato da un ignoto copista tra l’VIII secolo e l’inizio del IX in forma d’appunto, a margine di una pergamena contenente un codice più antico. È forse il più antico testo pervenuto che usi lingua romanza (i Giuramenti di Strasburgo sono datati a cinquant’anni più tardi) e rappresenterebbe un possibile atto di nascita del volgare in Italia.
Non tutti gli studiosi sono concordi e alcuni ritengono che si tratti ancora di latino (pur se con le evidenti aberrazioni), come dimostra il fatto che il testo ha bisogno di una traduzione in italiano.
Luigi Schiaparelli lo rinvenne sul recto del folio 3 del codice LXXXIX, l'”Orazionale mozarabico”, custodito nella Capitolare di Verona, nel 1924. Il codice è di provenienza spagnola, sicuramente di Toledo, poi portato a Cagliari, poco dopo la conquista araba del Regno di Toledo (711), in seguito a Pisa negli anni trenta dell’VIII secolo, prima di raggiungere Verona.
Che la mano che lo ha vergato fosse veronese, probabilmente di un amanuense della stessa Capitolare, è stato attestato da un esame filologico che dimostra la presenza di tratti tipici del dialetto veronese (come versorio = aratro e i verbi all’imperfetto indicativo in -eba invece dell’-aba o -ava di altri dialetti).
All’indovinello si accompagna un testo (riga 3), stavolta in latino più sorvegliato: si tratta di una formula canonica di benedizione in latino, esterna all’indovinello, ma che gli studiosi hanno utilizzato, talvolta in maniera contrastante, per avallare le proprie ipotesi linguistiche.

Il folio contenente il famoso Indovinello Veronese
La soluzione all’indovinello

Vi troviamo anche l’Iconografia Rateriana. E’ questa una copia di un’immagine di Verona contenuta in un codice medievale del monastero di Lobbes, poi andato perduto. La copia conservata alla Biblioteca Capitolare di Verona fu riportata in Italia dallo studioso Scipione Maffei. L’attributo “rateriana” associato all’iconografia deriva dal fatto che gli studiosi ritengono che tale codice sia stato compilato per iniziativa del vescovo di Verona Raterio, attorno alla metà del X secolo. Tuttavia sono state avanzate nella storiografia tre proposte cronologiche principali:
1) l’ipotesi di Carlo Cipolla, seguita dalla maggior parte degli interpreti, di ricondurre l’immagine all’età di Berengario I (888-924), basata, tra l’altro, sul riconoscimento della chiesa dei Santi Siro e Libera presso il Teatro romano, fondata tra il 913 e il 922 (identificazione, invero, non sicura)
2) l’ipotesi di Silvia Lusuardi Siena di considerare l’Iconografia come l’apografo di una figurazione del VI secolo, forse del palazzo di re Teodorico. L’Iconografia rappresenterebbe le opere promosse dal sovrano a Verona, poste in primo piano dalle didascalie
3) l’ipotesi di Xavier Barrali Altet di ascrivere l’Iconografia direttamente a Raterio

Iconografia Rateriana
La prima immagine integrale conosciuta di una città medioevale, nota come “Iconografia Rateriana”
Nel convegno tenutosi a Castel Vecchio nel 2009, più di un relatore ha sostenuto che questa immagine di Verona potrebbe essere quella dei tempi di Teodorico.

Tra i vari gioielli anche l’Evangeliario purpureo scritto con eleganti caratteri onciali in oro e argento su pergamena sottilissima di color porpora. Il manoscritto, considerato il più antico esemplare dopo il vercellese, riporta la versione vetus latina dei vangeli di Matteo, Giovanni, Luca e Marco

Da sempre fu considerato un libro particolarmente importante tanto da essere portato in processione nel venerdì santo, sorretto da un sacerdote accompagnato da due chierici con ceri accesi. Anche San Bernardino lo vide durante le sue predicazioni e ne rimase talmente colpito dalla sua bellezza che finì col descriverlo nella predica del giovedì santo sopra i misteri del nome di Gesù.

Evangeliario purpureo veronese
Evangeliario purpureo veronese (foto: www.larena.it)

Non va dimenticato nemmeno il  Codex  LI  Espositio in Evangelia, Tractatus, Sermones in scrittura onciale su pergamena giallastra del secolo V. Si tratta di un omeliario contenente passi biblici, patristici, brani evangelici accompagnati da sermoni tratti da numerosi scrittori ecclesiastici. Attribuito all’ariano Massimino che, nel V secolo, partito da Ravenna per l’Africa fu dotto interlocutore di sant’Agostino, la sua importanza è dovuta in gran parte alle glosse marginali in gotico che, benché abrase, emergono alla luce delle lampade a raggi ultravioletti. , contengono espressioni teologiche tipiche della religione ariana che essi seguivano. In epoca successiva, le postille vennero studiate e, risultando contrarie alla nostra religione e di conseguenza giudicate eretiche, vennero cancellate.  Secondo Giovanni Montanari, noto studioso di liturgia antica, il codice è una straordinaria evidenza della pratica liturgica ariana.

La Biblioteca Capitolare di Verona è un gioiello che i veronesi, come loro propensione, tengono celato, lasciando al turismo di massa l’ormai inflazionato percorso Arena – Casa di Giulietta e custodendo con amore e gelosia altri semisconosciuti gioielli. Ma se avrete la sensibilità per entrarvi in punta di piedi, potrete visitarla dal martedì al sabato mattina 9.30-12.30 e nel martedì e venerdì anche nel pomeriggio 16.00-18.00. Si consiglia di controllare l’orario della biblioteca nel periodo estivo.

 

Biblioteca Capitolare di Verona Piazza Duomo, 13

tel. +39 045 596516

bibliotecacapitolare@virgilio.it

www.capitolareverona.it

Taggato , , , , , , , , . Aggiungi ai preferiti : permalink.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.