I catastrofici eventi del VI secolo

Leggendo di storia altomedievale italiana nei testi scolastici si riceve la sensazione di un periodo di disfacimento istituzionale con effetti ampi sui territori urbani e soprattutto rurali. La mancata manutenzione di opere pubbliche, come acquedotti e strade, il sopravvento dell’incolto boschivo sui campi coltivati, l’impaludamento delle aree precedentemente bonificate, la mancata difesa del territorio dagli invasori, vengono fatti astrattamente risalire alla cosiddetta “caduta dell’Impero Romano di Occidente nel 476”, come se all’improvviso e da una data precisa, la mancanza di un riconosciuto imperatore d’occidente avesse gettato nel panico e nell’ignavia tutte le competenze distribuite sul territorio.

Eruzione del vulcano Eyjafjöll, fotografata da vicino nel 2010. (Foto: Sigurður Stefnisson)
Eruzione del vulcano Eyjafjöll, fotografata da vicino nel 2010. (Foto: Sigurður Stefnisson)

E’ facile comprendere che non può essere andata veramente in questo modo.

Da un lato, come abbiamo già avuto modo di dire altrove, il declino del potere imperiale, e conseguentemente della gestione del territorio, fu più graduale, mentre l’insediamento di Odoacre come re d’Italia e l’arrivo successivo degli Ostrogoti di Teodorico non furono vere e proprie invasioni, quanto piuttosto sostituzioni ai vertici di comando, nel secondo caso addirittura in accordo con la parte orientale dell’Impero.

D’altro canto è vero che, successivamente a questi eventi, l’Italia invasa dai Longobardi era scarsamente popolata e conseguentemente mal gestita nelle attività produttive, per non dire che non venne quasi difesa dall’avanzata nemica. Ma quali furono gli elementi che condussero a tale stato?

Il regno Goto

La situazione durante il regno Goto non doveva essere molto differente da quella del tardo periodo imperiale. Teodorico diede anzi il suo contributo alla costruzione di nuovi edifici e alla ricostruzione di cinte murarie e riparazione di acquedotti, nonché al rafforzamento di strutture difensive come il tractus  Italiae circa alpes. Con il supporto di consiglieri di cultura greco-romana, sopra tutti Boezio e Cassiodoro, la sua opera legislativa e amministrativa della penisola determinò anzi una continuità con il precedente periodo.

Con le parole di Procopio di Cesarea, segretario e consigliere del generale bizantino Belisario e testimone dell’epoca:

“Non volle invero egli investirsi né del titolo né delle insegne dell’ imperatore romano, e visse portando il titolo di « rex » (che così sogliono i barbari chiamare i loro principi); nel governo però de’ suoi sudditi usò di tutti gli attributi, quanti sono più essenzialmente imperiali. Poiché prese grandissima cura della giustizia e ferma mantenne l’osservanza delle leggi, e il territorio custodì ben difeso contro i barbari confinanti, avendo toccato il sommo se altri mai così del senno come del valore. Né quasi mai avvenne ch’egli facesse torto ad alcuno de’ suoi governati, né che ad altri permettesse di tanto osare, salvo questo che i Goti si spartirono fra di loro quella parte delle terre che Odoacre avea concessa ai suoi complici di ribellione. Tiranno era Teoderico di nome, ma di fatto era un vero e proprio imperatore, non punto inferiore ad alcuno di quanti in quella dignità ne’ primi tempi di essa si distinsero : e grande affetto portarono a lui e Goti e Italiani, diversamente dal comune uso umano. Poiché ne’ reggimenti politici volendosi sempre da chi una da chi un’altra cosa, avviene che chi esercita il potere riesca tosto gradito a quanti il suo operato compiace, dispiaccia invece a coloro di cui avversi il volere. Rimasto in vita per trentasette anni, venne a morte dopo essere stato spavento de’ nemici tutti, e lasciando un rimpianto di sé fra i sudditi.”

Procopio di Cesarea - Istoria delle guerre goticheLibro primo - Capo I (traduzione Domenico Comparetti, 1895)

Non fu dunque l’avvento del regno “barbarico” in sé a immiserire la penisola italica, sebbene alcuni autori puntino il dito sulla questione dell’espropriazione terriera come elemento destabilizzante.
Gli storici leggono nei documenti lasciatici dai cronisti dell’epoca un fenomeno di distribuzione dei territori alla popolazione gota, nell’ordine di un terzo. Anche se qualcun altro tende a interpretare i testi con la sola distribuzione della rendita economica, ovvero delle imposte fondiarie, l’opinione più diffusa interpreta invece in modo letterale quanto ci racconta Procopio, ossia che Teodorico “permise ai Goti la spartizione fra loro dei coltivi da Odoacre già accordati alle genti della sua fazione”.
Più interessante dal nostro punto di vista è comprendere cosa comportasse questa distribuzione di terreni a beneficio dei Goti, dal punto di vista sociale, economico e amministrativo.

Alcuni commentatori individuano nella questione della distribuzione terriera un elemento di conflitto, diretto o indiretto, tra la popolazione italica e quella gota. A dispetto di quanto lo stesso Procopio e Cassiodoro nelle sue Variae ci lasciano intendere, in effetti la convivenza tra etnie non dovette essere così pacifica.
Le usurpazioni a discapito di strutture ecclesiastiche o di proprietari italici risultano da documenti di varia natura, ma osservando il territorio nel suo complesso, la questione se i proprietari goti acquisissero maggiori estensioni di quanto concesso inizialmente a danno delle popolazioni locali e con quali conflittualità derivate, non compromette la produzione o il buono stato delle aree agricole e boschive. Al contrario, appare piuttosto evidente che con la pacificazione portata dal regno teodoriciano e l’assestamento della classe militare nei nuovi territori e nelle nuove proprietà, si avviasse una fase di maggior fioritura economica in cui la penisola era centro sia di consumo che di produzione.

Qualcosa di più devastante dovette accadere e non fu nel V secolo, ovvero a seguito della fatidica data da tutti nota, ma piuttosto nel VI secolo. Qualcosa di talmente devastante da consentire ai Longobardi, nell’ultimo trentennio di questo medesimo secolo, di entrare e dilagare in Italia praticamente senza colpo ferire.

Le guerre Greco-gotiche

L’elemento che viene comunemente citato per giustificare il depauperamento della penisola sono le famigerate guerre greco-gotiche, ovvero quel periodo di ben 18 anni, tra il 535 e il 553, in cui tutto il territorio si trasformò in teatro di guerra tra le truppe bizantine di Giustiniano e gli effimeri eredi del regno di Teodorico.
Si legge in alcuni autori che queste guerre furono causa di così tanti morti, saccheggi e devastazioni da decimare la popolazione italiana e indebolire a tal punto le forze dei romani d’oriente, da consentire in seguito la presa del territorio da parte longobarda con estrema facilità.

Nella sua cronaca del lungo conflitto Procopio di Cesarea ci lascia numeri effettivamente impressionanti. Nel solo episodio della presa di Milano da parte del re goto Uraia, nel 539, ci racconta dello sterminio di tutta la popolazione maschile della città, 300.000 uomini, sebbene la storiografia moderna rettifichi il numero a 30.000. I numerosi episodi di lunghi assedi da parte gota ad alcune città, conducono al computo di parecchie decine di migliaia di morti per fame, oltre alla narrazione di orribili ed estreme conseguenze della carenza di cibo, come i resoconti dei casi di cannibalismo nella città di Piacenza.

Appare evidente che la requisizione delle derrate alimentari per sostenere gli eserciti e l’impossibilità di coltivare i campi da parte delle popolazioni in fuga o rifugiate in borghi e città munite di difese, abbiano determinato una carestia di beni alimentari. Certamente questo comportò maggior incidenza di malattie e morte, anche in assenza di atti bellici diretti.

La Peste Giustinianea

Altri commentatori ricordano anche l’effetto della Peste, cosiddetta Giustinianea dal nome dell’imperatore Giustiniano che regnava all’epoca del suo insorgere. In realtà il morbo si presentò ciclicamente a partire dal 541 ogni 12-15 anni, scatenando epidemie in varie regioni del Mediterraneo. In base alle cronache dell’epoca le ondate periodiche del terribile morbo si rinnovarono fino al 750, come riporta lo studioso  Lester K. Little nel suo Plague and the End of Antiquity: The Pandemic of 541-750.

La portata mortale dell’epidemia è molto ben descritta soprattutto per quanto riguarda Costantinopoli e le aree circostanti nella prima ondata epidemica. Dai vari autori, come Procopio di Cesarea e Giovanni di Efeso, e dalle stime contemporanee, risulta una mortalità oscillante tra il 40% e il 60% della popolazione nell’arco dei quattro mesi in cui la peste imperversò nella capitale dell’Impero.

Area di diffusione della peste tra VI e VIII secolo
Area di diffusione della peste tra VI e VIII secolo (da www.infectiologie.org.tn

Meno precise le valutazioni dell’impatto per quanto riguarda la nostra penisola, che però fu ripetutamente colpita da ondate epidemiche, probabilmente a causa dei frequenti contatti, soprattutto navali, con le sponde mediorientali. In quell’area infatti le recrudescenze della peste furono, sempre secondo Little, più frequenti che in Europa.

La fonte diretta per l’Italia è Paolo Diacono che ci racconta nella sua Historia Langobardorum, libro IV

IV – DELLA PESTE PRESSO RAVENNA; DELLA GUERRA DI CHILDERICO CON IL FIGLIO ILPERICO E DI PORTENTI AVVENUTI

Quell’anno vi fu di nuovo una epidemia di peste bubbonica nella zona di Ravenna, a Grado e nell’Istria e fu molto grave, come già lo era stata trent’anni prima. In quel tempo inoltre Agilulfo concluse la pace con gli Avari. ….

XIV – DELLA PESTE NEL TERRITORIO DI RAVENNA E DELLA MORIA IN QUELLO DI VERONA

Dopo questi avvenimenti di nuovo una gravissima pestilenza portò la devastazione in Ravenna e fra la gente che abitava lungo il litorale marino. L’anno seguente una violenta moria s’abbatté sugli abitanti del Veronese.

Questi eventi si collocano entrambi dopo l’incoronazione a re di Agilulfo, evento che accadde nel novembre 590, il riferimento all’epidemia accaduta trent’anni prima si colloca ancor prima della discesa longobarda in Italia e poco dopo il termine delle guerre greco-gotiche.

Paolo Diacono, negli stessi capitoli, cita anche anni di siccità, invasioni di cavallette e inverni particolarmente rigidi. Sembra dunque che si trattasse di un periodo veramente poco felice per l’Europa e per l’Italia in particolare.

Il velo che oscurò il sole

L’evento che invece viene più raramente ricordato è l’eruzione vulcanica che attorno al 536  determinò una diffusione di polveri e ceneri tale da “privare il sole dei suoi raggi”, secondo quanto riporta lo stesso Procopio di Cesarea nella sua Istoria delle guerre vandaliche, Libro secondo, Capo XIV, che Wikisource ci propone nella traduzione di Giuseppe Rossi del 1832:

“II. Nella vernata adunque Belisario fe dimora vicin di Siracusa, ed in Cartagine Salmone. Tutto quest’anno fu eziandio segnalato da un grandissimo prodigio, apparendo il sole privo di raggi a simiglianza della luna, e quasi il più dei giorni cercaronlo indarno gli umani sguardi; spoglio pertanto dell’ordinario chiaror suo risplendeva oscuro e fosco anzi che no: presagio, al tutto verificatosi, d’imminente guerra, di peste, fame e d’ogni altro malore correva in quello stante l’anno decimo dell’imperatore Giustiniano”.

Considerando che Giustiniano divenne imperatore il 1º agosto dell’anno 527, il corso del suo decimo anno dovrebbe collocarsi tra il 536 e il 537.

Ne abbiamo traccia anche nell‘epistola 25 delle Variae di Cassiodoro che tuttavia è variamente datata dagli studiosi tra il 533 e il 538.

“Dal momento che il mondo non è governato dal caso, ma da un Divino governo che non cambia i suoi scopi a caso, gli uomini sono naturalmente allarmati dai segni straordinari che colgono nei cieli, e chiedono con cuore ansioso quali eventi essi possano sottendere. Il Sole, prima delle stelle, sembra aver perso la propria luce abituale, e appare di un colore bluastro. Ci meravigliamo di non vedere l’ombra del nostro corpo a mezzogiorno, e di sentire il possente vigore del calore solare sprecato in debolezza, e di cogliere fenomeni che accompagnano un’eclissi transitoria prolungarsi per un anno intero. Inoltre la Luna, anche quando è piena, è priva del proprio naturale splendore.

Strano è fin qui stato il corso dell’anno. Abbiamo avuto un inverno senza tempeste, una primavera senza mitezza e un’estate senza calore. Cosa possiamo sperare per il raccolto, se i mesi che avrebbero dovuto maturare il grano sono stati raffreddati dalla bora? Cosa produrrà l’abbondanza se la terra in estate non si scalderà? Cosa farà aprire le gemme se la pioggia madre non riprenderà? Queste due influenze, il gelo prolungato e la siccità inopportuna, appaiono in conflitto con tutte le cose che crescono. Le stagioni sono cambiate divenendo immutabili e ciò che le piogge intermittenti potevano causare, la siccità da sola non può certo produrre.”

Negli ultimi decenni le fonti storiche sono state sostenute dalle ricerche scientifiche. Nel 1994 il dendrocronologo Mike Baillie , della Queen’s University di Belfast , individuò una crescita eccezionalmente piccola nella quercia irlandese nel 536 e un altro brusco calo nel 542, dopo una parziale ripresa.

Da quando gli studi sugli anelli di accrescimento degli alberi negli anni ’90 hanno suggerito che le estati intorno all’anno 540 fossero insolitamente fredde, i ricercatori ne hanno cercato la causa.
Nel 2015 le carote di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide hanno restituito un indizio. Quando un vulcano erutta, emette zolfo, bismuto e altre sostanze in alto nell’atmosfera, dove formano un velo aerosol che riflette la luce del sole nello spazio, raffreddando il pianeta. Confrontando le evidenze conservate nel ghiaccio di tali tracce chimiche con i risultati della dendrometria, un team guidato da Michael Sigl, ora dell’Università di Berna, ha rilevato che quasi ogni estate insolitamente fredda negli ultimi 2500 anni è stata preceduta da un’eruzione vulcanica. Un’enorme eruzione, forse in Nord America, suggerì la squadra, spicca tra la fine del 535 e l’inizio del 536, seguito da una successiva nel 540.

Nel 2016 una conferma di queste date è giunta dallo studio di Ulf Büntgen dello Swiss Federal Research Institute a Birmensdorf in Svizzera, e colleghi internazionali, pubblicato su Nature Geoscience. Gli studiosi hanno usato criteri di dendrocronometria, hanno analizzato cioè lo spessore degli anelli di accrescimento degli alberi delle Alpi europee e delle montagne dell’Altai, in Russia. Questa regione è ancora ricoperta per il 60% circa da alberi, in particolare larici, e le temperature rigide preservano il legno di quelli caduti al suolo, da cui è stato possibile ricostruire il clima di circa due millenni. L’analisi ha mostrato che il periodo tra il 536 e il 660 è stato insolitamente freddo in tutta l’Europa e in Asia, tanto che gli autori l’hanno ribattezzato Piccola era glaciale della tarda antichità (Late Antique Little Ice Age, LALIA). Questo deciso raffreddamento fu probabilmente dovuto ad almeno tre grandi eruzioni vulcaniche, avvenute, rispettivamente, nel 536, nel 540 e nel 547, che causarono gigantesche emissioni di aerosol fino alla stratosfera.

Le temperature estive sono state ricostruite da dati dendrocronologici provenienti dall'Altai russo (rosso) e dalle Alpi (blu). Le barre orizzontali, ombreggiature e stelle si riferiscono alle principali epidemie di peste, imperi in ascesa e caduta, migrazioni umane su larga scala e disordini politici. CREDIT Past Global Changes International Project Office
Le temperature estive sono state ricostruite da dati dendrocronologici provenienti dall’Altai russo (rosso) e dalle Alpi (blu). Le barre orizzontali, ombreggiature e stelle si riferiscono alle principali epidemie di peste, imperi in ascesa e caduta, migrazioni umane su larga scala e disordini politici. CREDIT Past Global Changes International Project Office

Circa i vulcani candidati all’episodio in questione, sono stati indicati il Rabaul in Papua Nuova Guinea e il Krakatoa, lo stesso vulcano indonesiano che nel 1883 fu responsabile di un altro evento eruttivo con sensibili conseguenze climatiche. Qualcuno infine ha chiamato in causa l’esplosione della caldera del vulcano Ilopango in El Salvador.

Le ultime notizie derivano da un’analisi del ghiaccio prelevato dal ghiacciaio di Colle Gnifetti nelle Alpi svizzere  e sembrano individuare un altro colpevole.
La ricerca è stata condotta da un team guidato dal professor McCormick e dal glaciologo Paul Mayewski presso il Climate Change Institute dell’Università del Maine (UM) di Orono e presentata ad un seminario tenuto ad Harvard la scorsa settimana. Il team ha riferito che un’eruzione vulcanica cataclismatica in Islanda ha emesso cenere diffusasi attraverso l’emisfero settentrionale all’inizio del 536. Seguirono altre due massicce eruzioni, nel 540 e nel 547. Le ripercussioni sul clima, seguite dalla peste, immersero l’Europa in una stagnazione economica che durò fino al 640, quando un altro segnale nel ghiaccio, un picco di piombo nell’aria, segna una ripresa dell’estrazione dell’argento, come riporta la ricerca pubblicata il 14 novembre 2018 su Antiquity.

Il confronto tra eventi rilevati dalle carotazioni di Colle Gnifetti e i dati storici noti (da Scienze)
Il confronto tra eventi rilevati dalle carotazioni di Colle Gnifetti e i dati storici noti (da Science)

Gli studi scientifici confermano un abbassamento medio della temperatura compreso tra 1,5 e 2,5°C in un’area molto estesa che comprende Europa e Asia e mettono in relazione gli eventi meteorologici con le carestie ricordate negli Annali Irlandesi, Scandinavi, Mediorientali e Cinesi.

Effetti climatici così devastanti e ricorrenti epidemie di peste hanno certamente influito sulle condizioni di un territorio e di una popolazione già fiaccata dal lunghissimo conflitto greco-gotico.
A chi parla di secoli bui dopo la caduta dell’Impero occidentale bisognerebbe rammentare le condizioni generali in cui i “barbari” trovarono i resti dell’Impero occidentale.
La ripresa pare iniziare solo un secolo dopo mentre ricordiamo che la peste visitò le nostre zone fino al 750 con una certa frequenza.

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