Il (difficile) mestiere di rievocare la Storia

Che sia un’appassionata non solo di Storia ma anche di una delle sue forme di studio, la Rievocazione storica, è un fatto noto a chi mi segue. Lo stesso nome di questo sito e della pagina Facebook non è che la traduzione dalla forma inglese Living History, ovvero il riportare “in vita” gesti, abiti e mestieri di un dato periodo storico.

La storia delle Rievocazioni parte da lontano. La prima naumachia conosciuta è quella organizzata da Giulio Cesare a Roma nel 46 a.C. per il suo quadruplice trionfo e rievocò una battaglia navale tra Egizi e Fenici. Dopo aver fatto scavare un ampio bacino vicino al Tevere, nel Campo Marzio, capace di contenere vere biremi, triremi e quadriremi, Cesare ingaggiò tra i prigionieri di guerra 2000 combattenti e 4000 rematori. Nell'imagine uno spettacolo di naumachia dipinto nel 1894 da Ulpiano Checa
La storia delle Rievocazioni parte da lontano. La prima naumachia conosciuta è quella organizzata da Giulio Cesare a Roma nel 46 a.C. per il suo quadruplice trionfo e rievocò una battaglia navale tra Egizi e Fenici. Dopo aver fatto scavare un ampio bacino vicino al Tevere, nel Campo Marzio, capace di contenere vere biremi, triremi e quadriremi, Cesare ingaggiò tra i prigionieri di guerra 2000 combattenti e 4000 rematori. Nell’immagine uno spettacolo di naumachia dipinto nel 1894 da Ulpiano Checa

In realtà la terminologia è complessa, in particolare in lingua anglosassone, e non sempre le traduzioni rese in italiano fanno chiarezza.

Re-enactment per esempio è una parola che di per sé in inglese significa “ri-agire, ri-mettere in atto” ovvero ripetere un’azione o una serie di azioni. Historical re-enactment vuol dire quindi riprodurre una particolare situazione storica.

Tra living history e historical re-enactment c’è una netta differenza.
Il primo termine indica una situazione generica del passato, che può essere accaduta, ma di cui non vi è una registrazione precisa. Ad esempio la vita in un villaggio medievale, con un mercato, menestrelli che cantano suonando i loro strumenti, artigiani che attendono alla loro bottega, famiglie che si riuniscono per il pranzo e quanto altro si possa immaginare.
Ciascuna di queste scene presa a sé è una scena possibile, probabilmente descritta in un dipinto o in uno scritto in qualche occasione, da cui si prende spunto. Ma nel preciso contesto e nel suo insieme l’attenzione non è posta tanto su particolari fatti che accadono, quanto su abiti, accessori, alimenti, strumenti, arredi e “azioni” congruenti.
Questo è un modo per immedesimarsi completamente nel periodo scelto affrontando la vita quotidiana con gli strumenti che sono storicamente accertati essere in uso nell’epoca e attendere alle normali faccende col solo supporto di tali strumenti. I rievocatori agiscono come se il mondo fosse tornato indietro di secoli.

Living history a Fort Nisqually
Living history al Fort Nisqually

Altra cosa sarebbe, per l’esattezza del termine, il re-enactment storico, in cui si ripete un preciso avvenimento secondo i dati disponibili a descriverlo, ovvero testimonianze scritte, reperti archeologici, iconografie dell’evento. Immaginiamo per esempio l’insediamento di un papa o di un re, una battaglia, l’incontro tra due personaggi, un matrimonio, di solito abbastanza importanti da essere testimoniati in una cronaca.
Avremo in questo caso l’obbligo di rappresentare tutto quanto sia stato descritto in immagini o parole nell’iconografia o nel testo di riferimento. I rievocatori non rappresentano più soltanto dei presupposti avi anonimi che eseguono attività congruenti al periodo, ma sono tenuti a raffigurare i personaggi storici realmente presenti all’evento o, nel caso di una battaglia, a rispettare schieramenti, disposizioni, entrata in campo, se non addirittura il luogo e il giorno dell’evento stesso.

A corollario di queste due modalità, che stanno tutte sotto il titolo generico di Rievocazione, si collocano e si sono sviluppate una serie di specializzazioni necessarie e a volte sovrapposte tra loro.

Una immagine dalla rievocazione della Battaglia di Waterloo tenutasi nel bicentenario della battaglia

Da dove si comincia: la ricerca delle fonti

Un rievocatore seriamente impegnato nella ricerca di fedeltà storica si porrà per prima cosa il problema dell’abbigliamento: per rappresentare con precisione un personaggio esistito o presunto di una certa epoca devo per prima cosa vestirmi come lui. Da qui nasce la prima ricerca, quella sull’immagine.

La ricerca dalle fonti originarie è facilitata per alcuni periodi e penalizzata per altri. Dell’intero periodo romano per esempio sono abbastanza note sia fonti iconografiche che descrittive. Per gli etruschi o celti abbiamo quasi esclusivamente reperti e iconografie, nel caso del tardo medioevo e rinascimento abbiamo praticamente ogni cosa.
La fonte va presa con le debite accortezze e ne vanno letti prioritariamente il contesto e lo scopo.
Se ad esempio un personaggio è stato canonizzato dopo la sua morte è possibile che l’intento agiografico sia presente anche nella raffigurazione, che diventa simbolica.
Se l’opera è denigratoria o esaltatrice, se l’opera sia coeva al personaggio o successiva, e di quanto. Quanto più la fonte è temporalmente vicina al periodo, tanto più è affidabile, ma non vanno trascurate nemmeno in questo caso le eventuali influenze determinate dall’artefice materiale dell’opera stessa: spesso la manodopera utilizzata apparteneva ad aree geografiche e culturali diverse da quelle del committente e dei fruitori. Altre influenze possono essere determinate da forme di rappresentazione ritenute più prestigiose, come fu per buona parte del medioevo occidentale che ebbe come riferimento l’Impero Romano d’Oriente.

Due delle splendide statue che adornano il cosiddetto Tempietto Longobardo di Cividale del Friuli, VIII secolo.
Due delle splendide statue che adornano il cosiddetto Tempietto Longobardo di Cividale del Friuli, VIII secolo.

Un esempio che mi viene in mente a riguardo sono le famose e molto discusse statue del Tempietto Longobardo di Cividale, dove lo “stile” di abbigliamento raffigurato per le statue delle sante si accosta a quello bizantino più che a quello germanico. La sensibilità del rievocatore deve cogliere la differenza tra rappresentazioni di personaggi di alto rango, di ambito sacro o regale, per cui correva l’obbligo di mostrare emblemi di regalità e potere, e rappresentazioni di figure di ceto medio o basso. La “moda” nelle varie epoche ha sempre tenuto conto del significato dell’abito, che non era mai soltanto un abito, ma costituiva una precisa collocazione sociale.

Si affacciano anche una serie di quesiti e di dubbi su come indossare certi capi, quali costituiscano degli status symbol e quali siano neutri, in quali occasioni e contesti sia opportuno o meno un particolare abbigliamento. E’ evidente che se sto predisponendo una figura di ceto popolare, non mi decorerò con ori, velluti e gemme, viceversa, se rappresento un nobile non potrò avere nessun accessorio al di sotto del livello delle mie vesti e calzature. Quindi non basta “un’immagine” ma serve un confronto tra descrizioni e immagini per meglio inquadrare il corretto uso di ogni dettaglio.

Lo studio preliminare fin qui descritto è già a tutto tondo: va conosciuta non solo la storia, tramite le fonti scritte, l’iconografia e i reperti, ma anche quel minimo di storia dell’arte che consenta di interpretare le fonti stesse.

Un esempio eclatante di cui ho avuto modo di parlare tempo fa è quello della regina longobarda Teodolinda, raffigurata in uno splendido ciclo di affreschi realizzati nel XV secolo a Monza. Gli apparati di corte, gli abiti e gli atteggiamenti delle persone fanno sì che quel ciclo pittorico sia utile fonte iconografica per un rievocatore rinascimentale, ma non per un rievocatore altomedievale, in quanto nulla, in tutte le immagini, riporta al periodo longobardo. Tuttavia questa attenzione, che pare ovvia, non è stata applicata in molte occasioni. Non soltanto alla nascita della moderna rievocazione, ma sino a pochi anni fa.

Particolare dagli affreschi nella Cappella di Teodolinda. Bottega degli Zavattari pittura murale 1441-46 circa Monza, Duomo
Particolare dagli affreschi nella Cappella di Teodolinda. Teodolinda in abiti rinascimentali riceve l’anello. Bottega degli Zavattari pittura murale 1441-46 circa, Monza, Duomo 
Un esempio di errore nella scelta delle fonti per rievocare un evento di VI secolo è utilizzare questo ciclo pittorico del XV secolo

Com’è ovvio, più l’epoca rievocata è vicina a noi, maggiore la quantità e varietà di fonti, il che permette di studiare diverse rappresentazioni di ciascuna classe sociale e spesso di ottenere dettagli e particolari di massima precisione.
Non è un caso che epoche come tardo Medioevo e Rinascimento siano da sempre i periodi maggiormente rievocati in Italia. Per i più spericolati che si addentrino in epoche più “oscure” lo studio è disseminato di numerosi tranelli iconografici e richiede una propensione da veri “esploratori”.

Una farmacia rappresentata in uno dei Tacuina sanitatis giunti fino a noi. Il dettaglio degli oggetti raffigurati può aiutare un rievocatore di XIV secolo. (Wien-Österreichische Nationalbibliothek (Tacuinum Sanitatis, Codex 2644)
Una farmacia rappresentata in uno dei Tacuina sanitatis giunti fino a noi. Il dettaglio degli oggetti raffigurati può aiutare un rievocatore di XIV secolo. (Wien-Österreichische Nationalbibliothek (Tacuinum Sanitatis, Codex 2644)

Inoltre non è sempre facile ricostruire a partire da un’immagine bidimensionale, dove non tutti i dettagli sono visibili e dove molti segni sono interpretabili: sono pieghe, cuciture, ricami, trame del tessuto, applicazioni in materiali preziosi, stampe, vezzi dell’illustratore? Anche quando la qualità del segno e del colore siano arrivate in ottime condizioni fino a noi a volte si tratta di interpretazioni. Quindi il lavoro iniziale consiste nel ricercare la maggior quantità di immagini e descrizioni, confrontarle, analizzarle e fare propria l’idea delle persone dell’epoca. Prima di iniziare a rievocare, si deve entrare nello spirito del periodo e nella sua trasposizione visiva.

La ricerca dei materiali

Fatta propria l’immagine si deve affrontare la realizzazione. Come l’immagine anche i materiali dovranno essere congruenti al periodo. I tessuti e i loro colori, nonché i modelli per la confezione degli abiti, non sono un problema banale per chi approccia la rievocazione per la prima volta.

Non basta abolire i tessuti sintetici, che a meno si rievochino periodi successivi al secondo dopoguerra sono semplicemente banditi, ma anche curare la disponibilità della fibra nel periodo in studio. Per esempio il cotone che per noi contemporanei è la più comune fibra naturale, non lo era affatto in epoca romana e non lo è stato per tutto il medioevo. Esso veniva considerato esotico e proveniva per lo più dai territori del nord Africa, dell’Egitto in particolare. Paradossalmente il lino o la canapa, che per noi oggi sono più pregiati e costosi, erano, assieme a fibre vegetali ormai introvabili come l’ortica, i più comuni fino a pochi decenni fa. Immancabile la lana. La seta usata con cognizione di causa e con le giuste lavorazioni.

Tessitura domestica in Sardegna, 1940 (Foto dal volume Tessuti, Ilisso ed.)
Tessitura domestica in Sardegna, 1940 (Foto dal volume Tessuti, Ilisso ed.)

Molti dei lettori sono troppo giovani per ricordarlo, ma fino all’enorme spartiacque culturale che fu il secondo conflitto mondiale, nei nostri paesi e nelle nostre campagne si potevano ancora vedere le donne filare e tessere in casa, per i bisogni familiari, lana, lino e canapa, in particolare tovaglie, strofinacci, coperte, ma non solo. Personalmente ho trovato una miniera nei bauli della nonna, che conservava trine e tessuti in canapa e lino prodotti a mano, provenienti anche da generazioni precedenti e non ancora trasformati in corredi, assieme a qualche panno di lana follata. Tuttavia pochi di noi hanno ad oggi familiarità con la tessitura e ottenere un tessuto prodotto a mano, soprattutto di qualche complessità e in quantità sufficiente a confezionare gli abiti necessari, non è affatto semplice.

Lavorazione della canapa, Mello 12 agosto 1920. (Foto: Paul Scheuermeier, dall’Archivio AIS foto n° [202] Istituti di Lingue e Letterature Romanze e Biblioteca Karl Jaberg, Università di Berna)
Lavorazione della canapa, Mello (Sondrio) 12 agosto 1920.
(Foto: Paul Scheuermeier, dall’Archivio AIS foto n° [202] Istituti di Lingue e Letterature Romanze e Biblioteca Karl Jaberg, Università di Berna)

Quanto ai colori, sono un altro problema. Molta iconografia, pensiamo a bassorilievi e statue, il colore lo hanno perduto anche quando in origine lo avevano. In alcuni manoscritti le immagini non sono affatto colorate, apparendo più simili a schizzi, in altri il colore è così abbondante da sollevare il quesito attorno alla corrispondenza realistica con le vesti e il dubbio che non si tratti di una forma di ornamento e decorazione del testo. Fino a epoche più documentate graficamente, a partire quindi dal tardo medioevo, la comprensione della quantità e qualità del colore effettivamente utilizzato nell’abbigliamento non è immediata.

Di conseguenza le scelte dei rievocatori sono date da interpretazioni differenti e a volte qualche palese svista.
Si vedono rievocatori peccare in pauperismo sfoggiando esclusivamente tessuti del colore naurale della fibra e altri, all’estremo opposto, sfoggiare improbabili effetti lucidi da sostanze chimiche. Parlando di colori però va detto che il bianco cosiddetto ottico, in rievocazione, sia una grossa svista. Consideriamo che per ottenere la toga candidaattributo specifico dei candidati alle cariche pubbliche, i romani la strofinavano con il gesso. Altrimenti la toga bianca era solo alba. Se si doveva sbiancare, nell’antica Roma come nei periodi successivi, si usavano additivi come la liscivia, usata fino ai tempi delle nostre nonne, l’urina invecchiata, per i contenuti ammoniacali, i fumi di zolfo, che contengono anidride solforosa e la terra da follone o argilla smectica

Fumigazioni al bucato molto probabilmente con zolfo, la cui combustione libera anidride solforosa dagli effetti sbiancanti. Immagine da Concordantiae Caritatis, cod 151 fol 224v (Lilienfeld, prima metà del XIV secolo)
Fumigazioni al bucato molto probabilmente con zolfo, la cui combustione libera anidride solforosa dagli effetti sbiancanti. Immagine da Concordantiae Caritatis, cod 151 fol 224v (Lilienfeld, prima metà del XIV secolo)

Lo sbiancamento di questo tipo non è paragonabile all’effetto dei moderni processi chimici industriali che utilizzano sostanze azzurranti. In pratica, la scelta di un tessuto bianco ottico fa perdere di credibilità qualsiasi ricostruzione.

Nel passato, comunque, i colori si usavano eccome, su ogni tipo di fibra. Il problema caso mai è comprendere quali colori.
Se le fonti iconografiche ci danno indizi ma non certezze, la soluzione va ricercata nelle fonti scritte, da cui si deducono quali sostanze venissero utilizzate e con quali processi si eseguiva la tintura. Questi dipendono non tanto dal colorante in sé, quanto dalla fibra da tingere. In buona sostanza: per sapere quali verdi, gialli o blu potevano indossare i nostri avi non resta che provare a tingere come facevano loro. Questo può dare una chiara idea di cosa sia realistico e cosa difficile da ottenere, o scarsamente resistente all’usura, piuttosto che impensabile.

Se è vero che si potesse un tempo attingere solo a coloranti naturali, è anche vero che la varietà di tali coloranti è enorme. Nel tempo, molto lungo, in cui l’umanità ha cercato nell’ambiente le risorse atte a risolvere le proprie esigenze, si può immaginare che gli esperimenti di tintura, volontari o involontari, siano stati incalcolabili. Disponendo di coloranti vegetali, animali e minerali e di una gamma di combinazioni tra loro, potreste rimanere sorpresi dall’enorme numero di colorazioni ottenibili. Senza contare le sfumature date dall’uso di concentrazioni diverse del pigmento e dei diversi effetti riconducibili a differenti tessiture.

Tintura da Trattato sull'arte della seta, XV secolo
Tintura da Trattato sull’arte della seta, XV secolo (Biblioteca Medicea Laurentiana Plut.89 sup.117)

Come nel caso della fibra si dovrà fare attenzione a non utilizzare coloranti non giustificati dalla disponibilità, nel tempo e nel luogo da rievocare. Per esempio è inappropriato l’uso di piante tintorie di origine americana se rievocate un periodo antecedente la colonizzazione da parte degli europei, a meno che ovviamente non stiate rievocando dei nativi americani 😉 oppure l’uso di coloranti di costosa importazione se rievocate un personaggio di basse condizioni economiche.
Se non state affrontando lo studio specifico della tintura naturale come vostro personale progetto, e vi interessa soltanto scoprire l’uso o meno di un preciso colore, sappiate che la maggior parte delle tinture vegetali usate in antichità era a portata di tutti nei campi, nei boschi o addirittura negli orti, e difficilmente avrete necessità di scontrarvi con incongruenze insuperabili.
Non dobbiamo sovrapporre la nostra attuale difficoltà di cittadini a reperire le materie prime con quella che era la condizione di maggior vicinanza al mondo naturale di quasi tutte le epoche passate. Paradossalmente per noi è più comodo e pratico ordinare in internet un colorante esotico, ormai reso accessibile dalle veloci comunicazioni aeree e quindi meno costoso, che andare alla ricerca di piante tintorie in una zona fuori città.

La correttezza del processo tintorio, inevitabilmente, determina la resa del colore finale. Di certo nei tempi passati la pregevolezza del tessuto dipendeva dalla tenuta del colore a fronte di usura e lavaggi ripetuti, mentre la lucentezza di certe tinture e colle applicate in post produzione moderne non era pensabile con un processo di tintura naturale.

Lana tinta naturalmente a Pokhara, Nepal
Lana tinta naturalmente a Pokhara, Nepal

Sappiamo da preziosi e rari reperti che anche i personaggi di alto rango facevano rammendare i loro abiti per farli durare più a lungo, a maggior ragione quanto più costosi ed elaborati essi erano. Quindi il tessuto ben tinto che mantenesse il suo aspetto anche dopo un lungo utilizzo era considerato, ovviamente, di miglior qualità rispetto a quello che si scolorisse rapidamente. Lo stesso vale per la qualità dell’armatura del tessuto. Ricordando che fino al XVIII secolo non si hanno produzioni industriali, ci viene più facile comprendere che il valore associato al tessuto è quello dell’abilità tecnica e del tempo necessario a produrlo. Il che si traduce nel fatto che più sottile e uniforme è il filo, più compatta l’orditura espressa in numero di fili per misura lineare, più complessa l’armatura e più resistente a luce e lavaggi il colore, più prezioso fosse il tessuto. Non solo la rarità ed esoticità della materia prima definiscono quindi il livello di ricchezza di un abito, ma il ciclo produttivo, completo, che culmina con il capo finito.

Dalla fullonica di Veranius Hypsaeus a Pompei una scena di lavoro.
Dalla fullonica di Veranius Hypsaeus a Pompei una scena di lavoro. Nelle fulloniche romane si lavavano e tingevano i tessuti, oltre a follare la lana per renderla più compatta e addirittura impermeabile.

Questo tipo di ragionamenti ci sta già trasportando in una sorta di backstage della living history, (che orribile accozzaglia di termini moderni) ovvero in una forma mentale propedeutica ad affrontare consapevolmente una rievocazione ben fatta. In sostanza ragionare come una persona vissuta nell’epoca da noi scelta. Per persone abituate a doversi districare tra tessuti industriali e abiti costosi solo a causa della loro etichetta firmata, ma spesso di scarsissimo valore intrinseco, questo è già un gran passo in avanti nella giusta direzione.

Sarà ben difficile iniziare un progetto di rievocazione partendo da tessitura a mano, con specifici schemi e armature del periodo, e tintura naturale. Ma studiare qualche testo, prendere dimestichezza con fibre e colori e farsi consigliare da qualche esperto in materia di tinture, può indirizzare gli acquisti dei materiali per evitare che la prima uscita del gruppo somigli a una festa in maschera.

I reperti tessili giunti fino a noi da epoche antecedenti il Rinascimento, soprattutto in Italia, sono scarsi e spesso inintelligibili dal punto di vista del colore. Per epoche più prossime a noi si tratta prevalentemente di abiti ecclesiastici o nobiliari, quindi particolarmente preziosi e certamente non comuni. Difficile quindi avere un riferimento reale, non solo iconografico. Altre volte, soprattutto scegliendo capi estremamente ricchi, il confronto può essere veramente arduo da superare, e forse preferibilmente da evitare.

Tessuti storici come quelli nelle immagini successive sono impossibili da produrre in autonomia e da trovare in un comune negozio. Esistono anche poche manifatture in grado di eseguire su richiesta dei tessuti come questi e i costi sono ovviamente in proporzione.

Mi sono imbattuta in rete nella ricostruzione di un capo molto pregiato fortunatamente giunto fino a noi. La ricostruzione sostituiva al prezioso sciamito di seta dell’originale una tela in cotone, ai ricami in oro e perle di fiume un filo in cotone e perline regolari industriali. Nonostante l‘esperienza ricostruttiva sia da elogiare per la ricerca e l’abilità tecnica e possa rendere conto del tempo e dell’abilità necessari a confezionare capi di tale preziosità, l’uso di materiali diversi non fornisce un risultato realistico confrontato con l’originale. Per capi di questo tenore bisognerebbe investire un patrimonio, esattamente come costò l’originale, il che ci fa riflettere sulle scelte da compiere all’interno del progetto di rievocazione. 

I materiali fanno davvero la differenza e non sono un dettaglio.

Come se non bastasse studiare le fonti primarie ci si accorge, strada facendo, che è necessaria la lettura di qualche testo di storia dell’abbigliamento. Esistono testi che approfondiscono periodi specifici o che analizzano un capo di vestiario trasversalmente alle epoche. Anche se non mirato al proprio contesto geografico e storico, una lettura attenta di queste pubblicazioni può dare importantissime indicazioni.

Le cautele da utilizzare per tessuti e abiti vanno di pari passo con qualsiasi altro capo di abbigliamento, accessorio, strumento si voglia replicare. Dalle scarpe e relative attenzioni a forme, tipo di pelle, concia, colore e rifinitura, alle armi offensive e difensive, ai gioielli, agli arredi e corredi.

Le ricostruzioni e i loro artefici

Non vorremmo scoraggiare gli aspiranti rievocatori ma, in effetti, non esiste un supermercato della rievocazione. E anche questo è parte della rievocazione stessa. Ricordiamo che la produzione in serie è un fenomeno piuttosto recente. Tutto ciò che vestiva i nostri avi è da considerarsi un pezzo unico, così come gli abiti ricostruiti dai rievocatori.

Mercato da Il cavaliere errante, 1400-1405. Parigi, BnF, département des Manuscrits, Français 12559, fol. 167
Mercato da Il cavaliere errante, 1400-1405.
Parigi, BnF, département des Manuscrits, Français 12559, fol. 167

Alcune merci di base venivano commerciate fin dalla più lontana antichità, lana già filata, tessuti già tinti, cuoio conciato, arnesi da lavoro, ma spesso il prodotto finale era eseguito su commissione, tanto più quanto si saliva di pregio e valore economico. Sicuramente vero per manufatti particolari come gioielli e ornamenti, ma anche per molte armi e soprattutto armature.
Se all’epoca era normale farsi produrre qualcosa su misura e c’era gran disponibilità di artigiani, oggi questo aspetto rappresenta un vero grande ostacolo.

L’unicità

Il concetto dell’unicità vi apparirà chiarissimo se vi soffermerete davanti alle bacheche di un museo con sguardo diverso: quello di un rievocatore alla ricerca di accessori per il proprio personaggio. Che stiate rievocando l’epoca, romana, etrusca o altomedievale, vi accorgerete, guardando da questa prospettiva, che nonostante la presenza costante di determinati elementi e una loro coerenza funzionale e stilistica, essi però differiscono per dimensioni, materiale, decorazione. Così per i monili femminili come per le armi, appannaggio di tombe maschili. Procedendo in altre epoche storiche e disponendo di altre fonti più parlanti come affreschi e dipinti, potrete facilmente verificare che, pur riuscendo a riconoscere distintamente delle “mode”, non troverete mai lo stesso abito, acconciatura o gioiello indossato da due diverse figure.

Due momenti del “Mercato delle Gaite” rievocazione che si tiene annualmente a Bevagna (PG) (Foto: ilmercatodellegaite.it)

Questo produce in campo rievocativo dei curiosi paradossi: capita infatti che alcuni reperti archeologici o capi di particolare pregio e fattura vengano scelti da più individui per farne o farsene fare delle repliche. Accade quindi che degli unicum archeologici e artistici vengano trasportati ai tempi nostri sottoforma di vari cloni.
Per contro vi è anche la corrente di pensiero del non voler necessariamente copiare un preciso riferimento archeologico o iconografico, ma ritiene di doversi esclusivamente ispirare a tecniche e gusti da essi rappresentati.
Questa seconda posizione ha delle buone ragioni dalla sua parte, basandosi sul presupposto che i ritrovamenti archeologici rappresentino una minima parte della popolazione inumata in epoche antiche e che, alla stessa stregua, la percentuale di individui raffigurati sia minima.
Il che però può infrangersi contro la capacità tecnico-artistica dell’esecutore, e comunque, anche nel migliore dei casi, rimane interpretazione del tutto soggettiva del concetto di gusto e di moda. Personalmente trovo stimolante l’idea dell’oggetto ispirato da ma non copia esatta di reperti. Tuttavia sceglierei di rimanere nel solco dello studio prolungato e rigoroso del reperto o dell’iconografia per molto molto tempo, prima di avventurarmi in una simile impresa.

Altro dubbio che sorge a quasi tutti i rievocatori coscienziosi nel momento di abbigliarsi è il seguente: ma davvero questi nostri signori avi stavano vestiti sempre così? Particolarmente vero per i ritrovamenti funerari, ma anche per altri casi.
La risposta è certamente: no.
Come abbiamo avuto modo di approfondire in altri articoli è piuttosto evidente che le raffigurazioni grafiche e i corredi funerari restituiscano l’aspetto delle persone in condizioni particolari.

Quindi se volete cominciare a fare della living history tenete serenamente conto che nessuno cucinava o forgiava perfettamente vestito, armato e addobbato, magari con gioielli in oro. Erano antichi, non pazzi 🙂
E tenete conto che la popolazione di ceto medio o modesto era molto più numerosa di quanto le opere artistiche ci restituiscano, incentrate, com’è chiaro, su figure di maggior rango e risalto.
Quando e se invece lo richieda la situazione, ma soprattutto il vostro amore per il vostro territorio e la sua storia, ispiratevi a qualche personaggio legato al luogo dove vivete e rievocate. Il risultato magnifico sarà quello di uno studio su qualcosa di particolare e molto probabilmente la scoperta di qualcosa che non sospettavate. In ogni caso vi renderà unici, avvicinandovi un po’ di più alla realtà passata del vostro territorio.

Non solo abiti

Interno di tomba estrusca nella neropoli della Banditaccia a Cerveteri (IV sec. a.C.) Sulle pareti e colonne raffigurati , a colori, numerosi utensili da lavoro e per la cucina (Foto: Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio e dell'Etruria meridionale)
Interno di tomba etrusca nella necropoli della Banditaccia a Cerveteri (IV sec. a.C.) Sulle pareti e colonne raffigurati , a colori, numerosi utensili da lavoro e per la cucina (Foto: Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio e dell’Etruria meridionale)

Un altro costante problema nell’affrontare la predisposizione di una “scena” è la disponibilità di informazioni sugli arredi. Come se non bastasse la difficoltà di vestirsi e decorarsi, di armarsi e proteggersi, se vogliamo rendere “viva” la rappresentazione del quotidiano antico abbiamo bisogno di mobili, suppellettili, arnesi. Chi sta già praticando living history si rende conto di quanti piccoli oggetti divengano cruciali nel momento in cui non ne si conosca la forma esatta ma si debba necessariamente replicarli, perché senza di essi non si può fare living history.
Anche in questo caso la ricerca diventa febbrile e spesso è vana. Sto pensando a periodi come l’alto medioevo, dove a differenza del periodo romano o tardo medievale e successivi, le raffigurazioni grafiche di interni civili non sono disponibili e dove ci si deve affidare, ancora una volta, a mobilio funerario, per giunta rinvenuto geograficamente distante da noi, anche se coevo.

Ceramica rinascimentale esposta nella mostra " Mense e Banchetti nella Udine Rinascimentale" (Foto: lamagiafuoridallaporta.blogspot.it/)
Ceramica rinascimentale esposta nella mostra ” Mense e Banchetti nella Udine Rinascimentale” (Foto: lamagiafuoridallaporta.blogspot.it/)

In questo e altri casi di quel periodo storico, come per i tessuti o le armature militari, la pratica è quella di guardare oltre i confini restando allineati a un orizzonte che è quello temporale. E’ un’interpolazione, ma è anche un assunto plausibile in base alle informazioni storiche e archeologiche che rendono certi gli scambi reciproci tra popolazioni, soprattutto se legate da lontane parentele o se sottoposte a reciproche influenze culturali. Il buon senso ci comunica che anche in questo caso non è opportuno proporre decine di cloni del medesimo unicum.
Una soluzione è quella già indicata di ispirarci soltanto al “design” del mobilio purché sia funzionale e credibile, qualcuno sceglie invece di allontanarsi anche nel tempo, oltre che nello spazio.
Il fatto è positivo perché consente di leggere diverse prospettive della ricostruzione storica, il che dovrebbe alimentare un dibattito e un confronto.
L’importante è essere in grado di motivare e giustificare le proprie scelte, che come tutte le scelte soggettive sono sottoposte a maggior o minore consenso da parte di “colleghi” ed esperti.
Comunque, fino all’invenzione della macchina del tempo, tutte le versioni rievocate di una realtà passata rimangono pur sempre ipotesi ricostruttive.

Per tutti gli aspetti finora toccati si comprende come mai molti rievocatori siano costretti a improvvisarsi sarti, tessitori, falegnami, orafi, fabbri, coramai, armaioli, tintori.

Artigianato storico

In merito a questo aspetto ecco delinearsi la prima delle specializzazioni cui facevo riferimento all’inizio.
Esiste una branca della rievocazione e di studio che si chiama artigianato storico. Il suo scopo è recuperare le tecniche di lavorazione antiche,  per quanto possibile, anche se esistono dei manufatti che attualmente non siamo in grado di riprodurre manualmente, o di cui fatichiamo persino a comprenderne il processo costruttivo.

Dobbiamo prendere atto che un baratro di conoscenze perdute e di dimestichezza con la manualità ci separa dai nostri predecessori. Anche un moderno artigiano è “viziato” dall’uso di agenti chimici, strumenti elettrici e software di progettazione che devono essere abbandonati e dimenticati per riprodurre un oggetto con le stesse caratteristiche di quelli antichi.

A meno che non siate dei ricchi ereditieri sarà difficile che possiate dedicare tutta la vostra vita a imparare un mestiere con modalità antiche a puro scopo rievocativo, ma quello che facevano i nostri predecessori era proprio trascorrere lunghissimi anni in apprendistato. Forse nemmeno dedicando tutta la vita all’apprendistato di un arte o mestiere riuscireste ad acquisire le tecniche necessarie, perché, oggi, non avreste i Maestri alla cui bottega poterle apprendere.

Jean Bourdichon 1457-1521 La bottega di un falegname
Jean Bourdichon 1457-1521 La bottega di un falegname

Eppure il rievocatore che volesse affrontare in modo del tutto autarchico il suo periodo rievocativo dovrebbe imparare a filare, tessere, tingere, cucire, lavorare il cuoio, il legno, il metallo e la ceramica per corredare il proprio personaggio e arredare il proprio campo storico, secondo le tecniche antiche: assolutamente impraticabile. Soprattutto se si vogliono anche presentare degli oggetti di buona qualità, di bell’aspetto e soprattutto duraturi.

Non ci si deve quindi meravigliare che dopo uno studio attento e qualche prova il rievocatore decida di rivolgersi a qualcuno che abbia già approfondito la pratica di un’arte e possa aiutarlo nel suo progetto. Se è meritevole di lode il desiderio di sperimentare e studiare tecniche artigianali, va anche detto che non è umanamente possibile essere sufficientemente esperti in ciascuna di esse e soprattutto i risultati debbono essere giudicati obiettivamente: l’amore per la storia e l’archeologia non sono garanzia di buona manualità, ad esempio.

Soffiatore di vetro, Miniatura dal De Universo (o De rerum naturis) di Rabano Mauro (780 circa - 856), Manoscritto di Montecassino, 1026 ca
Soffiatore di vetro, Miniatura dal De Universo (o De rerum naturis) di Rabano Mauro (780 circa – 856), Manoscritto di Montecassino, 1026 ca

Riflettiamo: se nel passato erano necessari fior fiore di artigiani e mercanti al fine di condurre un particolare stile di vita, come possiamo pensare che un gruppo di rievocatori di poche decine di unità, applicandosi solo part time, possa sopperire a tutte le necessità di una realistica living history?

Lo studio e lo scambio sono imprescindibili, entrambi. Coloro i quali scelgano l’attività artigianale storica, in qualche modo e con non poche difficoltà, possono apprendere il “mestiere”, con i limiti di cui sopra, e portare agli eventi rievocativi questa loro esperienza sia come living history che come didattica, ma di certo, a loro volta, dovranno ottenere parte del proprio corredo da altri specialisti, rievocatori o no.
Per giunta, come dicevamo, spesso le tecniche non sono affatto note.

Tornio a pedale (Foto: lombardiabeniculturali.it/)
Tornio a pedale (Foto: lombardiabeniculturali.it/)

Se per esempio è facile capire (ma molto meno fare) come realizzare dei semplici oggetti di legno con trapani ad arco e torni a pedale, o sgorbie e incisori, se per chi è della mia generazione non è difficile cucire manualmente, se è quasi intuitivo come cucinare con un paiolo appeso sopra un focolare (anche se non banale in tempi di forni microonde), esistono però lavorazioni più complesse, altre decisamente sconosciute o semisconosciute nelle loro tecniche. Penso in particolare alla metallurgia e l’oreficeria: il mistero della produzione delle lame Ulfberth non sarebbe tale se avessimo compreso come realizzarle, oppure la trasformazione, con mezzi antichi, di metalli preziosi in sottili fili per le agemine o per le filigrane. Ma penso anche a certe tecniche sartoriali o di lavorazione del cuoio. Un esempio ancora più vistoso è la costruzione di opere architettoniche senza l’ausilio di gru, camion e altri mezzi moderni.

Archeologia sperimentale

Questi e molti altri aspetti dell’artigianato antico sono indagati da un’ulteriore disciplina che è l’archeologia sperimentale.
La differenza rispetto all’artigianato antico sta tutta nell’aggettivo “sperimentale”. Con questo termine si indica esplicitamente il carattere rigorosamente scientifico della ricerca. Partendo da dati e condizioni precise, rigorosamente registrate e documentate, si procede a eseguire un vero e proprio esperimento per ottenere un risultato prefissato, che si tratti della riproduzione di un bucchero o dell’erezione di un pilastro. La tecnica va provata fino al raggiungimento del risultato paragonabile al reperto di riferimento.
A fronte di un fallimento vanno riconsiderati gli aspetti critici e va rieseguita l’esperienza.
In questa disciplina i dati fisico-chimici e l’aspetto del prodotto finale vengono comparati con quelli del reperto di riferimento. L’uso effettivo dell’oggetto decreterà la conoscenza completa del manufatto per resistenza, durevolezza e destinazione d’uso ottimale.

Ma va detto che l’archeologia sperimentale non si focalizza sul solo manufatto, piuttosto deve tenere conto del contesto storico e archeologico della cultura in esame e di quelle coeve, deve considerare l’habitat naturale all’epoca di riferimento e le conseguenti risorse naturali disponibili. Va studiato, progettato e valutato l’intero ciclo produttivo che porterà all’esecuzione del manufatto finale.
L'”esperimento archeologico” quindi avvicinerà alla comprensione sempre maggiore dei contesti di ritrovamento del reperto originale, anche in termini di organizzazione spaziale, sociale e del lavoro.

Il castello di Guèdelon, Francia. Il cantiere è un unico grande progetto di archeologia sperimentale per convalidare o rettificare le ipotesi sulle costruzioni medievali.
Il castello di Guèdelon, Francia. Il cantiere è un unico grande progetto di archeologia sperimentale per convalidare o rettificare le ipotesi sulle costruzioni medievali.

Chi si occupa di artigianato antico, a seconda della sua specializzazione, farà tesoro dell’esperienza di archeologia sperimentale, sua o di altri, nella produzione degli oggetti. Ma come abbiamo visto le due cose differiscono nettamente e mentre il primo si presta a manifestazioni, didattiche e laboratori pubblici, la seconda segue criteri scientifici non sempre adatti alla spettacolarizzazione richiesta alla rievocazione.

Si vede di tanto in tanto spacciare per artigianato antico o, peggio, archeologia sperimentale qualcosa che è ben lungi dall’essere sia questo che quello.
Se viene eseguito con attrezzatura moderna, per quanto ottimo nella fattura, quell’oggetto è una replica, probabilmente un’ottima replica da reperto, ma NON è artigianato storico e NON è prodotto di archeologia sperimentale.
L’auto-produzione degli oggetti è un’ottima cosa. Spinge all’osservazione del dato materiale in un’ottica che sfugge normalmente persino all’utilizzatore. Consente l’avvicinamento a pratiche manuali, permette un discreto risparmio e genera indubbia soddisfazione nello sfoggiare e utilizzare l’oggetto prodotto da soli.
Tuttavia va detto chiaramente che la produzione ottenuta a partire dal riciclo di un oggetto moderno o perseguito con macchinari, materiali e prodotti moderni non insegna nulla né sull’artigianato antico, né sui tempi di realizzazione e quindi sul valore intrinseco e storico del pezzo prodotto. In sostanza il rievocatore avrà a disposizione qualcosa di necessario alla sua rievocazione che potrà somigliare esteriormente a iconografia o reperti, ma non sarà avanzato di un solo passo rispetto alla conoscenza del suo oggetto di studio e tanto meno potrà fare didattica ricostruttiva su quell’oggetto.

Lo stato dell’arte della Rievocazione

Premesso tutto quanto detto fino ad ora è piuttosto chiaro che nessuno è in grado da solo o nell’ambito del proprio gruppo di garantire un’autonomia totale alla propria rievocazione storica.
Del resto, come già detto, in qualsiasi epoca sono esistiti gli artigiani specializzati e il commercio di beni, quindi acquistare da specialisti aumenta, se ci pensate, la similitudine tra mondo rievocativo e storia rievocata, creando una comunità rievocativa. Per ciascun elemento ci sarà uno scambio e un lavoro comune per cui il rievocatore trasmetterà le sue informazioni storico-archeologiche sull’oggetto e l’artigiano antico contribuirà con le sue competenze tecniche. E’ un percorso di studio comune.

Il risultato è spesso dato da una serie di soluzioni di compromesso intermedie, che, se fanno parte di un percorso teso a migliorarsi, sono del tutto fisiologiche.

I gruppi di rievocazione, soprattutto all’avvio delle loro ricerche, non possono che affidarsi in toto all’acquisto di materiale dall’esterno, magari non perfetto o poco adatto, per poi col tempo evolvere, individualmente e collettivamente, nell’affinamento della ricerca dei materiali, nella sperimentazione pratica, nell’individuazione di quegli artigiani in grado e disposti a collaborare con loro.
Sarebbe utilissimo lo scambio di conoscenze, indicazioni e consigli tra gruppi affini per epoca rievocata o per materiale studiato, se il carattere umano non propendesse ad antagonismi veri o fittizi e ambizioni personali.
Si riconoscono i gruppi agli esordi con abiti “generici”, a volte francamente sbagliati. Si intuiscono in altri le aspirazioni in fase di realizzazione e maturazione. Si vedono gruppi già avvezzi a ricostruire che, transitando ad altra epoca, agiscono con una diversa maturità ricostruttiva.
Se poi l’evoluzione non è tangibile, forse qualcosa non va nel progetto o nelle finalità. Probabilmente sono gruppi che terminata quell’unica occasione annuale, ripongono abiti e arnesi e ci ripensano solo l’anno successivo. Mentre per altri, me compresa, la rievocazione dovrebbe impegnare tutto l’arco dell’anno in studi, ripensamenti, rielaborazioni correttive e sviluppo del progetto.
Ma se dispiace vedere a volte dei grossolani errori, a me dispiace di più essere a conoscenza di pessime pagine sui social che mettono alla berlina individui e gruppi, magari all’insaputa dei derisi.
I rievocatori vengono continuamente fotografati in pubblico e tutti hanno qualche scheletro nell’armadio. Ma tant’è, la rievocazione rappresenta un sottoinsieme dell’umanità e se la passione per la storia e l’archeologia non è garanzia di buona manualità non lo è nemmeno di correttezza e maturità.

Evoluzione e presunzione a parte, esistono comunque finalità diverse che raccolgono insieme le persone a fare “gruppo”, e non esistono classifiche di merito, a parità di impegno e rigore. Ci sarà chi dà priorità alla precisione del dettaglio e alla fedeltà rispetto a fonti e reperti che crescerà più lentamente.
Altri preferiranno sperimentare in ogni direzione, potranno apparire dispersivi, ma prima o poi approderanno alle attività che daranno loro maggior risultato e soddisfazione. Altri ancora saranno meno interessati all’aspetto artigianale al quale preferiscono la parte narrativa, musicale, coreutica o bellica della rievocazione.
A ben vedere queste caratteristiche sono complementari tra loro e contrariamente a chi pensa che certe epoche siano inflazionate di rievocatori, è su queste differenze di impostazione che si possono creare delle sinergie.

Le scelte interne di cui sopra diventano di fondamentale importanza, allorquando il gruppo interagisce con la realtà esterna al gruppo stesso.

I rapporti con accademia e istituzioni

La nuova frontiera, finalmente toccata anche in Italia, è il confronto e la collaborazione diretta con istituzioni, musei, storici e archeologi, di vedute particolarmente ampie, disposti a dialogare con i rievocatori e ricostruttori. Non di rado componenti stessi dei gruppi sono giovani artigiani e studiosi delle discipline su menzionate, che completano, per così dire, le proprie competenze integrando la sperimentazione personale e la partecipazione diretta alla divulgazione tramite la Rievocazione.

L’apertura di Istituzioni e Musei tradizionali alla presenza dei rievocatori è a sua volta un volano positivo. Da un lato sfida i rievocatori a un livello di qualità accettabile in un contesto di esperti, ma li mette anche in posizione privilegiata di accesso alle fonti, dall’altro consente ai responsabili di musei, archivi e biblioteche un rapporto del tutto nuovo con la materialità della storia e attira sicuramente un maggior numero di curiosi e appassionati, allargando l’utenza.
Nel video qui sotto un esempio ben riuscito di collaborazione istituzione – rievocazione.

Talvolta mi è capitato di osservare l’emozione, per studiosi di materie storiche, nel trovarsi davanti alla riproposizione, concreta e integrata, del mondo da essi studiato sui soli testi o per singoli reperti.
D’altro canto non mi sono sorpresa davanti ai toni di sufficienza sdegnosa di alcuni professori. Questo è il quadro. Confrontato con quello di fine anni ’90 è già un successo. Temo di non avere a disposizione altri 20 anni per insistere, ma confido nel ricambio generazionale 🙂

Didattica e Spettacolo = Divulgazione

La differenza tra il vecchio concetto di rievocazione e la rievocazione moderna è la stessa che c’è tra una festa di paese e una living history documentata, ovvero la divulgazione.

Il vero banco di prova è il contatto con il pubblico, che si tratti di scolaresche, occasionali visitatori di feste a tema o appassionati, dove il livello di conoscenza e interesse è estremamente differenziato.

Le modalità di presentazione del proprio studio e lavoro per un gruppo di rievocazione sono veramente numerose e le occasioni si stanno moltiplicando negli ultimi anni.

L’esperienza di Echi del Tempo è per un visitatore, ben diversa dalla normale visita al museo. Il rievocatore tra le bacheche non sostituisce un semplice manichino, ma è in grado di fornire informazioni aggiuntive sulla costruzione e l’uso dei reperti, le cui repliche potrà far visionare ai visitatori mettendole tra le loro mani, cosa ovviamente impensabile per l’opera originale. Tanto vale anche per la sua presenza nel corso di conferenze e convegni dedicati a studi storici.

Infine si entra nel massimo dello splendore rievocativo, nel momento in cui si può contare sulla disponibilità di luoghi storici legati al periodo rievocato: aree monumentali, case, castelli e palazzi, in cui si muovano non solo personaggi consoni per comportamento e abbigliamento, ma soprattutto preparati e in grado di interagire in vario modo con i visitatori. Circa 25 anni fa, nella mia visita ai castelli della Loira ebbi già modo di imbattermi in qualcosa del genere, e a tutt’oggi in Italia è considerata ancora una novità.

In alcuni casi, il trascorrere del tempo ha lasciato solo poche e deturpate vestigia architettoniche, non adatte, per evitarne il degrado o perché non sicure, a contenere l’evento rievocativo. Oppure si tengono manifestazioni completamente avulse da un contesto materiale storico.

Il rievocatore allora deve ricreare un ambiente “artificiale” rispetto alle reali condizioni di vita del periodo e di norma facilmente rimovibile al termine dell’evento. Vi sarà capitato quindi di visitare in qualche festa a tema i cosiddetti campi storici. Sono di fatto delle strutture non aderenti alla realtà storica, costituiti da tende il più possibile storicamente corrette per materiali e tecniche costruttive, ma che ovviamente non costituivano le botteghe e le abitazioni dei nostri avi.

Fatti salvi mercati e situazioni di eserciti in marcia o accampatisi per la battaglia, non vi sarebbe mai capitato, nel passato, di trovare artigiani e cuochi in attività sotto delle tende.

Questo è uno egli elementi che necessariamente obbliga i rievocatori a distaccarsi dalla correttezza formale, ma non è il solo caso e ne vedremo altri in seguito.

Il Gruppo Storico Romano in una rappresentazione degli eventi delle Idi di Marzo nei pressi dell'area archeologica di Piazza Argentina a Roma (Foto: Gruppo Storico romano)
Il Gruppo Storico Romano in una rappresentazione degli eventi delle Idi di Marzo nei pressi dell’area archeologica di Piazza Argentina a Roma (Foto: Gruppo Storico romano)

Ambienti artificiali ma perfettamente congruenti sono i parchi archeologici che ospitano ricostruzioni parziali o integrali di abitazioni con annessi e connessi. In Italia ne abbiamo qualcuno di ottima qualità, alcuni di lunga data, di norma in stretta vicinanza con aree di scavo in cui le strutture, poi ricreate, furono effettivamente erette e in seguito rinvenute dagli archeologi. L’ambiente architettonico è collocato quindi anche nel medesimo paesaggio, o quel che se ne è salvato, in cui si stanziò la popolazione la cui cultura viene valorizzata dalla rievocazione.

Gli stessi rievocatori, vivendo un’immersione totale nel loro contesto di studio, agiscono, più o meno consapevolmente, con maggior sicurezza e veridicità nel ricreare azioni e atteggiamenti, perché condizionati dalle reali caratteristiche fisiche dell’ambiente. Agire e pensare come un individuo del passato è molto più facile se lo spazio è organizzato e attrezzato veramente come nel passato.

Credo stia affiorando sempre più chiaramente da queste considerazioni, che la rievocazione potrebbe essere parte integrante, e costante, di una valorizzazione storico archeologica del territorio, che non va sottovalutata né dal punto di vista dei fruitori né da parte degli amministratori locali e centrali, che di recente mostrano una maggior sensibilità a quello che genericamente viene indicato come turismo culturale.

Per didattica, in rievocazione, si intende un momento specifico dedicato alla descrizione delle attività, o qualsiasi momento in cui il pubblico esprima richieste di chiarimenti al rievocatore.

Di fatto la rievocazione divulgativa è una didattica continua, in ogni momento e qualsiasi azione si compia in abito storico. Aspetto di cui i rievocatori devono essere ben consapevoli.
La qual cosa, a me personalmente che ho il pessimo vizio del fumo, che necessito di occhiali da lettura e che spesso devo aggirarmi con videocamera o cellulare alla mano per riprendere o fotografare, mette un po’ a disagio. Ogni volta che vengo gentilmente invitata a un evento in cui posso indossare abiti storici, mi rendo conto dei miei limiti personali, e penso che sia ora di ritirarmi e mettermi “in borghese”… ma sempre alla prossima stagione rievocativa 😉

Intese in senso più classico, le didattiche spesso si svolgono nelle classi o, viceversa, spesso le classi vengono condotte nei campi storici o nei parchi archeologici, grazie ad accordi con le scuole e i loro insegnanti. In queste occasioni vengono frequentemente svolti dei laboratori tramite cui incuriosire, appassionare e rendere gratificante e “memorabile” la visita per i ragazzi.

E’ palesemente ovvio che in queste occasioni gli strumenti e i materiali che vengono messi a disposizione dei ragazzi possano divergere da quelli originali o da quelli utilizzati per fare artigianato storico, archeologia sperimentale o anche solo living history. Non vengono fatti manipolare ai ragazzi, per ovvi motivi di sicurezza, né oggetti taglienti, né incandescenti o appuntiti, né tanto meno materiali potenzialmente tossici. Per altri motivi, ad esempio per i costi, non verranno utilizzati oggetti frangibili o di particolare pregio. Per motivi simili alcuni processi produttivi possono essere semplificati o modificati al fine di trasmettere ai ragazzi una visione d’insieme e mostrare un prodotto finito entro i tempi messi a disposizione.

Un momento particolarmente suggestivo durante un’iniziativa ideata per i più giovani dall’Archeopark neolitico di Travo

L’accuratezza del campo storico e della living history condotta dai rievocatori e la contingenza del laboratorio dedicato ai ragazzi, sebbene spesso dividano i medesimi spazi, non devono essere confusi, come può accadere passando a visitarli velocemente o estrapolando da immagini video o foto decontestualizzate.

Tra le tante difficoltà della rievocazione va infatti ricordato che quanto presentato dai rievocatori è uno spaccato sul mondo antico ricreato a uso e consumo di fruitori moderni. Di questo concetto fanno parte sia l’argomento didattico di cui sopra, sia il dolente tasto della spettacolarizzazione.

Dovendo attirare pubblico è necessario agire qualche ulteriore compromesso, che per lungo tempo e spesso ancora oggi, ha preso centralità rispetto al rigore storico e alla veridicità. Purtroppo per lunghissimo tempo si è parlato di rievocazione con riferimento quasi esclusivo al combattimento, relegando attività didattiche e artigianali, meno vistose, in secondo se non terzo piano.
La battaglia, il torneo, la giostra, il duello o l’ordalia sono di chiaro richiamo e al tempo stesso di facile lettura, almeno al livello più superficiale. Questo per molti anni ha fatto sì che la rievocazione fosse prevalentemente relativa all’arte bellica. Tuttavia, per motivi di sicurezza e protezione, i partecipanti agli scontri sono costretti ad adottare alcune precauzioni. Eviterò di citare i casi in cui si adottano armi di plastica o spugna, che non considero nemmeno nel novero delle rievocazioni, ma per esempio sia le armi bianche che da fuoco devono sottostare a regole ferree di sicurezza. Inoltre vengono spesso adottate protezioni aggiuntive, anche se non sono testimoniate per l’epoca, e che non è sempre possibile mimetizzare.

Anche in questo caso l’accuratezza storica deve cedere il passo, per la tutela dei rievocatori e del pubblico.

Cartolina commemorativa nel Millenario dalla nascita del Ducato di Normandia, avvenuta nel 911 in seguito all'accordo tra il capo norvegese Rollone e il re Carlo il Semplice. Capi normanni, 1911 (Foto: Archives départementales de la Manche - Saint-Lô)
Cartolina commemorativa nel Millenario dalla nascita del Ducato di Normandia, avvenuta nel 911 in seguito all’accordo tra il capo norvegese Rollone e il re Carlo il Semplice. Capi normanni, 1911 (Foto: Archives départementales de la Manche – Saint-Lô)

Nel tema della spettacolarizzazione entrano vari altri elementi. Ho partecipato tempo fa ad un acceso dibattito sull’opportunità o meno di far accedere anche le donne al combattimento nell’ambito di una festa celtica. Mentre alcuni di noi tentavano di dare risposte appellandosi a storia e mitologia, argomentando di volta in volta a favore o contro la proposta, intervenne l’organizzatore ricordando che comunque, storicamente valido o no, vedere combattere le donne attira pubblico.

La considerazione ha del (tristemente) vero, ma ci si domanda se abbia senso affannarsi e investire tempo e denaro, discutendo per ore sulla filologicità di ogni singolo dettaglio, se poi le richieste verso i gruppi di rievocazione sono di questo tenore e con queste motivazioni. Ha senso parlare di Boudicca se ci chiedono Xena?

Tra le difficoltà della rievocazione seriamente perseguita c’è quindi quella di trovare spazi dove le potenzialità divulgative non vengano (troppo) sacrificate allo spettacolo. E’ difficile non venire chiamati “figuranti” e costruirsi una credibilità sul piano dello studio e della ricerca, se non viene data la possibilità di dimostrare cosa si può fare.

Le preoccupazioni di ordine economico che spingono gli organizzatori a puntare sui temi “facili” e di ampio richiamo sono sacrosante, ma non è pensabile dare sempre e solo al pubblico quello che richiede. Le manifestazioni ad ampio respiro, magari su più giornate, sono un’ottima occasione per introdurre anche elementi di novità e di maggior spessore, affiancandole magari ai “piatti forti”, ma triti e ritriti, del menù.
Lo scopo divulgativo è tanto intrinseco alla rievocazione quanto quello dell’intrattenimento e il pubblico non potrà mai apprezzare, e quindi richiedere, quello che al momento ancora ignora.

Uno strumento particolarmente accattivante, che risulta naturalmente integrato nella living history e al contempo fornisce il giusto grado di spettacolo e di divulgazione, è la narrazione, in inglese story telling.
I nostri avi, in tutte le epoche antecedenti l’invenzione della televisione, hanno trascorso molto tempo a raccontare storie. In questo senso il momento della narrazione è parte vera e propria della living history, perché mostra un momento tradizionalmente presente nella cultura dei tempi passati. Allo stesso tempo diviene espediente per raccontare al pubblico la storia che non si può mostrare. Può essere la lettura dei testi storici, l’esecuzione di una ballata, l’introduzione contestualizzata di un’azione che verrà “rimessa in atto” dai rievocatori.
Di certo serve una certa maestria nel saper comunicare, che per alcuni è dote innata e per altri va addestrata, come le altre abilità di cui abbiamo già parlato. Del resto anche i bardi e i menestrelli seguivano un loro apprendistato 🙂

Di certo questa mescolanza di un pubblico in abito storico, che rappresenta l’auditorio di un tempo, e di un pubblico in sneakers e smartphone, che è quello dell’evento, è molto suggestiva. Niente riesce a dare un maggior senso alla forza del racconto che resiste al tempo e che torna in vita grazie alla voce del narratore.
Se non vi è mai capitato dovete provarlo: è magico.

Immagine dalla Rievocazione della Battaglia di Waterloo in occasione del bicentenario. (Foto: Richard Pohle/The Times)
Immagine dalla Rievocazione della Battaglia di Waterloo in occasione del bicentenario. (Foto: Richard Pohle/The Times)

Che ci crediate o no avrei ancora molto altro da raccontare sul mondo della rievocazione, ma sospetto di aver terrorizzato abbastanza gli aspiranti rievocatori da dovermi fermare.
Per contro spero di aver reso merito alla complessità e alle difficoltà, ma anche alla bellezza, al fascino e soprattutto all’enorme potenzialità di questa meravigliosa passione.
Per rievocare seriamente servono studio, allenamento, lavoro, ricerca, esborsi, capacità tecniche, organizzative, espositive, recitative e di adattamento alle più svariate richieste degli organizzatori di eventi. Bisogna attraversare la difficoltà di essere utilizzati come mute comparse, venire a stento rimborsati delle spese di trasferimento, essere penalizzati da eventi inadeguati, essere considerati con sufficienza dall’Accademia. Se nonostante tutto questo ancora tanti giovani (e meno giovani) continuano caparbiamente a perseguire questa passione, ed evolvono, migliorandosi, vuol dire che viaggiare nel passato è davvero una gran bella avventura.
Comunque.

950mo Anniversario della battaglia di Hastings. Centinaia di rievocatori in campo. (Foto: Jack Taylor/Getty Images Europe)
950mo Anniversario della battaglia di Hastings. Centinaia di rievocatori in campo. (Foto: Jack Taylor/Getty Images Europe)

Elvira Bevilacqua admin de La Storia Viva

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Una risposta a Il (difficile) mestiere di rievocare la Storia

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