La scoperta del più antico fossile del genere Homo riempe un vuoto evolutivo

Sembra che l’umanità sia invecchiata all’improvviso di quasi mezzo milione di anni. Secondo due studi pubblicati su Science, i paleoantropologi al lavoro in Etiopia hanno scoperto un osso mascellare di 2,8 milioni di anni, il che lo rende il più antico fossile del genere Homo nella linea ancestrale umana mai scoperto in oltre 400.000 anni.

La scoperta potrebbe riempire delle lacune importanti nella comprensione dell’evoluzione umana.

La mandibola appena ritrovata da Chalachew Seyoum  (Foto: Kaye Reed)

La mandibola appena ritrovata da Chalachew Seyoum (Foto: Kaye Reed)

Sotto un incandescente sole africano, il 29 gennaio 2013 un team internazionale di paleoantropologi stava perlustrando un polveroso altopiano alla ricerca di indizi sulle origini dell’umanità. Sopra il terreno, il paesaggio etiope all’estremità settentrionale della Rift Valley sembrava arido, ma la squadra sapeva che sotto la superficie potevano celarsi numerosi fossili.

A soli 60 km di distanza, una precedene generazione di paleoantropologi aveva scavato nel 1974 il parziale scheletro della famosa “Lucy”, un ominide di 3,2 milioni di anni. Più di 40 anni dopo, tuttavia, è rimasto un grande buco nell’albero genealogico umano.

I ricercatori hanno scoperto numerosi fossili della specie di Lucy (Australopithecus afarensis), degli antenati umani bipedi, simili a scimmie antropomorfe, alte un metro e venti e risalenti a 3 milioni di anni fa o più. Hanno anche trovato numerosi resti di altre specie del genere Homo – delle quali l’unica sopravvissuta è l’Homo Sapiens – che risalgono a 2,3 milioni di anni fa o meno. Poco, tuttavia, è stato scoperto di quell’intervallo di tempo di 700.000 anni per spiegare o datare l’evoluzione dall’Australopithecus all’uomo, che avvenne proprio in quel periodo. È quella lacuna nella documentazione fossile che ha impedito agli scienziati di comprendere le origini umane.

Il team internazionale di paleoantropologi, al lavoro in Etiopia nel 2013, cercava di chiudere quel gap scoprendo tracce fossili degi antenati umani. I ricercatori, co-diretti dai professori dell’Università statale dell’Arizona, hanno trascorso un decennio di rilevamenti topografici dell’area prima di cominciare il processo di raccolta dei fossili nel 2012.

Si aspettavano di trovare più esemplari della specie di Lucy, ma ciò che hanno scoperto si è rivelato invece più sorprendente. Chalachew Seyoum, nativo etiope e dottorato all’Università dell’Arizona, stava perlustrando il bordo di un arido crinale quando qualcosa attirò la sua attenzione. Capì subito di aver individuato qualcosa di importante sull’eroso fianco di una collina e per questo gridò ai suoi compagni di accorrere sull’altopiano. Quello che Seyoum gli mostrò era eccezionale. Era il lato sinistro, ben conservato, della mandibola di un ominide con ancora cinque denti attaccati. Il fossile di per sé è piccolo, ma le sue implicazioni potrebbero rivelarsi enormi.

Parte di mandibola ritrovata nell'area di Ledi-Geraru in Etiopia. (Foto: Minasse Wondimu/Anadolu Agency/Getty Images)

Parte di mandibola ritrovata nell’area di Ledi-Geraru in Etiopia. (Foto: Minasse Wondimu/Anadolu Agency/Getty Images)

Secondo gli studi pubblicati sulla rivista Science, questa mandibola è il più antico fossile nella linea ancestrale umana mai trovato e datato, e spinge l’evoluzione del genere Homo indietro nel tempo di quasi mezzo milione di anni. L’analisi della mandibola ha scoperto più similitudini con i più recenti esemplari del genere Homo dell’Africa orientale, che con i più antichi Australopithecus afarensis.

Il mento primitivo e cadente sembra quello di Lucy, ma per via dei suoi molari e premolari e la sua rotonda, proporzionata mascella, è considerato appartenere al genere Homo. “Il nostro studio dettagliato di questo esemplare mostra che è più avanzato, più vicino agli uomini moderni, rispetto ai fossili finora scoperti nell’area, che risalgono tra i 3 e i 3,5 milioni di anni fa”, dice il paleoantropologo Bill Kimbel, direttore dell’Istituto delle Origini Umane dello Stato dell’Arizona.

La datazione radiometrica degli strati di cenere vulcanica intorno al fossile ha rivelato un’età approssimativa dell’osso mascellare compresa tra i 2,75 e i 2,8 milioni di anni, il che lo rende la prima testimonianza del genere Homo mai scoperta. Prima della scoperta, il più antico fossile di Homo conosciuto era un osso mascellare di 2,3 milioni di anni trovato nel nord dell’Etiopia: la nuova datazione spinge dunque indietro l’origine del genere Homo di almeno 400.000 anni. Si pensa che, all’epoca dei nostri antenati, quella parte dell’Etiopia somigliasse di più al Serengeti, con ampie praterie vicino a laghi e fiumi, frequentate da animali da pascolo come gazzelle e zebre.

Dettaglio della mandibola  LD-350-1 (Foto: William Kimbel)

Dettaglio della mandibola LD-350-1 (Foto: William Kimbel)

Rimane della ricerca da fare, tuttavia, per scoprire cosa quegli esemplari mangiassero e se impiegassero utensili di pietra. Bisogna anche lavorare per determinare se questo fossile appartenga a una specie umana sconosciuta o a una estinta, come l’Homo habilis.

La speranza è che il fossile possa essere un indizio cruciale nelle lacune della storia evolutiva. “L’importanza dell’esemplare è che aggiunga dei dati in un periodo di tempo del quale abbiamo pochissime informazioni”, dice Kimbel. “Questo è un piccolo pezzo del puzzle che apre la porta a nuovi tipi di domande e investigazioni sul campo che possiamo fare, per cercare di trovare altre tracce e riempire questo periodo poco conosciuto”.

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