“L’abbigliamento maschile longobardo” – intervista all’autore

Intervista a Yuri Godino

L'archeologo Yuri Godino in abiti longobardi (foto: Camillo Balossini)

L’archeologo Yuri Godino in abiti longobardi (foto: Camillo Balossini)

Ho avuto la possibilità di incontrare il Dottor Yuri Godino in qualche occasione, di solito durante rievocazioni storiche, e di scambiare qualche veloce chiacchiera con lui. Ma dati i contesti, gli approfondimenti seri erano praticamente impossibili per mancanza di tempo e di opportunità.

Il progetto Presenze Longobarde, che Godino presiede, è parte integrante di ARES – Archeologia, Reenactment e Storia, associazione storico-culturale fondata nel 2009 da archeologi professionisti, laureati in discipline umanistiche, ricostruttori e semplici appassionati, che vanta numerose collaborazioni nazionali e internazionali, quali ad esempio l’Università di Torino, il Laboratorio di Archeologia Sperimentale dell’Università di Siena, il Museo di Antichità di Torino. Dal 2013, ARES è membro istituzionale di EXARC, e aderisce a FederArcheo.

In questa prestigiosa cornice Presenze Longobarde si è posta l’obiettivo di studiare il Piemonte longobardo, con particolare attenzione alla prima metà del VII secolo d.C., attraverso lo studio e la ricostruzione materiale di oggetti, contesti e attività artigianali. Una delle tematiche principali di Presenze Longobarde riguarda la ricostruzione dell’abbigliamento maschile e femminile.

Dopo la pubblicazione di un e-book interamente dedicato alla ricostruzione dell’abbigliamento maschile longobardo, le domande da porre a Yuri Godino, e sempre rimandate, erano diventate davvero troppe, mi sono decisa perciò a chiedergli questa intervista. Il carattere schivo dell’archeologo mi ha costretto a un discreto pressing, ma alla fine abbiamo l’intervista.

Domande e Risposte

LSV: Dottor Godino, grazie per aver accettato finalmente questa “chiacchierata” ufficiale. Il suo libro sull’abbigliamento maschile longobardo è stato ai primi posti nella classifica vendite Amazon, della categoria Storia Medievale, per qualche settimana. Innanzitutto me ne congratulo con lei, le dico poi che sono una dei suoi lettori. E’ il primo testo che si occupi direttamente di questo aspetto e lo ritengo quindi assolutamente da conoscere, una sorta di pietra miliare. Ha il sicuro pregio di riepilogare sotto il focus specifico dell’abbigliamento moltissimi lavori e reperti che avvantaggiano chiunque voglia approfondire lo specifico argomento. Queste ricerche se non erro furono presentate a un convegno.

YG: Si, questo studio è stato presentato sotto forma di intervento al IV Convegno Nazionale “Le presenze longobarde nelle regioni d’Italia”, organizzato da FederArcheo a Cosenza nell’ottobre del 2013; è stato un momento molto interessante, perché abbiamo avuto la possibilità di far incontrare uno studio finalizzato alla ricostruzione storica con le opinioni del mondo accademico ed archeologico. Successivamente, Presenze Longobarde ha presentato le proprie interpretazioni sull’abbigliamento in altre sedi (una delle quali, davvero stimolante, all’Early Medieval Archaeological Student Symposium di Durham in Inghilterra), ma è solo grazie alla casa editrice Bookstones di Rimini che ho avuto l’occasione, quest’anno, di pubblicare lo studio sotto forma di saggio.

Il gruppo Presenze Longobarde nella sua ricostruzione di un banchetto aristocratico longobardo, con la partecipazione di alcuni ospiti del gruppo Bandum Freae (Foto: Camillo Balossini)

Il gruppo Presenze Longobarde nella sua ricostruzione di un banchetto aristocratico longobardo, con la partecipazione di alcuni ospiti del gruppo Bandum Freae (Foto: Camillo Balossini)

LSV: Il tema dell’abbigliamento longobardo è piuttosto scottante data la scarsità di fonti e i problemi che lei evidenzia chiaramente nel testo. Il secondo pregio che ho trovato nel suo scritto è l’onestà intellettuale con cui affronta le possibili interpretazioni delle fonti stesse e l’apertura al confronto sulle sue ipotesi verso i ricercatori/appassionati del tema. Ha avuto finora qualche riscontro dall’ambiente accademico o da quello rievocativo?

YG: Solo in parte. Ho avuto il piacere di fare lunghe chiacchierate con alcuni archeologi, che nei casi di studio ricordati nel testo hanno trovato spunti di riflessione per le loro ricerche, e ho avuto uno scambio di pareri davvero stimolante con amici ricostruttori.

Questo però è stato fatto a titolo “personale”. Non credo che in Italia manchi la voglia, o l’interesse, da parte del mondo accademico e archeologico, di confrontarsi con gli studi e le esperienze provenienti dal mondo rievocativo. E non credo, inoltre, che sia assente la voglia di confrontarsi fra ricostruttori in merito agli studi condotti.

LSV: Lei pone l’accento sull’importanza dell’abbigliamento come base di studio dell’intera rete sociale, artigianale, commerciale. Vuole spiegarci questo concetto?

YG: La moda, nella storia dell’uomo, è uno straordinario strumento di espressione di status sociale, e per questo credo sia uno degli aspetti più importanti nello studio di una società antica. Questa ostentazione, in particolare, è ben visibile nelle culture germaniche, dove un individuo “portava” indosso tutti i simboli del proprio status: ornamenti, armi, cinture dall’alto valore simbolico, abiti più o meno caratterizzati da elementi particolari……ricostruire l’abbigliamento di una determinata figura permette di ricostruire il messaggio identitario che questo (o la famiglia di questo, nel caso di una tomba) voleva trasmettere alla comunità. Pensiamo alla donna sepolta nella tomba 47 di Collegno, che portava con sé oreficerie provenienti dalla Gallia, e che in questo modo dimostrava alla società le proprie origini; o prendiamo il caso di molte cinture maschili longobarde, che inglobavano singole placchette metalliche provenienti da altre cinture, probabilmente appartenute a parenti defunti…….Dietro lo studio di un singolo elemento dell’abbigliamento (che sia un frammento di stoffa con cui era confezionata una tunica, o un orecchino femminile,) si nascondono interpretazioni che analizzano l’oggetto sotto numerosi punti di vista: il prodotto finale di una lavorazione artigianale, una merce arrivata attraverso una complessa rete commerciale, una scelta soggettiva – e forse estetica – della persona che lo indossava, il simbolo della possibilità economica del committente…

Penso che lo studio dell’abbigliamento, attraverso numerosi e differenti punti di vista, possa davvero permettere di comprendere come l’uomo longobardo pensava e si comportava.

A destra il corredo della cosiddetta Dama del Lingotto, rinvenuto a Torino: la più completa e ricca sepoltura femminile longobarda del Piemonte; esposto nel Museo di Antichità. A sinistra la ricostruzione di orecchini e collana indossata da vittoria Bettella, membro del progetto Presenze Longobarde.(orecchini di Luca Casini, collana di Laboratorio Orafo Pinerolese foto: Presenze Longobarde)

A destra il corredo della cosiddetta Dama del Lingotto, rinvenuto a Torino: la più completa e ricca sepoltura femminile longobarda del Piemonte; esposto nel Museo di Antichità. A sinistra la ricostruzione di orecchini e collana indossata da Vittoria Bettella, membro del progetto Presenze Longobarde.(orecchini di Luca Casini, collana di Laboratorio Orafo Pinerolese foto: Presenze Longobarde)

LSV: Affrontiamo però anche un altro aspetto: un conto è lo studio allo scopo di conoscere organizzazione sociale, capacità artigianali, simbolismi sociali o spirituali, ma questo libro è stato pubblicato in una collana dal nome esplicito: Living History. Immaginiamo sia anche una “guida ragionata” alle fonti per i rievocatori. Una sorta di linea guida a cui attenersi.

YG: No, non credo all’utilità di “guide ragionate” o “linee guida” fornite ai rievocatori; ciascuno di noi deve elaborare le proprie opinioni ed interpretazioni seguendo un proprio percorso personale. Il mio saggio vuole  semplicemente presentare l’analisi compiuta all’interno del progetto Presenze Longobarde: si tratta di un lavoro di sintesi degli studi fin qui condotti sulla tematica, fornendo una presentazione dei dati archeologici e delle fonti storiche ed iconografiche utilizzabili. L’obiettivo è quello di fornire al lettore uno strumento bibliografico aggiornato da cui partire per le proprie interpretazioni. Ho voluto essere il più oggettivo possibile nella presentazione delle fonti. Nonostante questo, l’ebook è la presentazione di una ricerca finalizzata alla ricostruzione storica: di conseguenza, nel testo sono presenti alcune interpretazioni soggettive, che spero possano contribuire a sviluppare quel dibattito – serio e sereno – di cui si parlava prima!

LSV: c’è un’affermazione che mi lascia perplessa e che lei “grassetta” per darle evidenza. Lei dice che dato il particolare significato di ciascun oggetto rinvenuto nelle sepolture, questo vincola il reenactor “alla ricostruzione del singolo contesto tombale”. Dice che in altro modo si corre il rischio di generare “un falso storico”. Su questo avrei parecchie domande.

Prima di tutto: esistono sepolture, non complete, prive di elementi importanti per l’abbigliamento e con funzionalità insostituibili, per esempio prive di fibbie o di fibule. In questi casi, tenendo conto che parliamo di un mondo senza bottoni e dove la cintura era l’elemento fondamentale e significativo del corredo, sia maschile che femminile, ritiene improponibile una ricostruzione aggiungendo gli elementi mancanti con riproduzioni di oggetti di tombe coeve e dello stesso contesto geografico?

Una pagina dell'e-book sull'abbigliamento longobardo maschile: si esaminano i reperti tessili (Foto: Bookstones edizioni)

Una pagina dell’e-book sull’abbigliamento longobardo maschile: si esaminano i reperti tessili (Foto: Bookstones edizioni)

YG: La frase è una provocazione che vuole portare l’attenzione del ricostruttore su ciò che ricostruisce. Gli studi condotti su molte categorie di oggetti costituenti il corredo funebre stanno evidenziando un particolarismo ben definito nella cultura materiale longobarda: in poche parole, ogni area geografica sembrerebbe avere una propria connotazione in fatto di tipologie di corredi, associazione di reperti, modelli decorativi. Questo fatto si osserva, ad esempio, nella decorazione della ceramica, nella scelta di particolari tipologie di cinture nelle singole necropoli, nelle decorazione dei cosiddetti “scudi da parata”…

La mia intenzione è quella di porre l’attenzione su questo aspetto: un conto è l’integrazione del corredo con alcuni elementi necessari per la ricostruzione di una figura, un altro è il prendere oggetti provenienti da contesti diversissimi fra loro, distanti geograficamente e culturalmente, per ricostruire una figura che si ha in mente, ma che non trova riscontro a livello archeologico.

L’archeologia sta dimostrando come, nelle tombe longobarde, l’associazione dei reperti di un corredo funebre sia una chiave di lettura importantissima per la comprensione del contesto; ogni oggetto deposto nella tomba era un elemento che, unito agli altri, costituiva un chiaro messaggio identitario, una “carta d’identità” dell’inumato….non rispettando queste associazioni, o non riflettendoci sopra, forse si rischia di fare quello che agli occhi di un archeologo sarebbe un “falso storico”.

E poi diciamolo, è qui che sta il bello della ricostruzione longobarda….studiare i rinvenimenti della propria regione, affezionarsi al corredo di una tomba, arrovellarsi per  interpretarne i resti, curare ogni dettaglio della ricostruzione….la ricostruzione storica longobarda ha un potenziale enorme nello studio e nella valorizzazione del passato di un dato territorio!

LSV: Da quanto detto finora possiamo affermare che abbigliamento e accessori del defunto siano quelli di “un’occasione speciale” con forte valenza simbolica. Immaginiamo quindi una differenza tra l’abbigliamento del deposto nella tomba e quello che lui stesso indossava nel suo lontano quotidiano.
Salvo la riproposizione al pubblico di uno specifico “funerale”, i rievocatori di solito “vivono” nel campo storico, eseguendo spesso attività di vita quotidiana o artigianali.
In un contesto in cui un fabbro, un falegname, una tessitrice, stiano svolgendo pubblicamente le loro attività artigianali, non sarebbe poco consono che fossero abbigliati e ornati come nel momento dell’estremo addio? Vestendosi in modo più dimesso e senza ornamenti specificatamente riferiti a una precisa sepoltura starebbero “sbagliando” in termini filologici?
Come dovrebbe comportarsi un reenactor preoccupato della sua coerenza filologica in questi casi, secondo la sua opinione?

Una pagina dell'e-book sull'abbigliamento longobardo maschile: si esaminano alcune fonti iconografiche per la tunica (Foto: Bookstones edizioni)

Una pagina dell’e-book sull’abbigliamento longobardo maschile: si esaminano alcune fonti iconografiche per la tunica (Foto: Bookstones edizioni)

YG: Sicuramente quello che vediamo nelle tombe è il frutto di una scelta effettuata dalla famiglia del defunto al momento del rito funebre; probabilmente, una sorta di “costume nazionale” con tutta una serie di oggetti a caratterizzare l’identità dell’inumato. E’ quindi l’abito per un’occasione “speciale”…

E’ interessante osservare come molti oggetti deposti nelle tombe presentino usure e segni di restauro, indicatori di un utilizzo prolungato in vita; è però impensabile che un uomo o una donna utilizzassero determinati elementi di abbigliamento durante le normali attività compiute in vita. Non credo che una donna indossasse una coppia di fibule a staffa, mentre filava all’interno della propria capanna; né che un artigiano portasse una cintura con una preziosa fibbia, sopra una tunica rovinata dal lavoro manuale. Personalmente, ritengo che il rievocatore debba separare i vari momenti, in base a cosa voglia fare in un dato momento: mostrare su di sé le repliche di un determinato corredo funebre, nel caso voglia concentrarsi sulla presentazione di una tomba, oppure dedicarsi ad una attività particolare, ponendo l’attenzione sull’attività compiuta. E di conseguenza, variare il proprio abbigliamento e i propri ornamenti.

LSV: Veniamo a quel po’ di certo che conosciamo delle fibre tessili utilizzate dai longobardi. Lei cita una quantità di tessuti che sono francamente impossibili da rinvenire oggi: la stippa, il tomentum, il bissum.

Fortunatamente i più diffusi sembrano essere lino e lana. Ma anche quando reperiamo lana e lino non è così facile né economico trovare produttori che li lavorino con le esatte tecniche del tempo. Eppure questo vuol dire che comunque i nostri abiti, per quanto replicati con la maggior attenzione possibile, non ci faranno mai apparire come apparivano i longobardi: diversa reazione alla tintura, diversa duttilità del tessuto, diverso effetto complessivo. Cosa ne pensa?

YG: Questo è un aspetto che il ricostruttore deve tenere sempre ben presente, sia quando sviluppa la propria ricostruzione, sia – in particolar modo – quando presenta il proprio lavoro al pubblico. Come ha detto giustamente lei, alcune fibre tessili ricordate dalle fonti sono ormai irreperibili: pensiamo all’ortica, il cui utilizzo tessile è testimoniato in un paio di casi nell’Italia longobarda, o al bisso, la cui lavorazione sarebbe oggi quasi scomparsa, se non fosse per lo straordinario lavoro condotto da persone come Chiara Vigo, del Museo del Bisso di Sant’Antioco.

Lino, lana e – in parte – canapa sono invece materiali di facile reperimento, ma ovviamente le stoffe in commercio sono frutto di produzioni moderne; è possibile, in linea teorica, trovare artigiani che curino l’intera filiera del prodotto, ma in questo caso – com’è normale – i costi economici diventerebbero inaffrontabili per un semplice progetto rievocativo. Il dubbio sulla qualità della ricostruzione di una stoffa, o di un indumento, rimarrà sempre; e, per alcuni aspetti, è giusto che sia così. E’ solo con l’autocritica che possiamo migliorare in continuazione la ricostruzione storica di un dato periodo. La scarsità di informazioni in nostro possesso sul periodo altomedievale non ci permette di avere indicazioni sull’esatta tonalità dei colori utilizzati nell’abbigliamento, o su come doveva apparire in definitiva una veste. Se su alcuni aspetti generali possiamo proporre delle interpretazioni “sicure”, su molti dettagli della tematica possiamo solamente provare a dare risposte soggettive e criticabili.

L’importante, e questo non mi stancherò mai di dirlo, è che le nostre ricerche partano da dati ed informazioni certe. Il divario fra passato e presente ci sarà sempre, ma il ricostruttore, attraverso esperienze personali e collaborazioni con artigiani competenti, dovrà cercare di limarlo il più possibile, ad ogni nuova ricostruzione, cercando di migliorare progressivamente il proprio lavoro.

LSV: Lei pone l’accento su un problema comune a tutti i rievocatori. Praticamente ogni singolo dettaglio deve essere “ricostruito” partendo da reperti, iconografie e ipotesi. E’ un’impresa complessa e ogni rievocatore dovrebbe trasformarsi in ricostruttore in svariati ambiti artigianali.

Ricostruzione della cintura multipla ageminata dalla tomba t53 di Collegno realizzata da Martin Jung per Presenze Longobarde.

Ricostruzione della cintura multipla ageminata dalla tomba t53 di Collegno realizzata da Martin Jung per Presenze Longobarde.

YG: Un ricostruttore non può realizzare ogni riproduzione di cui ha bisogno; al di là delle parole, non esistono tuttologi, purtroppo, e pensare che una persona sia in grado contemporaneamente di tessere e tingere una stoffa, confezionare una tunica, di forgiare una lama, lavorare il legno, ageminare una placchetta metallica e fondere una fibbia in bronzo mi sembra davvero eccessivo.

La curiosità che anima ogni ricostruttore lo spingerà a provare e sperimentare più attività possibili, tutti siamo passati – non uscendone! – attraverso la voglia di riscoprire lavori che sono lontanissimi ormai dalla nostra quotidianità; ma è impossibile pensare che una persona sola possa arrivare, nel tempo libero, a padroneggiare le varie conoscenze artigianali, conoscenze che venivano apprese all’interno di una bottega, quotidianamente, fin dai tempi dell’apprendistato. Non dobbiamo porre dei limiti alla curiosità e alla voglia di sapere, ma ritengo che sia più utile, a livello di risultati ricostruttivi, concentrarsi personalmente in pochi ambiti, da analizzare e riscoprire tenacemente con lo studio e la pratica……Da qualche anno, ad esempio, ho iniziato ad approfondire con la pratica gli studi fatti all’Università sulla ceramica antica, e ogni giorno mi accorgo di quante cose nuove ci siano da provare, osservare, approfondire, e di quanto poco tempo io abbia a disposizione per farlo. Personalmente, non potrei veramente affrontare in maniera decorosa la totalità di attività artigianali di cui il ricostruttore ha bisogno….

LSV: Ecco quindi perché il ricostruttore si rivolge ad un artigiano competente; cosa che non è mai semplice.

YG: Non ci si affida semplicemente ad un artigiano. Ci si affida ad una competenza formatasi nel corso di una vita, che può integrare, validare o confutare le nostre ipotesi, apportando una crescita enorme al nostro lavoro ricostruttivo. Per qualcuno può sembrare riduttivo affidarsi ad un artigiano per realizzare una ricostruzione: come se bastasse sfogliare un catalogo di prodotti e, con un semplice click, portare a casa un’occasione. La ricostruzione di un oggetto, la replica di un reperto è un momento unico ed originale, e molto spesso gli artigiani a cui ti rivolgi non hanno nemmeno idea di cosa tu stia chiedendo loro: conoscono alla perfezione il proprio lavoro, e sono fonte inesauribile di spunti, ma quanti artigiani possono dirsi esperti, ad esempio, di cultura materiale longobarda? Ecco che allora inizia un percorso fra persone con competenze diverse, e lo studio dettagliato compiuto dal ricostruttore trova compimento nel sapere pratico di un artigiano, che, come ho detto prima, può integrare o modificare le interpretazioni teoriche. E’ questo scambio di “saperi” che permette alla ricostruzione storica di migliorare, e di perseguire il proprio obiettivo: ottenere nuovi dati  approfondendo determinati aspetti “pratici” della ricerca storica.

Non sto dicendo niente di nuovo, queste cose le diceva già John Coles in merito all’archeologia sperimentale: l’archeologo da solo farebbe poche cose, se non si confrontasse ed utilizzasse l’enorme bagaglio di conoscenze del mondo artigianale.

Una pagina dell'e-book sull'abbigliamento longobardo maschile: le armature tessili (Foto: Bookstones edizioni

Una pagina dell’e-book sull’abbigliamento longobardo maschile: le armature tessili (Foto: Bookstones edizioni)

LSV: La ricchezza dell’abito dipendeva anche dalla particolare armatura del tessuto, o dalla finezza dei fili utilizzati. Questo punto nel suo libro è ben sottolineato. Una semplice orditura a tela ma eseguita con fili sottili o con effetti dati da torsioni diverse del filo o da diversi spessori potrebbe distinguere una tomba di livello sociale più elevato. Spesso si vede puntare al colore o alla fibra per significare un alto rango, come se mancasse la sensibilità nella corretta estimazione della tecnica artigianale. Vuole commentare?

YG: Fibra e colore sono elementi importanti nella caratterizzazione di un abito, ma è interessante vedere come la maggior parte dei rinvenimenti tessili nelle tombe longobarde sia pertinente ad armature a tela. Questo non deve però far pensare a tessuti meno pregiati rispetto ad una stoffa con armatura a losanga, ad esempio, o con armatura reps. Ci sono tele rinvenute all’interno di tombe longobarde caratterizzate da corredi molto ricchi, che mostravano, ad esempio, un alto numero di fili per centimetro, filati molto sottili e torsioni alternate: tutti indicatori di un elevata abilità artigianale, che caratterizzavano un prodotto di pregio. Alcuni rinvenimenti archeologici hanno mostrato tessuti con armatura in tela, ma dove la diversa torsione dei fili faceva comparire nella stoffa dei motivi a scacchiera: se questa “decorazione” fosse poi accentuata dall’utilizzo di filati con colori diversi, questo non è dato sapere!

LSV: Veniamo a quello che sembra essere un grosso “scoop” anche se, essendo tra i dati archeologici, è in realtà a portata di appassionato. La seta non sembra essere mai stata presa in considerazione nelle ricostruzioni longobarde. Gliel’abbiamo vista indossare recentemente in una tunica che mi ha fatto riflettere non poco, anche per le decorazioni. Ci può raccontare qualcosa sulla sua ricostruzione?

YG: Le fonti storiche sembrano far pensare ad una predilezione delle elites germaniche per questa stoffa preziosissima, che arrivava dal Vicino Oriente nei modi più disparati, anche tramite doni diplomatici o contrabbando. Ovviamente, stiamo parlando della più alta aristrocrazia del Regnum, la sola capace di  permettersi una merce così costosa. E’ stato sorprendente vedere quanta seta altomedievale si sia conservata nei diversi musei italiani ed europei: un alto numero di casi, che ben testimonia questa “moda” aristrocratica….

All’interno di Presenze Longobarde, abbiamo proposto la ricostruzione di due tuniche maschili, caratterizzate da decorazioni in seta. La prima è stata realizzata dai membri del progetto, utilizzando come decorazione della seta rossa con armatura diamantata; la seconda, realizzata da Darius Wieworka, è stata fatta con un tessuto di lana diamantata, tinta naturalmente, con applicazioni in seta decorata con motivi stampati. Immagino si riferisca a quest’ultima veste……!

Due ricostruzioni proposte da Presenze Longobarde durante la loro partecipazione a un evento rievocativo all'Alamannenmuseum di Vörstetten in Germania (foto: Alamannenmuseum Vörstetten)

Due ricostruzioni proposte da Presenze Longobarde durante la loro partecipazione a un evento rievocativo all’Alamannenmuseum di Vörstetten in Germania (foto: Alamannenmuseum Vörstetten)

Questa tunica è una prova, un esperimento. In alcune iconografie del periodo (si veda il cosiddetto barbaro nel Piatto di Isola Rizza, o il longobardo raffigurato nell’anello-sigillo di Rodchis, proveniente da Trezzo sull’Adda), si vedono delle linee stilizzate che decorano le applicazioni decorative delle tuniche; in molti ci siamo chiesti se questi segni possano essere la stilizzazione delle immagini raffigurate sulle sete bizantine e sassanidi, che riprendono motivi animali, mitologici, vegetali e antropomorfi inseriti all’interno di medaglioni e rotae. La tunica è quindi un esperimento “visivo”: l’obiettivo è quello di presentare al pubblico questa ipotesi, mostrando come poteva apparire una ricca tunica decorata con seta orientale. La ricostruzione non è completa, poichè si scontra con un grande problema: l’impossibilità di reperire il materiale corretto. I motivi decorativi presenti erano intessuti direttamente nella seta, realizzati durante la tessitura della stoffa; se è difficilissimo, ad oggi, trovare un tessuto serico con questo tipo di lavorazione, è quasi impossibile pensare di trovarlo con il motivo corretto. Di conseguenza, per mostrare questa “variante” di tunica, abbiamo optato per una seta con la decorazione stampata: un errore, siamo i primi a dirlo, che però rappresenta un compromesso utile a presentare un’interpretazione diversa e originale dell’abbigliamento maschile longobardo……spero che questo compromesso sia temporaneo, presentando nel prossimo futuro una ricostruzione più adeguata!

LSV: La foggia degli indumenti ci pare argomento ancora più ostico rispetto a quello delle fibre tessili e delle armature dei tessuti, dal momento che non abbiamo un solo esempio di capo completo a tutt’oggi in Italia o in altri territori popolati dai longobardi, come la Pannonia. La sua analisi si basa su una ricerca iconografica davvero certosina. L’argomento mi preme particolarmente perché mi pare di riscontrare nelle sue conclusioni una ipotizzata varietà di fogge su quasi tutti gli indumenti del vestiario, che mi sembra piuttosto ovvia, mentre nel mondo rievocativo si vede una sorta di standard. Ci può dare la sua opinione?

YG: Il problema di una standardizzazione delle ricostruzioni è probabilmente dovuto all’esiguità delle fonti storiche a nostra disposizione, che purtroppo sono eterogenee e “spalmate” in un arco cronologico molto ampio, impensabile agli occhi di un ricostruttore di un altro ambito cronologico.

Ho voluto intitolare il capitolo dedicato agli indumenti con una frase tratta da Isidoro di Siviglia, che ricorda come “Alcune genti vestono un abito caratteristico”; il concetto è ripreso da altri autori altomedievali, che confermano quindi come ciascuna cultura dovesse avere proprie caratteristiche in fatto di moda e abbigliamento. Se pensiamo a quante tradizioni dovevano comporre il popolo longobardo (dai sassoni ai gepidi, tanto per citare qualche “etnia”), e quali influssi esterni i Longobardi dovettero subire nel corso della propria storia (dalle influenze mediterranee a quelle degli altri popoli germanici vicini, quali i Franchi e i Bavari), il quadro che emerge si fa davvero articolato. Le fonti archeologiche mostrano fibule burgunde, orecchini mediterranei, armi merovinge nelle tombe longobarde; i cronisti del tempo ricordano l’adozione di mode “straniere”, come le calze “romane” o le vesti simili a quelle anglosassoni, mentre le iconografie rivelano tuniche e pantaloni decisamente mediterranei. Penso che ci sia del materiale per poter scongiurare una standardizzazione del mondo rievocativo: credo però che le molte esperienze rievocative italiane lo stiano già facendo, prendendo strade fra loro differenti ed originali, e fornendo un quadro diversificato e ricco di spunti.

Una pagina dell'e-book sull'abbigliamento longobardo maschile: analisi iconografica e ipotesi (Foto: Bookstones edizioni)

Una pagina dell’e-book sull’abbigliamento longobardo maschile: analisi iconografica e ipotesi (Foto: Bookstones edizioni)

LSV: Sono particolarmente interessata, alla parte sui gheroni. Come occasionale rievocatrice mi sono a suo tempo documentata per stabilire la struttura del mio abito.

L’etimologia del termine gherone, in ogni dizionario italiano, è riferita al germanico gair che sta per “punta di giavellotto”, che ha forma triangolare. Per metafora ne deriva un significato molto specifico in italiano, ovvero “triangolo”, applicato però sistematicamente ad ambiti tessili.
Troviamo un riferimento in Boccaccio “alzandosi i gheroni della gonnella” per l’abbigliamento, ma anche in marina si dicono gheroni i rinforzi triangolari delle vele o in araldica gli inserti triangolari di colore contrastante. Parrebbe strano che proprio i germanici longobardi, a cui dobbiamo il termine, non ne facessero lo stesso uso che ne abbiamo fatto noi, ovvero quello sartoriale.
Inoltre nel mondo antico troviamo gheroni a partire dal IV sec. a.C. fino ben oltre il X d.C., con una distribuzione geografica che va dagli altipiani siberiani, al mondo mediterraneo, fino alle coste del mare del Nord. Un lavoro dettagliato di Chrystel Richarda Brandenburgh dell’Università di Leiden, sui reperti olandesi, riporta di un gherone di lana ritrovato in Middelburg datato tra il 700 e l’800 d.C., altri a Dokkum con datazione tra il 500 e il 900. Citiamo ancora il famosissimo esempio della tunica di lino di Bathilde, pieno VII secolo, o gli altri esempi da lei ricordati.
Eppure ho ricevuto contestazione in merito ai gheroni sul mio abito senza peraltro che io sia riuscita a ottenerne le motivazioni. L’affermazione è che in assoluto i gheroni non venissero utilizzati dai longobardi.
Possiamo affermare che gli abiti, maschili e femminili, presentassero questo particolare accorgimento sartoriale? Oppure che, come lei stesso riporta in qualche punto della sua analisi di altri elementi, ci potessero essere delle varianti e non necessariamente modelli rigorosi?

YG: Personalmente, trovo estremamente rischioso affermare che i cosiddetti “gheroni” non esistevano. Vi sono elementi a supporto della teoria che vuole l’utilizzo di inserti e tasselli nell’abbigliamento germanico, mentre non capisco su quali basi storiche, archeologiche o sperimentali si basi il pensiero del “no-gherone”; sarebbe interessante organizzare una tavola rotonda sull’argomento, per far incontrare le due opinioni e discutere con dati alla mano.

Innanzitutto, nel mio lavoro, per gherone ho inteso tutti quegli inserti di stoffa, di forma triangolare, utilizzati per dare ampiezza ad una veste, posti sia ai lati che nella parte centrale dell’indumento. Come ha ricordato lei, nell’europa germanica compaiono reperti che presentano questa soluzione sartoriale, e anche in alcuni indumenti provenienti dal Mediterraneo orientale troviamo inserti di questo tipo, anche se utilizzati in maniera leggermente differente.

Non essendosi conservati abiti longobardi, quando utilizziamo confronti archeologici dobbiamo per forza ampliare il discorso al contesto germanico; alcune iconografie “italiane” del periodo sembrano comunque presentare numerosi spunti di riflessione. E’ possibile infatti osservare come, in alcune immagini, la raffigurazione del panneggio di una veste assuma “forme” triangolari nel punto in cui dovrebbero trovarsi i gheroni: mi sono sempre chiesto se queste rappresentazioni grafiche potessero essere stilizzazioni, anche involontarie, di tasselli e gheroni.

Come ho scritto nel saggio, sono convinto che il periodo in cui si inserisce la cultura longobarda sia un momento di transizione della moda occidentale, con il graduale abbandono di modelli di tunica tardo-romani e lo sviluppo di indumenti più articolati, confezionati tramite l’ausilio di tasselli e gheroni. Probabilmente, in questo periodo, nell’europa germanica dovevano coesistere differenti tipologie e modelli di tunica, alcune con caratteri “arcaici” o di tradizione mediterranea, e altre caratterizzate da nuove soluzioni sartoriali. Ecco perché non credo all’esistenza di rigorosi modelli sartoriali nel mondo longobardo (e ricostruttivo), e mi risulta difficile accettare l’idea del “gherone-si” e “gherone-no”

Gli elementi distintivi su cui bisogna porre l’attenzione – e discutere fra ricostruttori – sono altri, basati esclusivamente sulle fonti: le forme dei colletti, le lunghezze delle maniche e delle tuniche, le decorazioni.

Una pagina dell'e-book sull'abbigliamento longobardo maschile (Foto: Bookstones edizioni)

Una pagina dell’e-book sull’abbigliamento longobardo maschile (Foto: Bookstones edizioni)

LSV: A proposito di decorazioni veniamo a un’altra vexata quaestio della rievocazione longobarda. La questione delle bordure tessute a tavolette. Se è pur vero che sono pochi i ritrovamenti di tavolette effettuati in Italia, a causa della deperibilità dei materiali in cui le tavolette stesse erano prodotte, è anche accertato che si tratti di un tipo di tessitura antichissimo, attestato in ogni angolo del globo, presso ogni etnia.

Questo ovviamente non è sufficiente a dimostrare che necessariamente fosse utilizzata dai longobardi e in quello specifico modo, ovvero per produrre una passamaneria da applicare a finitura e decorazione del capo di abbigliamento. Le stesse tavolette avrebbero potuto essere utilizzate per produrre le bordure delle pezze di stoffa direttamente su telaio, ad esempio. I ritrovamenti che lei cita sembrano fugare ogni dubbio.

YG: Io ho sempre dato per scontato l’utilizzo di bordure realizzate mediante la tecnica delle tavolette. Per il periodo longobardo, abbiamo rinvenimenti di tavolette in osso in Nord Italia, che non sono comunque indice di un esclusivo utilizzo per le bordure, come ha sottolineato lei. Come per il resto degli indumenti, anche questo elemento, in materiale organico, non si è conservato; non vi sono quindi, in Italia, resti come quello merovingio di Santa Bertilla, ad esempio. Ma numerosissime sepolture longobarde hanno conservato tracce di decorazioni in broccato d’oro, che venivano realizzate con lo stesso metodo; mi sembra strano pensare che si utilizzasse l’oro come filato nella tecnica delle tavolette, e che non ci fosse una produzione parallela – anche domestica – di passamanerie in fibre meno pregiate. Ci sono alcune evidenze archeologiche che potrebbero far pensare a decorazioni ottenute con questa tecnica (l’esempio di Romans su tutti), ma le tracce materiali sono di difficile lettura, e possono essere oggetto di diverse interpretazioni. Mi ha sorpreso, invece, osservare la tunica di Longino, raffigurato nella Crocifissione di Santa Maria Antiqua: si vede chiaramente il dettaglio della manica, dove i due bordi del segmento decorativo della manica sembrano essere “in rilievo”….Questo elemento ci ha fatto riflettere molto, anche sull’utilizzo “funzionale” delle passamanerie: utilizzandole nelle nostre ricostruzioni di abiti, si sono rivelate utilissime nel proteggere dall’usura le cuciture delle decorazioni applicate.

LSV: I rievocatori che leggeranno il suo testo troveranno interessanti anche i riferimenti relativi alle brache, purtroppo non italiani, ma almeno coevi. A quanto pare anche qui abbiamo una discreta varietà di modelli diversi.

YG: All’inizio dello studio sull’abbigliamento, credevo che la questione “brache” fosse quella più complicata, poiché nell’iconografia altomedievale questo tipo di indumento è molto spesso nascosto dalla tunica, dalle fasce o dai tubrugi; inoltre, credevo che molte raffigurazioni fossero di difficile interpretazione in quanto prive di un confronto “materiale”. Sono stato quindi davvero colpito dalla relativa abbondanza di reperti conservati, anche se nel testo ho voluto citare solamente quelli “europei” e databili al VI-VII secolo. Ovviamente, nessuno di questi proviene dall’Italia, ma tutti risultano comunque pertinenti a

Una pagina dell'e-book sull'abbigliamento longobardo maschile: analisi iconografica (Foto: Bookstones edizioni)

Una pagina dell’e-book sull’abbigliamento longobardo maschile: analisi iconografica (Foto: Bookstones edizioni)

culture materiali estremamente affini a quella longobarda.

Insomma, con le brache ho imparato una lezione: si cita sempre e solo lo straordinario rinvenimento di Thorsberg (di IV-V secolo, tra le altre cose) ma è bastato approfondire un poco di più la ricerca per scoprire nuovi casi di studio.

LSV: Trovo interessantissimo lo scrupoloso lavoro di ricerca sulla sospensione della spada. Pare che siamo ben lontani dall’aver compreso chiaramente l’uso e la disposizione persino di quegli elementi di cui abbiamo reperti completi. E che le varianti per il periodo, anche in questo ambito, siano numerose.

YG: Questa ricerca è stata davvero interessante, e non sarebbe mai potuta esistere senza il caro amico Lars Luppes, che commentando con un insindacabile “Ah, italians…..”, ha messo in discussione molte ipotesi sulla cintura per la spatha.

Le straordinarie scoperte archeologiche dell’ultimo decennio hanno permesso di aumentare i casi di studio e permettere il proseguio di una riflessione in merito al sistema di sospensione della spatha, avviato nel 1988 da Marco Ricci sui reperti bergamaschi. Applicando il suo modello ad un particolare contesto, ci siamo accorti di come potevano esserci varianti e differenze tra cinture aventi la stessa funzione, e che la sua ricostruzione poteva non adattarsi a tutti i reperti; utilizzando i singoli elementi metallici come se fossero tessere di un puzzle, e riflettendo su singoli dettagli ed aspetti, abbiamo ipotizzato una tipologia di cintura differente, che sembrerebbe trovare riscontro in altri casi di studio.

Penso, in sostanza, che esista una varietà tipologica molto più articolata di quanto creduto fino ad ora, e che ogni singola cintura debba essere interpretata – e ricostruita – partendo da zero, senza utilizzare aprioristicamente modelli precostituiti. Solo aumentando i casi di studio potremo pensare, nel prossimo futuro, ad elaborare tipologie e varianti ben definite.

A tal proposito, vorrei ricordare una nuova esperienza ricostruttiva, portata avanti da Andrea Zambon del progetto Helvargar: vorrei ringraziarlo perché, dando fiducia alla nostra ipotesi, ha permesso di aggiungere nuove informazioni a questo studio, applicandolo ad un reperto proveniente da Montecchio Maggiore (VI). E’ questo spirito di confronto e di scambio di opinioni che porterà alla crescita della ricostruzione altomedievale italiana!

LSV: Grazie di cuore per il tempo dedicato e per la chiarezza delle risposte. Sappiamo che la sua pubblicazione, oltre al successo riscosso in Italia, ha incuriosito alcuni rievocatori stranieri e che, su esplicita richiesta, è in corso una traduzione in lingua inglese. Ci sarà anche un futuro saggio sull’abbigliamento femminile?

YG: Si, i Longobardi stanno incuriosendo anche i ricostruttori stranieri, e alcuni amici mi hanno chiesto la possibilità di leggere il testo in inglese. Lo sto traducendo, spero di finire il lavoro a breve!

In merito alla sua domanda, invece, non saprei davvero fornirle una risposta: la volontà c’è, e all’interno del Progetto Presenze Longobarde abbiamo fatto uno studio sull’abbigliamento femminile, che però non si è ancora concluso. Oltre ai confronti che di solito vengono ricordati, quali ad esempio le iconografie cividalesi, ci siamo imbattuti in tutta una serie di informazioni estremamente interessanti, che sono però di difficile interpretazione. Il quadro che emerge è – da parte nostra – di difficile lettura, con dati tra loro eterogenei che mal si raccordano in un discorso coerente…vedremo! Spero che qualche altro progetto ricostruttivo possa proporre un suo studio, in modo da poter confrontare le nostre interpretazione e tentare una sintesi!

LSV: Le auguro altrettanta e maggior fortuna per l’edizione inglese quindi e che quest’operazione si traduca nell’avvio di proficui confronti e ulteriori collaborazioni.
Vorrei aggiungere un sentito ringraziamento ad Andrea Carloni, direttore della collana Living History e a Marco Sassi, titolare della casa editrice Bookstones. Il loro impegno editoriale sta fornendo uno spazio ai ricostruttori, che possono così dimostrare lo studio che prepara alla ricostruzione. Con loro, sebbene con strumenti molto meno importanti, condivido lo scopo divulgativo e quindi non posso che applaudirli.

Buon lavoro a tutti voi!
Elvira Bevilacqua – admin de  La Storia Viva

Aggiorniamo l’articolo in data 29 dicembre 2016 per informare dell’uscita dell’e-book in versione inglese.

 

Copertina del libro "L'abbigliamento maschile longobardo" edito in versione e-book da Bookstones edizioni nella collana Living History

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