Mongol, 2007, di Sergei Bodrov

Dalla rubrica sui film storici di Archeologia tardoantica e altomedievale a Siena pubblichiamo la recensione di Marco Valenti.

543930_314666305328795_440795826_nIl film di questo fine settimana, Mongol, girato da Sergei Bodrov e scritto insieme a Sergej Aliyev fu candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 2008 (Bodrov aveva già vinto un Oscar con Il prigioniero del Caucaso).
La produzione è molto complessa (tedesca, russa, kazaka e mongola).

Si ispira alla vita di Temüjin, poi noto come Gengis Khan; trae la maggior parte della trama dalle poche fonti disponibili e soprattutto dall’unica di un certo calibro (anche se nobilitatrice della storia reale nel redigere una un eroico mito delle origini): “La Storia segreta dei Mongoli”, scritta da un suo figlio adottivo.

 

482167_314664168662342_106820144_nNon a caso, quindi, Temüjin è ritratto alla stregua di nobile condottiero senza paura, visionario nel suo disegno di grandezza poi realizzato, con alla base del suo successo il rapporto con la moglie Borte sua più fidata consigliera.
Il film è quindi ambientato nella metà del XII secolo, vede la scelta di scenari meravigliosi ed epici come le steppe senza fine dell’Asia centrale, tra Kazakistan e Cina occidentale.
Può essere diviso in due parti.

644329_314664075329018_1213213337_nLa prima, la vera fase eroica della sua vita, incentrata soprattutto sull’adolescenza durissima di Temüjin che dopo l’omicidio del padre è ridotto in schiavitù; riuscito ad evadere vive miseramente con la madre e i fratelli e costituisce una eccezionale rappresentazione della vita nomade, della sua brutalità.

La seconda concerne la sua ascesa al potere, basata su energia, astuzia, crudeltà collegate comunque a un innato senso di giustizia. Culmina con la grandiosa battaglia che segnerà il suo destino contro la tribù dei Merkit composta da guerrieri con maschere terrificanti.

483820_314664051995687_984069939_nIn generale la pellicola è veramente di alto livello, caratterizzata da ottime ricostruzioni, da costumi dettagliati, da atmosfere convincenti; se si sono visti alcuni difetti in particolare delle incongruenze con la storia conosciuta (dovute a esigenze del racconto e quindi filmografiche) e nelle poche scene con guerrieri armati dell’arco curvo (i mongoli combattevano soprattutto a cavallo con quest’arma), non è certo un eccesso la battaglia finale dominata da cavalieri eroici e da schizzi di sangue copiosissimi; rientra perfettamente nel divenire del film con la catarsi finale dell’affermazione dopo uno scontro epico.

A me ha colpito molto, inoltre, come viene tratteggiato il costituirsi della Sippe anche se so che il termine non è giusto in questo caso, essendo istituzione della società germanica antica; ma assistiamo a tale fenomenologia cioè alla formazione di un nucleo sociale di individui che si riconoscono nella discendenza da un antenato comune.

E sullo stesso piano si osservano elementi di notevole approfondimento nel tratteggiare la formazione della Gefolgschaft (uso di nuovo un termine legato alla Germania antica) cioè la libera unione di guerrieri attorno a un capo quando alcuni uomini del fratello di sangue di Temüjin decidono di unirsi invece a lui, poiché più generoso nella spartizione del bottino.

Come spesso accade, anche in questa pellicola si riescono a rintracciare elementi o situazioni che sono di grande utilità per i nostri studenti, se sono interessati realmente a comprendere le società del passato e i loro meccanismi.

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