Schiarazula Marazula, un ballo medioevale odiato dall’Inquisizione

Uno dei brani più affascinanti di Angelo Branduardi è Ballo in fa diesis minore, del 1977, contenuto nell’album La Pulce d’acqua. Il brano è ispirato alla danza macabra medioevale, in cui la morte viene rappresentata mentre guida una danza che accompagna uomini di ogni condizione sociale al loro inesorabile destino.

Nella chiesa luterana di Marienkirche (Berlino-Mitte), fondata a metà del XIII secolo ed ampliata nel tempo, si trova la celebre "danza macabra" del 1485.
Nella chiesa luterana di Marienkirche (Berlino-Mitte), fondata a metà del XIII secolo ed ampliata nel tempo, si trova la celebre “danza macabra” del 1485.

Branduardi suggerisce, nel testo, un esorcismo della Morte attraverso la musica e la danza. Il riferimento è alla “danza della cintura”, danza circolare del Centro-Europa; ma anche al “ballo tondo” della Sardegna, un ballo sacro e pagano che porta a forme di esaltazione collettiva, in cui si esce dai confini della propria persona. Un po’ come morire a se stessi ma continuare a vivere nella musica e vincere così la Morte. Con le parole dello stesso Branduardi: “…c’è l’idea che la musica abbia un potere talmente alto da far dimenticare alla morte di essere venuta per portarci via. Un esorcismo della morte attraverso la musica e la danza“.

Il testo

A Pinzolo, piccolo comune in provincia di Trento, c’è la chiesa di San Vigilio, risalente al X secolo e ampliata nel XVI secolo. Nella facciata destra della chiesa vi sono numerosi affreschi, proprio sotto la gronda, è raffigurata una danza macabra, realizzata dal pittore bergamasco Simone Baschenis da Averaria tra il 1519 e il 1539, la sua firma è visibile come la data in cui fu terminata l’opera, il 25 ottobre 1539. 

Veduta della chiesa di San Vigilio a Pinzolo(TN) in una cartolina d'epoca (cliccare per l'ingrandimento)
Veduta della chiesa di San Vigilio a Pinzolo(TN) in una cartolina d’epoca
(cliccare per l’ingrandimento)


L’affresco è alto 2 metri e lungo 22 metri e vi è raffigurato un corteo che procede da destra verso sinistra.
Si tratta di 18 personaggi, ciascuno trafitto da una freccia e accompagnato da uno scheletro, che procedono danzando verso la morte, rappresentata da uno scheletro seduto su un trono e con una corona che suona la cornamusa conducendo la danza, a significare l’assoluto dominio della morte su tutti gli uomini, di qualsiasi condizione. Ogni personaggio rappresenta una determinata figura sociale: un papa, un cardinale, un vescovo, un sacerdote, un imperatore, un duca, un cavaliere, un ricco avaro, un giovane vanitoso, ecc.  

Dettaglio della Morte coronata intenta a "suonare" la danza per gli umani
Dettaglio della Morte coronata intenta a “suonare” la danza per gli umani

Proprio sotto la morte e i due scheletri che la accompagnano si trova un’iscrizione con le parole con cui la morte di Pinzolo ammonisce gli uomini :
Io sont la morte che porto corona
Sonte signora de ognia persona
Et cossi son fiera forte et dura
Che trapaso le porte et ultra le mura
Et son quela che fa tremare el mondo 
Revolgendo mia falze atondo atondo
O vero l’archo col mio strale
Sapienza beleza forteza niente vale
Non e Signor madona ne vassallo
Bisogna che lor entri in questo ballo
Mia figura o peccator contemplerai 
Simile a mi tu vegnirai
No offendere a Dio per tal sorte
Che al transire no temi la morte
Che più oltre no me impazo in bene male
Che l’anima lasso al judicio eternale 
E come tu averai lavorato
Cossi bene sarai pagato

Come si vede l’incipit del famosissimo brano riprende l’inizio del discorso della morte di Pinzolo.

La musica

Ma è il brano musicale utilizzato da Branduardi che ci ha incuriositi soprattutto. La musica in questione non possiede tanto un legame con la Totentanz (la danza macabra), quanto con paganesimo e stregoneria, ed è una storia non molto nota. Una storia che si svolge tutta nel Friuli del XVI – XVII secolo.
Lo spartito del brano ci è pervenuto in un’opera del 1578, Il primo libro dei balli accomodati per cantar et sonar d’ogni sorte de instromenti  di Giorgio Mainerio

mainerio

Mainerio nacque a Parma nel 1535 da un padre di probabile origine scozzese (a suffragio di questa ipotesi è il fatto che Giorgio firmasse scrivendo Mayner). La sua educazione contemplò lo studio della musica, ma non intraprese subito la carriera musicale, giacché nel 1560, con la qualifica di presbitero, concorse ad un posto di cappellano e altarista nella chiesa udinese di Santa Maria Annunziata. Mainerio visse ad Udine tra il 1560 e il 1570; qui, grazie alle conoscenze musicali già acquisite ed agli insegnamenti di due locali contrappuntisti, Gabriele Martinengo e Ippolito Chiamaterò , realizzò l’idea di intraprendere la carriera musicale, che lo avrebbe portato più facilmente ad una sistemazione economica.
Non più di tre anni dopo l’inizio della sua permanenza a Udine cominciò ad essere incuriosito da scienze e pratiche occulte (astrologia, magia, necromanzia) e si vociferava che partecipasse in compagnia di alcune donne a strani riti notturni.
Il tribunale aquileiese dell’Inquisizione avviò a tal proposito un’indagine istruttoria in vista di un regolare processo, ma non riuscì ad acquisire prove concrete. Tuttavia, anche dopo la chiusura del caso giudiziario per il musicista risultò sempre più evidente la difficoltà nei rapporti col personale del Capitolo di Udine e decise, dopo aver provveduto da tempo a candidarsi per il concorso per un impiego nella Basilica Patriarcale di Aquileia, di sciogliere parzialmente ed anzitempo il rapporto che lo legava all’istituzione ecclesiastica udinese, motivando tale decisione con “impellenti se pur oneste cause”.
Trasferitosi ad Aquileia dopo aver superato il concorso che lì gli fece trovare impiego, Mainerio andò a risiedere nell’antico centro del Patriarcato, luogo più isolato e tranquillo del centro cittadino.

Nel 1578 divenne “Maestro di Capella della S. Chiesa d’Aquilegia” e negli ultimi anni della sua vita, resi difficili da una salute non più perfetta, il musicista si esonerò spesso dall’obbligo del coro per viaggi alla volta di Venezia, Ancona e di qualche centro di cure termali. La notizia del suo decesso fu data nella seduta del Capitolo convocata il 4 maggio 1582.

Mainerio scrisse principalmente opere di carattere sacro ma pubblicò anche una raccolta di canti e balli profani di origine e d’uso popolari,  Il primo libro de’ balli accomodati per cantar et sonar d’ogni sorte de instromenti di Giorgio Mainerio Parmeggiano Maestro di Capella della S. Chiesa d’Aquilegia, appunto, che fu stampato da Angelo Gardano a Venezia nel 1578.

Il “nostro brano” è incluso in quest’opera. Si intitola Schiarazula marazula, con una serie di varianti S’ciaraciule maraciule, s’ciarazule marazule, s’ciarazula marazula o s’ciarassula marassula (‘scjaraçule maraçule’).

E’ un ballo tipico del Friuli che si ritiene risalente a prima del 1500, con origini medievali.

Otteniamo qualche informazione in più da una lettera di denuncia all’inquisizione del 1624 in cui si segnala che “donne e uomini del paese friulano di Palazzolo eseguissero questa danza cantando in due cori per evocare la pioggia”. E’ soltanto da questa lettera che conosciamo parte del testo, altrimenti andato perduto.

In essa si legge infatti una traduzione parziale dal friulano al volgare italiano “schiarazzola marazzola a marito ch’io me ne vo’ et quello che segue si come son donzella che piova questa sera”.

Il poeta friulano Domenico Zannier, nel XX secolo, scrisse un altro testo che nulla ha a che fare con il testo originale, composto di una serie di assonanze e di nonsensi in friulano:

Scjaraciule Maraciule, 
la lusigne e la cracule,
la piciule si niciule
di polvar a si tacule.
O’ schiaraciule maraciule
cun la rucule e la cocule,
la fantate je une trapule
il fantat un trapulon.
(rit: la fantate je une trapule il fantat un trapulon) 

Scjaraciule (bastone, bordone) e Maraciule (finocchio),
la lucciola e la raganella,
la piccola si dondola
e di polvere si macchia.
O’ scjaraciule maraciule,
con la rucola e la noce,
la ragazza è una trappola (bugiarda)
il ragazzo un trappolone.

Branduardi riprende questo ballo con le parole di Domenico Zannier nel brano omonimo “Schiarazula Marazula” contenuto nell’album Futuro Antico II.

Ma il nostro menestrello non è l’unico ad aver subito il fascino e la tentazione di rimaneggiare l’antico brano tacciato di paganesimo e stregoneria dagli inquisitori.

Lo hanno fatto ad esempio, anche i MaterDea, gruppo folk metal italiano di ispirazione pagana che, a quanto pare, aderiscono alla convinzione che vi sia del vero nell’accusa di stregoneria e nell’album Satirycon assegnano alla loro versione il titolo di Benandantes, Malandantes.

I Benandanti erano infatti gli appartenenti a un culto contadino basato sulla fertilità della terra diffuso in Friuli intorno al XVI-XVII secolo.

Si trattava di piccole congreghe che si adoperavano per la protezione dei villaggi e del raccolto dei campi dall’intervento malefico delle streghe. Quello dei benandanti era un culto agrario che discendeva da antiche tradizioni pagane contadine diffuse in tutto il Centro-Nord Europa, sia presso popolazioni Germaniche (si veda la figura mitica della Frau Holle), Slave (vedi, in particolare i krasniki, come erano chiamati in area dalmatico-illirica i “combattenti in spirito” ) o Ungheresi (vedi in particolare i Táltos sciamanici), e che arrivò nelle regioni nord-orientali dell’Italia, in Friuli, estendendosi fino a Vicenza, Verona, Istria e Dalmazia.

Gli inquisitori non erano propensi a fare distinzioni tra streghe malefiche e paganesimo sciamanico, fu così che vennero perseguitati entrambi indistintamente. Fu probabilmente questa la causa della perdita del testo originale, certamente troppo pericoloso per essere tramandato.

Citiamo per completezza una nota al programma da concerto della Schola Aquileiensis del Gruppo da camera “F. Candonio”, direttore Gilberto Pressacco – Aquileia 1995.

“Il brano Schiarazula Marazula (Schiaràzzola Maràzzola) proviene dal repertorio di una setta eterodossa dai forti tratti giudeo-cristiana (i Benandanti, studiati dallo storico e antropologo Carlo Ginzburg: essi appunto andavano ai loro notturni rituali armati di “sciarazz” e “marazz”, cioè di canna e finocchio): ciò pare confermare i legami della Chiesa d’Aquileia con quella di Alessandria d’Egitto, nel nome del comune evangelizzatore, san Marco. La tradizione marciana alessandrino-aquileiese aveva nella danza sacra (fino all’estasi) uno dei propri tratti più caratteristici e coinvolgenti”.

Il friulano Pressacco, di cui suggeriamo alcuni testi in appendice,  fu musicologodirettore di coro, presbitero e grande studioso del suo conterraneo Mainerio, con cui condivide molti aspetti biografici, come si vede.

Il brano ha avuto ampia fortuna non solo in Italia. Citiamo ad esempio  i Corvus Corax, gruppo tedesco noto per suonare musica medievale utilizzando strumenti dell’epoca.

Nell’album Congregatio il brano si intitola Scuarazula: buon ascolto!

Per approfondire:

  • M. Cossar, Costumanze, superstizioni e leggende dell’agro parentino, Ed. Libreria Belli, Bologna, 1933
  • C. Ginzburg , I Benandanti, stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1996
  • A. M. Di Nola, La Nera Signora, Antropologia della morte e del lutto, Newton Compton, Roma 2003
  • Franco Nardon, Andrea Del Col, Benandanti e inquisitori nel Friuli del ‘600, Ed. EUT 1999
  • Gilberto PressaccoCanti Nelle Notti Friulane, Edizioni biblioteca dell’immagine 2002
  • Gilberto Pressacco, Tracce musicali della tradizione marciana nell’area mediterranea, estratto da C. De Incontrera, Nell’aria della sera. Il Mediterraneo e la musica, Trieste, 1996
  • A. Romanazzi, La Dea Madre e il culto Betilico: Antiche tradizioni tra mito e folklore, Levante Editore, Bari 2003
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