Cangrande I della Scala: un assassinio di sette secoli fa

Il monumento funebre

La chiesa di Santa Maria Antica fu in principio eretta come cappella ducale longobarda del VII secolo, distrutta dal terremoto del 1117, di cui rimane solo un frammento di pavimento a mosaico, con tessere bianche e nere; fu poi riedificata nel 1185 e consacrata dal patriarca d’Aquileia come cappella privata degli Scaligeri, i quali costruirono a lato le Arche Scaligere, cioè il cimitero di famiglia.

Facciata laterale di Santa Maria Antica con l'arca di Cangrande. La cappella scaligera sorse nel 1185 sui resti della cappella longobarda del VII secolo, dopo la sua distruzione a causa del devastante terremoto del 1117

Facciata laterale di Santa Maria Antica con l’arca di Cangrande. La cappella scaligera sorse nel 1185 sui resti della cappella longobarda del VII secolo, dopo la sua distruzione a causa del devastante terremoto del 1117

La porta laterale d’ingresso è sovrastata dall’arca di Cangrande I della Scala.

Dettaglio dell'arca con il sarcofago di Cangrande I della Scala

Dettaglio dell’arca con il sarcofago di Cangrande I della Scala

Le gesta

Massima espansione territoriale scaligera attorno al 1336 (disegno di Sansoni)

Massima espansione territoriale scaligera attorno al 1336 (disegno di Sansoni)

La sua figura costituisce l’apice dello splendore della famiglia Scaligera. Associato al potere dal fratello Alboino (1303), vi rimase singolarmente dal 1311 fino al 1329 rendendosi protagonista di una offensiva in area padana che gli procurò la conquista della Marca trevigiana. Nel 1311 venne nominato vicario imperiale di Vicenza, da Enrico VII di Lussemburgo (1308-1313), a seguito del pagamento di una ingente somma che consentì a quest’ultimo di proseguire verso Roma per essere incoronato. Cangrande, fervente ghibellino, si impegnò contro Padova e le sue alleate guelfe, superiori per risorse economiche e militari, in una guerra durata tre anni, la cui vittoria mise in evidenza le sue qualità umane e militari e gli consentì di inserirsi tra i potenti dell’Italia settentrionale. Nel 1315, con Passerino Bonacolsi, tentò di assoggettare Cremona, Parma e Reggio che si erano riuniti sotto una unica signoria, mentre a Brescia i guelfi prendevano il sopravvento ed intralciavano i traffici con l’alleata Milano e Verona a sua volta minacciata da Padova e Treviso. Condizioni che lo impegnarono in una nuova guerra che si indirizzò prima contro Padova che, nel 1318, accettò le condizioni di pace. Poi si rivolse contro Brescia che si arrese e successivamente si rivolse contro Treviso, acquisendo in questa occasione Feltre e Belluno ed ancora contro Padova e Treviso.

Cangrande e Dante

Statua equestre sormontante l'arca a Santa Maria Antica (Foto: La Storia Viva)

Statua equestre sormontante l’arca a Santa Maria Antica (Foto: La Storia Viva)

Non si può tacere del rapporto di mecenatismo ma anche di stima e amicizia che legò il grande condottiero al Sommo Poeta.  Cangrande fu un noto patrono delle arti e dell’apprendimento in generale. Poeti, pittori, storici e grammatici tutti hanno trovato una buona accoglienza a Verona durante il suo regno, e il suo interesse personale per l’eloquenza e il dibattito si riflette dalla sua aggiunta di una cattedra di retorica alle sei cattedre già previste dagli statuti veronesi. Il suo patrocinio del poeta Dante Alighieri è senza dubbio la sua principale fonte di fama: Dante fu ospite a Verona tra il 1312 e il 1318, ma ebbe frequenti contatti con lo scaligero anche successivamente per via dell’amicizia che si era instaurata tra i due.

A conferma di ciò Dante scrive numerose lodi su di lui, in particolare nel canto XVII del Paradiso della Divina Commedia, dal verso 69 al 92. Questi in qualche misura riflettono la fama di Cangrande ai suoi tempi, quando, come osservò Dante, le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che ‘ suoi nemici non ne potran tener le lingue mute. Petrarca, di passaggio a Verona poco più di un ventennio dopo, raccolse aneddoti sulla lingua tagliente di un altro grande letterato, Dante Alighieri. In uno di essi, sicuramente fasullo ma che conserva l’eco di una probabile verità, Cangrande rivolse all’esule un salace motteggio, mentre era suo ospite, davanti a molti altri commensali. Ma reali tensioni tra il grande poeta ed il signore Scaligero sono infondate, al punto che Dante gli dedicò la terza e più importante cantica della Divina Commedia, ossia Il Paradiso, in un testo che va sotto il nome di Epistola XIII.

” Magnifico atque victoriosissimo Domino, Domino Kani Grandi de la Scala, sacratissimi Cesarei Principatus in urbe Verona et civitate Vicentie Vicario Generali, devotissimus suus Dantes Alagherii, Florentinus natione non moribus, vitam orat per tempora diuturna felicem, et gloriosi nominis perpetuum incrementum. “ ” Al magnifico e vittorioso signore, signor Cane Grande della Scala, Vicario generale del Santissimo Impero Cesareo nella città di Verona e presso il popolo di Vicenza, il suo devotissimo Dante Alighieri, Fiorentino di nascita e non di costumi, augura una vita felice per lungo tempo, e perpetuo accrescimento della gloria del suo nome. “
(Dante Alighieri, Epistulae. Dedica della cantica del Paradiso a Cangrande)

La morte

La morte improvvisa e prematura colse il condottiero a soli 38 anni di età il 22 Luglio 1329, nella fase del suo massimo potere e proprio all’indomani della conquista di Vicenza, Padova e Treviso. Cangrande morì dopo violenti attacchi di vomito, diarrea e febbre elevata e la sua morte fu ufficialmente attribuita a un virus intestinale, trasmesso dall’acqua di una fontana contaminata. Tuttavia il dubbio sulla morte di un uomo in buona salute e ancora relativamente giovane serpeggiò in qualche contemporaneo e uno dei suoi medici fu messo a morte per impiccagione dal successore Mastino II.

Le aperture del sarcofago

Nel luglio del 1921 si svolse la prima ricognizione ufficiale dell’arca di Cangrande organizzata da Antonio Avena e dal conte Pieralvise Serego Alighieri, pronipote di Dante, che sembra sperasse di trovare all’interno dell’arca il manoscritto del Paradiso. Con stupore si scoprì che la salma era mummificata e nel sarcofago venne ritrovato un prezioso corredo di stoffe in seta, di probabile provenienza medio orientale.

Ricostruzione grafica di alcuni frammenti di tessuti che facevano parte del corredo funebre di Cangrande: sete intessute di fili d’oro

Ricostruzione grafica di alcuni frammenti di tessuti che facevano parte del corredo funebre di Cangrande: sete intessute di fili d’oro

L’apertura del 12 – 14 febbraio 2004 ha permesso di recuperare numerosi reperti: frammenti di stoffa e vegetali composti di piante aromatiche tra cui salvia, artemisia, cipresso nonché tracce di fiori, quali la rosa. Dagli accertamenti compiuti, tali vegetali sembrerebbero risalire, almeno in parte, ad un arco di tempo compreso tra il 1470 e il 1590: ciò proverebbe che furono deposti nel sarcofago in epoca moderna, forse dopo una ricognizione attuata nel 1570 dall’allora Rettore di Santa Maria Antica che restaurò l’arca.

In quell’occasione la tomba di Cangrande fu aperta allo scopo di effettuare lo studio paleopatologico del corpo, che apparve in ottimo stato di conservazione, e per indagare le cause della morte del condottiero. Il corpo mummificato è stato sottoposto a radiografia digitale e a TAC, a esame autoptico e ad analisi palinologiche e tossicologiche, in un approccio multidisciplinare. La tomografia computerizzata (TC) effettuata all’Ospedale di Verona ha dimostrato che nel lume esofageo era presente un composto denso, riferibile a materiale alimentare rigurgitato immediatamente prima del decesso.

L’assassinio

L’equipe di paleopatologia del professor Gino Fornaciari dell’Università di Pisa ha risolto il giallo a 700 anni di distanza. L’autopsia sul corpo mummificato naturalmente e ben conservato di Cangrande della Scala ha dimostrato che il signore di Verona morì per avvelenamento. “Le analisi hanno rivelato che Cangrande fu intossicato dalla somministrazione orale di un infuso o di un decotto a base di camomilla e gelso in cui era contenuta la digitale (Digitalis sp. forse purpurea)” ha spiegato il professor Fornaciari.

“Questa era conosciuta nel Medioevo solo come pianta velenosa, in quanto le sue proprietà terapeutiche furono scoperte solo nel XVIII secolo, e risulta difficile stabilire se l’avvelenamento di Cangrande fu causato dall’ingestione accidentale di foglie di digitale, scambiate erroneamente per qualche altra pianta edibile, o se l’avvelenamento fu intenzionale. Certo le cronache dell’epoca riferiscono alcuni dettagli che supportano quest’ultima ipotesi, come ad esempio che il suo medico fu accusato di avvelenamento e fu giustiziato”.

Coperchio del sarcofago ancora con il volto sorridente di Cangrande e sua apertura (Foto: Fornaciari)

Coperchio del sarcofago ancora con il volto sorridente di Cangrande e sua apertura (Foto: Fornaciari)

“All’autopsia, l’addome è apparso molto espanso, verosimilmente per fenomeni putrefattivi post-mortali e il fegato, correttamente posizionato alla base della cavità toracica destra, appariva di forma tipica – continua Fornaciari – Lo studio palinologico, condotto da Marco Marchesini e da Silvia Marvelli del Laboratorio di Palinologia di San Giovanni in Persiceto, ha rivelato che nel contenuto intestinale era presente una grande quantità di polline di camomilla, gelso nero e – completamente inaspettata – di digitale (Digitalis sp.). La presenza della digitale è stata poi confermata dall’esame tossicologico, effettuato dall’équipe diretta dal professor Franco Tagliaro dell’Università di Verona, che ne ha trovato i principi attivi, la digossina e la digitossina, sia nei campioni di feci e che in quelli di fegato, in concentrazioni tossiche. Il caso di Cangrande rappresenta finora l’unica evidenza diretta di avvelenamento attraverso l’uso di sostanze organiche”.

L’aspetto e lo stato di salute

Il volto di Cangrande mummificato, come è apparso al momento dell’apertura del sarcofago, il 12 febbraio 2004 (foto Umberto Tomba, Verona)

Il volto di Cangrande mummificato, come è apparso al momento dell’apertura del sarcofago, il 12 febbraio 2004< (foto Umberto Tomba, Verona)

Dagli esami della sua mummia si sono ottenute ulteriori informazioni sull’aspetto del condottiero.

L’apertura del sarcofago ha rivelato la presenza di una mummia naturale, non sottoposta ad imbalsamazione, e, tra l’altro, in un sorprendente stato di conservazione. Il corpo era avvolto in bende di lino e coperto con un drappo di seta, e giaceva sul dorso, con braccia conserte sul torace, e con la mano sinistra appoggiata sul gomito destro. Gli arti inferiori erano completamente estesi, ma i piedi erano in parte assenti, anche se parte delle ossa sono state ritrovate sotto le bende e presso le articolazioni tibiotarsiche. I lineamenti della faccia erano ben conservati, tanto che è stato possibile appurare che gli incisivi superiori presentavano ipoplasia dello smalto, sintomo di stress (nutrizionale o morboso) in età infantile. I capelli apparivano ricci e di color castano, le dita delle mani recavano ancora le unghie e l’addome appariva espanso, di aspetto globoso. La statura della mummia è di 1,71 m corrispondenti a circa 1,75 m in vita.

L’esame esterno non rilevava patologie particolari, mentre durante l’autopsia è stato rilevato un ingrandimento del fegato, particolare interessante considerando che nelle mummie la conservazione di tale organo è molto raro. L’esame istologico ha rivelato un quadro di fibrosi epatica e non quello di una cirrosi, come era stato supposto inizialmente. Inoltre è stata rilevata anche la presenza di una marcata antracosi polmonare (presenza di polvere di carbone), verosimilmente in seguito all’esposizione continua ai fumi dei focolari e dei i bracieri utilizzati ai tempi del Cangrande per il riscaldamento dei palazzi.

La ricostruzione del volto

Ricostruzione del volto di Cangrande, tre quarti destro, tre quarti sinistro (Chirurgia Maxillo – Facciale, Policlinico Rossi, Verona; Department of Forensic Medical Science, London, Glasgow). Si può notare che la mandibola è piuttosto prominente ed il naso “importante”

Ricostruzione del volto di Cangrande, tre quarti destro, tre quarti sinistro (Chirurgia Maxillo – Facciale, Policlinico Rossi, Verona; Department of Forensic Medical Science, London, Glasgow). Si può notare che la mandibola è piuttosto prominente ed il naso “importante”

Bibliografia

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  • C. Cipolla, Cangrande I della Scala, Verona, 1881.
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  • E. Napione, Il corpo del principe: ricerche su Cangrande della Scala, Venezia, Marsilio, 2006, ISBN 88-317-9024-2.
  • M. Brunelli, Cangrande I della Scala. Il sogno di un principe cortese, 2013, ISBN 978-88-6273-468-4.
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  • G. Fornaciari, V. Giuffra , F. Bortolotti, R. Gottardo, S. Marvelli, M. Marchesini, S. Marinozzi, A. Fornaciari, G. Brocco, F. Tagliaro, A medieval case of digitalis poisoning: the sudden death of Cangrande della Scala, lord of verona (1291-1329), Journal of Archaeological Science 54, p. 162-167, 2015.

Relazione analisi autoptica

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2 risposte a Cangrande I della Scala: un assassinio di sette secoli fa

  1. Elena Cracco dice:

    la cartina dell’Italia evidenzia i territori conquistati dagli Scaligeri e non solo da Cangrande. La Toscana è stata conquistata da Mastino II, nipote di Cangrande

    • Admin dice:

      Grazie per il commento e l’attenzione, abbiamo precisato meglio nella didascalia. Continui a seguirci 🙂

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