E’ una storia che forse pochi conoscono e che in tutti i modi si è cercato di dimenticare, con buone motivazioni come vedrete, ma interessante sotto molti aspetti. Noi la leggiamo dal saggio di Cristina La Rocca e Stefano Gasparri riportato in appendice, e da pochissime altre fonti.
Era la primavera del 1930 e a Londra si tenne una straordinaria mostra dedicata all’Arte del Medioevo col titolo “Art in the Dark Ages in Europe”. Organizzatore il Burlington Fine Arts Club, una delle più prestigiose istituzioni private di mercanti d’arte d’Europa.
Si trattava della prima mostra in assoluto dedicata interamente alla produzione artistica dell’Alto Medioevo e questo provocò vivida attesa in tutta Europa.
Sarebbero stati esposti non solo i prestigiosi ritrovamenti conservati nelle collezioni private e nei principali musei europei, dal British Museum, al National Archaeological Museum of Budapest, all’Archaeological National Museum of Berlin, ma anche una inedita collezione di oggetti provenienti da scavi italiani, di proprietà della Durlacher Brothers, fondata nel 1843 a Londra, con una filiale a New York aperta negli anni ’20 del secolo scorso, agente per alcuni decenni del Victoria & Albert Museum.
Quando la mostra fu inaugurata il pubblico poté ammirare uno sbalorditivo insieme di reperti.
Si trattava di oggetti ottimamente conservati, che comprendevano un elmo in ferro e oro, una spada a due anelli, una punta di lancia decorata in oro, due scramasax (la spada corta a un solo taglio tipica di molte popolazioni germaniche), uno scudo con decorazioni auree, nove decorazioni da cintura rettangolari, uno sperone ageminato in oro, una fibbia da cintura con teste d’aquila, una croce aurea, decorazioni da sella in oro e il più straordinario di tutti: un collare in ferro e oro recante la riproduzione della famosa Lamina di Agilulfo conservata al museo del Bargello di Firenze.
Molti pezzi somigliavano incredibilmente a ritrovamenti delle necropoli longobarde di Castel Trosino e di Nocera Umbra, scavate sul finire dell’800 e pubblicate già da qualche tempo.
Qui sotto alcuni confronti tra gli oggtti esposti a Londra nel 1930 e i ritrovamenti già noti
L’esposizione degli oggetti suscitò gran scalpore e le foto furono pubblicate su numerose riviste d’arte, ma nessuno acquistò il lotto dal vertiginoso prezzo di 120.000 sterline. Il tesoro restò quindi custodito presso il British Museum.
Nel frattempo però la Durlacher Brothers, per allettare potenziali compratori, fece stampare il catalogo in cui comparivano le fotografie di ogni singolo elemento, lo intitolò “Treasure from a Lombard chieftain’s grave” e lo distribuì ai musei europei e americani. L’attribuzione del tesoro a una particolare figura della storia longobarda non era stata esplicitata, come del resto non era stato ancora rivelato il luogo del ritrovamento, ma a dispetto del titolo generico del catalogo, che attribuiva gli oggetti alla sepoltura di un personaggio certamente abbiente e importante, come un duca ad esempio, nella prefazione venne suggerito qualcosa di più.
L’attribuzione del tesoro
Nella prefazione non firmata, ma probabilmente scritta dal curatore del Dipartimento di Antichità del British Museum, Reginald Smith, viene suggerito che la scena riprodotta sul collare possa essere di aiuto a qualche antiquario per identificare il proprietario della panoplia. Si inizia così a suggerire un legame con Agilulfo , sposato con Teodolinda, con la quale regnò nel VII secolo in Italia e per il quale fu creata (o al quale fu donata) la famosa Lamina omonima.
Le copie del catalogo, conservate attualmente da quattro grandi musei, differiscono però tra loro per il numero di oggetti elencati, raggiungendo addirittura, in un caso, il doppio di quelli presentati all’esposizione di Londra. Da un carteggio tra Smith e Durlacher Brothers emerge che “con la continuazione degli scavi, altri preziosi oggetti sono stati rinvenuti.”
Tra il 1930 e il 1932 compaiono reperti sempre più spettacolari e per molti aspetti diversi dai precedenti: quasi tutti in oro, compaiono non solo elementi riferibili a un corredo maschile, come quelli della precedente esposizione, ma anche oggetti tipicamente femminili, fornendo la sensazione di essere davanti alla sepoltura della Coppia Regale, Agilulfo e Teodolinda. La sensazione è, o vorrebbe essere, confermata dalle decorazioni e dalle iscrizioni distribuite ampiamente sugli oggetti, riproponendo spesso la figura di entrambi i regnanti ed esplicitandone l’appartenenza. Il catalogo del 1932 inoltre non si limita a suggerire soltanto velatamente l’appartenenza alla coppia regale, come quello del 1930, ma la dichiara fin dal titolo “The Lombard treasure from royal tombs”.
(Foto: archeosciences.revues.org)
(Foto: archeosciences.revues.org)
I dubbi
Se nel primo lotto di reperti si poteva apprezzare una certa coerenza e un’originalità propria, sebbene ben inserita nella produzione artistica coeva, in questo secondo gruppo, l’ansia di voler attribuire i corredi funerari a due regnanti altamente simbolici del periodo longobardo in Italia fa un po’ deragliare il progetto. I confronti possibili per i “nuovi reperti” spaziano su periodi più ampi e diverse aree geografico-culturali.
Una delle corone, di cui sfortunatamente non possediamo la fotografia, pare fosse la copia di quella votiva del Tesoro Visigoto di Guarrazar. Le api in oro e smalto apparivano ispirate, seppur non copiate, da quelle rinvenute nella tomba del re Franco Childerico, risalenti al V secolo. Due spade del secondo lotto risultavano molto simili a quelle del famoso gruppo in porfido dei Tetrarchi a Venezia, opera bizantina di fine III – inizio IV secolo.
Il falso
Si diffuse il sospetto che si trattasse di falsi. Il prezzo dell’intera raccolta crollò a 32.000 sterline, che nessuno investì nella collezione lasciandola invenduta, mentre fautori della genuinità e della contraffazione si esprimevano a riguardo.
Il primo a sostenere che la scoperta fosse una falsificazione fu, dopo soli due mesi dalla mostra, il direttore del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga , Ernst Zimmermann, che non esitò a dichiararla “un falso maldestro”.
Tra i sostenitori dell’autenticità ci fu ovviamente il curatore del dipartimento antichità del British Museum, Reginald Smith, che intrattenne un lungo carteggio con la Durlacher Brothers e che parve non rivedere mai la propria posizione. Molto probabilmente egli considerò la mostra al Burlington Club come l’opportunità per dar lustro e solidità alla propria posizione di Esperto in antichità Germaniche. Interpretò ogni dubbio di autenticità come un attacco diretto alla propria persona per motivi accademici e di prestigio e infatti, come emerge persino dagli scritti in sua memoria, godette di cattiva reputazione e mantenne rapporti tesi con gli altri esperti del British Museum.
Strenuo difensore dell’autenticità fu anche Albert Dresdner, docente di Storia dell’Arte a Berlino, che parlò della collezione come di “un nuovo ritrovamento effettuato nel sud dei territori occupati dalla razza Teutonica, un ritrovamento che eccede in splendore qualsiasi altro appartenente alla civiltà Germanica fino ad ora” e che è “così profondamente Germanico da dimostrare la pertinacia con cui i Longobardi aderirono al carattere Germanico persino dopo aver abbracciato il Cristianesimo”.
E’ evidente che dietro a queste posizioni vi fossero più motivazioni di stampo personale e geopolitico di quante ve ne fossero di storico-archeologiche.
Fu così infatti che tutta la vicenda si svolse nel sostanziale disinteresse del governo italiano, mentre il dibattito si tenne nel Nord Europa, dove il concetto di Germanesimo stava assumendo una serie di connotazioni politiche, completamente indipendenti dal contenuto accademico di questa particolare questione, ma che questa vicenda condizionò per certo.
La collezione fu ufficialmente dichiarata un falso dagli archeologi tedeschi Walter von Stokar e Hans Zeiß nel 1940.
Un caso, insomma, di pareidolia intellettuale, utile a farci riflettere sul nostro sguardo verso il passato.
Ringraziamo l’amica Letizia Grandi, rievocatrice e ricercatrice indipendente, per averlo rispolverato dalla nostra memoria.
Fonti e approfondimenti:
- Cristina La Rocca e Stefano Gasparri “Forging an early medieval royal couple: Agilulf, Theodelinda and the ‘Lombard Treasure’ (1888–1932), in Archaeology of Identity – Archäologie der Identität, ÖSTERREICHISCHE AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN, Vienna 2010.
- Forgeries and public collections – Les contrefaçons et les collections publiques, Susan La Niece
- Manufacturing a past for the present : forgery and authenticity in medievalist texts and objects in nineteenth-century Europe,2014, Brill
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