BEATRICE REGINA DELLA SCALA, L’IRON LADY DEL XIV SECOLO

Bernabò Visconti e Beatrice Della Scala - Andrea di Bonaiuto, S. Maria Novella Firenze

Bernabò Visconti e Beatrice Della Scala – Andrea di Bonaiuto, S. Maria Novella Firenze

Un’altra biografia da Luigi Barnaba Frigoli: questa volta si tratta di una donna volitiva e intelligente proveniente dalla casata veronese degli Scaligeri

Ogni anno l’autorevole rivista Forbes stila la classifica delle donne più potenti del mondo. Se qualcosa del genere fosse esistito nella seconda metà del Trecento, un posto fisso in graduatoria l’avrebbe senza dubbio occupato Beatrice Della Scala, la nobile veronese che tutti chiamavano Regina. Una vera a propria donna in carriera ante litteram, che oggi nessuno esiterebbe a definire iron lady. Per l’attitudine e l’abitudine a maneggiare il potere; per la maestria nel destreggiarsi tra gli intrighi; per l’oculatezza degli investimenti economici; per gli “attributi” che sempre seppe sfoggiare, nella vita pubblica e in quella privata.

L’esatta data di nascita di questa mosca bianca nel panorama femminile medievale italiano non è conosciuta. Unica fanciulla di quattro fratelli, il padre Mastino II, signore di Verona, e la madre, Taddea da Carrara, la fecero educare con tutti i crismi, non facendole mancare nulla. Finché, nel 1350, giunse il momento di trovarle marito. Il partito giusto lo indicò l’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti. La scelta ricadde su uno

arcivescovo Giovanni Visconti

arcivescovo Giovanni Visconti

dei suoi tre nipoti, quello, forse, con la testa più calda: Bernabò. Un giovanotto irascibile, eccentrico e bellicoso. Ma anche ambizioso. Desideroso di aumentare la gloria della Biscia milanese. Le nozze vennero celebrate nella città di Sant’Ambrogio tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. E furono sontuose e partecipatissime. Sistemato il nipote, Giovanni passò a miglior vita e Bernabò si trovò a condividere lo scettro con il fratello Galeazzo II.

Salita sul trono, Beatrice seppe dare da subito prova della pasta di cui era fatta. Le cronache la descrivono come bellissima, magnanima, devota. Qualità “banali”, che ricorrono fino alla nausea nelle descrizioni delle nobildonne medievali. A differenza delle sue contemporanee, però, la scaligera sovrana aveva una marcia in più: sapeva comandare senza delegare a uomo (maschio) alcuno, occupandosi personalmente delle incombenze politiche, finanziarie e persino belliche. Gestiva come una sindachessa i numerosi borghi di cui era proprietaria (Urago d’Oglio, Pumenego, Fiorano, Calcio e Galegnano) e, su delega del marito, amministrò per quasi dieci anni la città di Reggio Emilia. Non solo: quando Brescia si ribellò al potere visconteo, essendo lei una Della Scala, famiglia che da sempre rivendicava diritti sulla città della Leonessa, non esitò a marciare alla testa di migliaia di cavalieri per sedare la rivolta.

Antica Chiesa di Santa Maria della Scala

Antica Chiesa di Santa Maria della Scala

Stemma della Scala affrescato nel castello di Pandino

Stemma della Scala affrescato nel castello di Pandino

Per non parlare dei provvedimenti “propagandistici” presi per accattivarsi i favori del popolo. Donazioni, esenzioni, privilegi. E anche committenze di opere pubbliche ed edifici sacri. Su tutti, la nuova chiesa di Santa Maria, che fece erigere a sue spese nel centro di Milano. I fedeli ambrosiani ne furono così ammirati e grati che la parrocchia prese preso il nome di Santa Maria Della Scala. Oggi quella chiesa non esiste più. Ma il toponimo è rimasto. E ha dato il nome, nientemeno, che al Teatro alla Scala, che sui ruderi dell’edificio è stato edificato, alla fine del Settecento.

Teatro alla Scala

Teatro alla Scala

Se, ripercorrendo le gesta di Beatrice, ci si stupisce per l’originalità della sua vita pubblica, allo stesso modo si rimane meravigliati dai suoi comportamenti privati. Nonostante tutti gli impegni (oggi si direbbe così), riuscì infatti a trovare il tempo per dare al marito ben 15 figli, dieci femmine e cinque maschi. E col marito condusse con successo trattative matrimoniali per accasarli tutti con i rampolli e le rampolle delle più importanti casate d’Italia e d’Europa.

 

la tomba di beatrice regina della scala in sant'alessandro a Milano

la tomba di beatrice regina della scala in sant’alessandro a Milano

Ancora: per tutta la vita tollerò gli innumerevoli, spudorati tradimenti del consorte. Senza battere ciglio. Bernabò era un donnaiolo impenitente. Amava circondarsi di belle donne e i nomi delle sue numerose amanti sono arrivati fino a noi. Donnina de’ Porri, Giovannola Montebretto, Beltramola de’ Grassi. Beatrice non era stupida. Ma non gli rinfacciò mai nulla. Forse perché sapeva chi aveva sposato. E sapeva anche che, per quanto il marito fornicasse di qua e di là, per quanti marmocchi bastardi potesse seminare per il contado, lei era l’unica donna che amava sul serio. Da pari a pari. La sola in grado di spegnere la sua ira quando si arrabbiava, di muoverlo a clemenza quando minacciava atroci punizioni o di dargli buoni consigli quando c’erano da prendere decisioni capitali per lo Stato. Pare che fosse persino riuscita a intuire che l’altro ramo della famiglia stesse tramando nell’ombra per usurpare il trono. Cosa che di fatto avvenne, nel maggio 1385, quando Gian Galeazzo, nipote di Bernabò, fece arrestare zio e cugini dopo aver teso loro un tranello, imprigionandoli fino alla fine dei loro giorni. Prima del tradimento fatale, Beatrice apparve in sogno a uno dei suoi figli, Ludovico, avvertendolo di stare in guardia. Ma, come Cassandra, non venne creduta.

Arca di Bernabò Visconti, Milano, Castello Sforzesco

Arca di Bernabò Visconti, Milano, Castello Sforzesco

Morì nel 1384. Sconvolto per la dipartita della sua compagna di vita, Bernabò ordinò che tutti i suoi sudditi vestissero il lutto per due anni, pena atroci punizioni. L’epitaffio in onore della sua amata rende l’idea dell’affetto e della considerazione che il signore di Milano aveva per sua moglie, definita “Splendore d’Italia”, “Regina dei Liguri”, “nota nel mondo per la sua bellezza, per il suo decoro, la sua pudicizia e la munificenza nei confronti di tutti, nobili e popolani”. Per custodire le sue spoglie, Bernabò aveva commissionato una splendida arca di marmo bianco al migliore scultore sulla piazza: Bonino da Campione. Avrebbe dovuto essere collocata accanto al suo gigantesco sepolcro sormontato da un altrettanto titanica statua equestre. Così, pensava Bernabò, lui e Beatrice sarebbero potuti restare vicini per l’eternità, nella chiesa di San Giovanni in Conca. In effetti i due monumenti, oggi, sono affiancati, al Museo d’Arte antica del Castello Sforzesco. Le vere tombe di Beatrice e Bernabò, però, sono altrove. Una vicina all’altra, ma nascoste, ben lontano dagli occhi del mondo, nell’oscurità di un angolo remoto della Chiesa di Sant’Alessandro.
Fine indegna per il potente signore.
Fine ancor più ingiusta per la sua Regina.

 

Bibliografia minima: 

  • Annales Mediolanenses in Muratori R.I.S. 
  • P. Azario, Liber Gestorum in Lombardia
  • Marzagaia, De modernis gestis
  • G. Bonelli, A proposito dei beni di Beatrice Della Scala nella Calciana
  • F. Cognasso, I Visconti
  • G. Vergani, L’arca di Bernabò Visconti
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