Robin e Marian, 1976, di Richard Lester

Il nostro ormai consueto appuntamento con le schede dell’almanacco di Archeologia tardoantica e altomedievale a Siena a firma di Marco Valenti.

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Proponiamo una pellicola anomala su uno dei più celebri personaggi ricorrenti sul grande schermo.
Quel Robin Hood che però, nell’appuntamento odierno, è lontanissimo dalle rappresentazioni precedenti al 1976 (da Douglas Fairbanks ad Errol Flynn) e da quelle a seguire dagli anni ’90 sino alle più recenti (da Kevin Costner a Russel Crowe).

Non è una storia di cappa e spada bensì narrata sul filo del tempo perduto, priva di retorica e molto intimistica, caratterizzata dall’illusione di poter ricominciare.
In essa un Robin cinquantenne torna in patria dalle crociate e prova a riallacciare i fili del suo passato; come se nulla si fosse interrotto e continuando la lotta tra il bene ed il male.
Ma è un uomo al crepuscolo, acciaccato, che sta per combattere la sua ultima battaglia e vuole coronare il suo amore con una Marian ormai anch’essa invecchiata e che si è fatta suora. Ma l’unica ad accorgersi che è impossibile tornare indietro, seppur innamorata e pronta all’estremo sacrificio.
Era impossibile sbagliare un film come Robin e Marian, essendo stata l’operazione curata in ogni particolare e mettendo insieme un rilevante cast.
Quindi un’ottima produzione che vedeva nomi eccellenti impiegati.

Il regista è quel Richard Lester, tra i miei preferiti, che ha diretto i primi due mitici film dei Beatles: “A Hard Day’s Night” (1964) e “Help!” (1965) lanciandoli con un’operazione di marketing pazzesca per l’epoca.
Nel suo curriculum troviamo poi l’intelligente “Dolci vizi al Foro” (1966), ultima apparizione di Buster Keaton, con trama ispirata alle commedie di Plauto e parodia dei peplum hollywoodiani.

Seguirono altre opere centrate come “I tre moschettieri” (1973), “Juggernaut” (1974), “Il ritorno di Butch Cassidy & Kid” (1979), “Cuba” (1979) e la serie dei Superman in cui inserì notevoli risvolti ironici (per la precisione gli episodi II e III).
Segnalo anche del 1993 “Hollywood UK“, una serie a puntate sul cinema britannico degli anni ’60 prodotta dalla BBC: bellissima ed una vera chicca per appassionati maniaci.
Insomma: un grande della cinematografia.

I protagonisti furono scelti con cura e senza badare a spese.
Eccellenze tutte britanniche del cinema internazionale come Sean Connery: Robin Hood; Audrey Hepburn: Lady Marian; Robert Shaw: Sceriffo di Nottingham; Richard Harris: Riccardo Cuor di Leone. E poi Nicol Williamson, Denholm Elliott, Kenneth Haigh, Ronnie Barker, Ian Holm, Veronica Quilligan.

1601342_468370073291750_640396789_nI quattro attori principali dominano l’intero film, ognuno con sequenze personalizzate che rendono omaggio alle loro smisurate capacità ma anche a quella recitazione molto fisica che non disdegnano soprattutto Connery (non a caso partecipò al concorso di Mister Universo nel 1953 classificandosi al terzo posto ma primo per la categoria uomini alti) ed il raffinato Harris (l’uomo chiamato cavallo fu in gioventù eccellente giocatore di rugby).
Si tratta di una magistrale recitazione teatrale che si sposa magnificamente con il lungometraggio; un mix raramente di successo in operazioni del genere. Il tutto viene inserito in una costante atmosfera crepuscolare e di malinconia, superbamente trasmessa allo spettatore anche dai toni seppiati della fotografia.

 

1376425_468369913291766_1280398934_nLe maiuscole prove di recitazione alle quali assistiamo sono abbinate ad ambientazioni molto ben curate. Indimenticabili per possenza e profondità le scene iniziali intorno al castello in fiamme circondato da campi arati polverosissimi od il piccolo monastero in materiali misti, o la scena nel campo di grano dei due innamorati, oppure la morte di Riccardo ed il duello stanco, poiché “non hanno più l’età” di Robin e lo sceriffo, fotografato a distanza ed in primo piano e del quale si percepisce la drammaticità e l’ineluttabilità. La vita presenta sempre il conto.

Eccellenti i costumi, le armi e le armature, nonché tutti quei piccoli particolari di una coreografia tali da rendere credibili le scene. Come una fotografia del tempo che ci restituisce l’immagine dell’Inghilterra di fine XII secolo, con castelli-residenze signorili, rovine romane lungo la strada che conduce a Nottingham, le architetture in materiali misti come il già citato convento in pietra e canniccio.
E ancora qui si percepisce la magia del cinema: si tratta infatti del ritratto di un’Inghilterra molto convincente anche se il film venne girato in Spagna.

10009300_468370726625018_1378004779_nPer Lester fu quindi facile costruire un film che io non esito a definire un cult ed in cui tratteggia indelebilmente le ultime righe di una leggenda; si percepisce inoltre un gran feeling tra gli attori ed il regista stesso.

Come è stato già evidenziato da altre recensioni, la coppia Hepburn-Connery dona una tensione emotiva unica che lo spettatore ha il dono di percepire ad ogni parola pronunciata, ad ogni espressione e mimica.
Al contrario di narrazioni e film sulla figura di Robin Hood ricchi di avventura, densi di scontri e inventive, Robin e Marian si concentra sulla fisicità dei due personaggi e il mutare del tempo; su quel filo continuo, di cui è intrisa l’intera e melanconica storia, che il tradimento alla parola data è un’abitudine dei potenti e in questo contesto inevitabilmente prevale il male.

La scelta di Lester fu in definitiva molto originale.
Decise di uscire dai canoni eroici o leggendari della saga, interrogandosi invece sull’epilogo.
Cioè: come andò a finire la storia?
Come proseguirono le vicende dei suoi protagonisti?
In cosa si trasformarono da vecchi, passata la vicenda eroica della ribellione per giusta causa universalmente nota?

1964946_468370169958407_1364190005_nPer rispondere a queste domande li immagina tutti oltre vent’anni dopo, invecchiati, stanchi, talvolta delusi od incattiviti dalla vita.
E sorpresa, ma non troppo pensando a come vanno le cose anche nella vita reale, lo sceriffo di Nottingham è ancora lì, al suo posto e sempre più cattivo.

Riccardo Cuor di Leone invece viene rappresentato come probabilmente doveva essere in realtà (o per lo meno si avvicina): ingrato e crudele, sanguinario e vessatore, avido e cinico.
Un’immagine totalmente in controtendenza con tutti gli altri film (ad eccezione del “Leone d’inverno” già recensito in questo Almanacco, anche se qui Riccardo è ritratto da giovane ed all’ombra di Enrico II e della madre Eleonora di Aquitania) che ne sottilineavano invece le qualità di buon e ideale re, amante del popolo, sfortunato, unico capace di sollevare le condizioni di una nazione vessata dal fratello reggente Giovanni Senza Terra.

Si tratta di un capolavoro, pura arte cinematografica, forse sfuggito ai più, nel quale Sean Connery ci regala una delle sue migliori interpretazioni: accattivante, ironico, tragico, un ragazzone mai cresciuto intento a fuggire dalla realtà.

Una storia in cui i buoni alla fine non assaporano il trionfo della vittoria, non ci sarà l’happy ending, ma coroneranno il loro sogno d’amore unendosi nell’estremo sacrificio. L’amore oltre l’invecchiamento e la morte.

Film unico e suggestivo dalla splendida colonna sonora: imperdibile.

Indelebili alcune battute che trascrivo a seguire.

Marian: “Robin… Per te vorrei avere vent’anni, se potessi…”

Marian: “ti ho amato più di Dio”

Robin: “Chi ti proteggerà se lo sceriffo ti sbatterà in cella?”. E Marian: “Dio è sempre con me”. Risposta di Robin: “Dio era con noi anche a Gerusalemme, ma ci siamo presi comunque un fracco di botte”.

Marian: “Sì… e se stavolta ritorni, forse avremo un altro giorno come quello, e poi un altro… Ma ogni giorno sarà uno di meno: sempre di meno, finché una volta…”

Re Riccardo: “Mio padre mi ha maledetto in punto di morte…solo perché lo stavo uccidendo. Era un uomo di poco spirito”.

Lo sceriffo dopo aver visto i cadaveri dei suoi uomini, chiama uno dei superstiti e sbotta: “Ma che soldati di merda; scava una fossa e buttaceli dentro”.

Riporto la perfetta recensione di Segnalazioni Cinematografiche, vol. 81, 1976:

1921892_468371116624979_1150837973_n“Il leggendario personaggio del ribelle di Sherwood, nemico dei potenti e vendicatore dei poveri, esce in questo film dagli stereotipi in cui l’ha costretto la lunga tradizione cinematografica, che ha il suo capostipite nel Robin Hood di Douglas Fairbanks.
Senza che il suo mito venga per nulla intaccato – egli è ancora l’eroe che accende la fantasia popolare per la sua indomabile sete di giustizia – il Robin cui, col sostegno di una intelligente sceneggiatura, ha dato vita Richard Lester, è soprattutto un uomo vero, colto in età avanzata, nel quale l’innato spirito d’avventura deve fare i conti con i primi acciacchi, col bisogno di quiete e di affetto e, soprattutto col disinganno: egli ha visto troppi inutili massacri, ha ucciso egli stesso troppa gente, quel Riccardo che ha seguito per vent’anni in una inutile Crociata non era migliore dei pagani che uccideva a migliaia nel nome di Cristo.
Mirabile fusione di satira e di elegia, di classici motivi avventurosi e di malinconie esistenziali, il film di Lester è anche una delicata, struggente storia d’amore”.

Fedeltà storica

Pochissimi gli errori o le incongruenze rilevate dai più attenti cinefili.

Anacronismo: Robin è sul ramo di un albero e salta atleticamente giù. La ripresa di spalle mostra la corta tunica che sale verso l’altro e mostra le natiche nude dell’eroe, come è normale che sia. In una scena successiva, nella stessa giornata, durante un combattimento corpo a corpo Robin fa una capriola, la tunica si rovescia mostrando… un paio di mutande mezzagamba poco medievali, che prima non c’erano…

Storico: Robin e Marian sono distesi ai piedi di un albero e stanno intimamente conversando sul loro futuro. Marian dice vorrebbe avere un armadio per mettere le lenzuola, ma ciò è storicamente inesatto in quanto nel Medioevo non si usavano gli armadi, semmai erano molto più diffuse le cassapanche.

Doppiaggio: nel finale quando Robin lancia la sua ultima freccia, dice nella versione italiana a Little John ‘quando la freccia toccherà terra mettici vicini”etc. . Non ha senso. In realtà nella versione originale dice ”where’ e non ‘when’ , cioè ‘DOVE, la freccia toccherà terra, seppelliscici lì insieme’, romanticamente nella foresta.

Marco Valenti

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