Il riciclo: un uso antico che diventa moda
Riciclo è un termine di solito inteso come componente chiave per la moderna riduzione dei rifiuti.
Parlando di tessuti per i consumatori moderni il modo più comune di riciclare è la vendita dell’usato o la donazione in beneficenza.
Nelle moderne aziende di riciclo tessile, i tessuti danneggiati vengono smistati e trasformati in stracci
per la produzione di panni per la pulizia industriale e altri oggetti. I tessili possono anche venire sfilacciati ottenendo fibre di scarsa qualità che, a seconda dell’uso finale previsto, possono essere eventualmente miscelate con altre fibre selezionate producendo un nuovo filato.
Ma è recentemente diventato di moda nel movimento fai-da-te (in inglese “do it yourself” DIY ) un metodo di riciclo che ai più giovani appare innovativo: il riuso di tessuti per produrre altri capi di abbigliamento. Così, attraverso internet vengono diffusi progetti come ad esempio il riuso di vecchi jeans sottoforma di gonne o borse. Queste idee, pubblicate di norma su Pinterest o su siti Web e personal blog, suscitano entusiastiche reazioni e sono di ispirazione per milioni di persone, ma di fatto non sono che la continuazione (o la felice ripresa) di una tradizione molto antica, ben nota fino a poche generazioni fa, che valorizzava la produzione tessile fino allo stremo prima di “ridurla” a semplice spazzatura.
Karina Grömer, del Dipartimento di Preistoria del Museo di Storia Naturale di Vienna, è specializzata in analisi tessili, ricerche su attrezzi per la tessitura e ricostruzione di abbigliamento preistorico. Il suo studio sul riciclo tessile nel passato e pubblicato su Academia, riguarda un periodo compreso tra il 1500 a.C. e il 1500 d.C. e riassume in alcuni esempi salienti la consuetudine al riciclo e al riutilizzo in epoca preistorica e storica.
Sebbene non sia facile provarlo sul materiale archeologico a causa del frammentario stato della maggior parte dei reperti archeologici, vi sono casi in cui è riconoscibile il riutilizzo in un contesto diverso, la rielaborazione o il nuovo utilizzo come abbigliamento; sono stati rinvenuti anche capi totalmente realizzati con materiale riciclato, così come capi logori riconvertiti per servire in altri contesti.
Rammendare, rappezzare e riadattare
Sono famosi gli spettacolari reperti dalla Danimarca dell’Età del Bronzo, in particolare dallo Jutland peninsulare, risalenti ad un’epoca tra il XIV e il XII secolo a.C., comprendenti corte camicie, gonne, cinture, grandi capi avvolgenti come mantelli e reticelle per i capelli. Nei sarcofaghi in quercia delle tombe maschili, come quella di Muldbjerg e di Trindhøj, sono stati rinvenuti mantelli ampi e altri più piccoli e irregolari assieme a cinghie in cuoio e in tessuto.
A Trindhøj la particolare forma del capo che avvolgeva l’uomo e il mantello “a forma di rene” hanno catturato l’attenzione di alcuni ricercatori. Il taglio della stoffa per ottenere i due capi è sorprendente: in primo luogo, il mantello reniforme è stato ritagliato da un pezzo di stoffa più grande. La parte rimanente è di forma irregolare con estremità prolungate. Questa rimanenza è stata divisa poi in pezzi di diverse dimensioni riassemblati nuovamente per formare il drappo più o meno rettangolare che avvolgeva il corpo. È interessante notare che la quantità totale di stoffa necessaria per quel tipo di taglio ha le stesse dimensioni degli involucri più grandi (“coperte”) trovati nelle tombe delle donne. Così si è ritenuto che, forse, gli abiti da uomo potessero essere stati ritagliati da indumenti che in precedenza erano stati indossati da donne o realizzati per l’abbigliamento femminile.
Se supponiamo che l’abbigliamento sia qualcosa da indossare nella vita quotidiana, i tessuti usati come sudari o abiti funerari possono essere considerati un riutilizzo.
Di solito non sappiamo se siano stati appositamente realizzati per uno scopo funerario, ma in alcuni casi specifici possiamo affermarlo. La tomba dell’Età del ferro di Eberdingen-Hochdorf in Germania, VI secolo a.C., è un caso in cui il corredo tessile è stato appositamente creato per la sepoltura. In questa tomba, un uomo sui 40 anni appartenente all’élite di Hallstatt è stato sepolto insieme a preziosi beni funerari. Tra loro vi sono un torque placcato oro, gioielli d’ambra, piatti di bronzo, corni potori, un grande calderone con leoni, un divano in bronzo e un carro a quattro ruote. Nella camera sepolcrale riccamente arredata sono stati rinvenuti anche una una serie di preziosi tessili inclusi numerosi strati di tessuti in cui il corpo era avvolto.
L’analisi microscopica dei tessuti e delle fibre ha rivelato che avrebbero potuto essere oggetti prodotti appositamente per questa sepoltura. Un suggerimento per questa ipotesi è che mentre sottili peli di tasso sono stati utilizzati tessendoli a tavolette, altri peli di tasso più spessi sono stati trovati come imbottitura del materasso e del cuscino. I peli di tasso più spessi e robusti sono stati separati dal sottopelo, più fine, del tasso prima di filare e tessere. Poiché quel tipo di materia prima è piuttosto insolita e artefatti derivati da diverse fasi di lavorazione dello stesso materiale si trovano insieme nella tomba, si è supposto che siano stati realizzati allo stesso tempo e per lo stesso scopo, cioè per la specifica principesca sepoltura.
Dai reperti archeologici, ci sono anche indizi che in altri casi indumenti della vita quotidiana siano invece stati riutilizzati per abbigliare i morti. L’uso precedente di un indumento di sepoltura nella vita quotidiana può essere attestato attraverso i segni di usura.
Tra i reperti citati di capi completi dell’età del bronzo in Danimarca, alcuni hanno delle parti riparate, indicando così un uso prolungato durante la vita. Uno di questi esempi viene dalla tomba femminile di Egtved. Anche la camicetta di Borum Eshøj mostra alcune parti logore sulle maniche, derivanti da un uso intenso, mentre il mantello dell’uomo di Trindhøj presenta un chiaro rappezzo.
Sono numerosi anche i corpi risalenti all’età del ferro ritrovati nelle torbiere dell’Europa settentrionale, ad esempio in Danimarca e nello Schleswig-Holstein, regione della Germania settentrionale e anche tra questi ritrovamenti possiamo evidenziare dei casi di riciclo.
Si deve ovviamente praticare un distinguo tra le persone intenzionalmente sepolte nelle paludi e le vittime di incidenti. Queste ultime indossano naturalmente i loro indumenti quotidiani, mentre gli indumenti delle persone sepolte sono stati selezionati per lo scopo funebre. Alcuni dei cosiddetti bog-bodies intenzionalmente sepolti indossano indumenti che presentano riparazioni.
Un buon esempio è la scoperta, avvenuta nel 1949 a Hunteburg nel nord della Germania, di due corpi risalenti a un periodo tra il 245 e il 415 d.C. in base a datazione con radiocarbonio. I corpi dei due uomini, distesi l’uno accanto all’altro, sono stati avvolti in grandi mantelli con segni di riparazione.
Il mantello A di Hunteburg mostra un bordo del tessuto lavorato a tavolette danneggiato e poi riparato con punti secondari per renderlo di nuovo indossabile. Un altro tipo di danneggiamento da usura è stato identificato sul mantello B di Hunteburg. Al centro del capo sono visibili strati di punti di rammendo che coprono una grossa area. Una volta indossato il mantello, quella parte è posata sulla spalla, esattamente dove veniva fissato con una fibula. L’inserimento della fibula eseguito quotidianamente durante l’utilizzo del capo di abbigliamento, ha causato danni ingenti e l’indebolimento del tessuto. Questo è stato risolto con la ripetuta riparazione della zona danneggiata. Da queste considerazioni possiamo supporre che questo mantello sia stato indossato per molto tempo durante la vita, prima che finisse per rivestire il cadavere.
Un altro esempio dell’uso di un abito lungamente indossato in vita come indumento funebre proviene da Dätgen in Germania. Gli abiti del corpo di Dätgen, che risalgono al 345-535 d.C., sono costituiti da pantaloni e un mantello logoro. Il mantello è stato riparato e rattoppato a causa dell’usura, è stato quindi tagliato riducendo le dimensioni originali.
Suggerimenti interessanti per l’indagine sul riutilizzo di indumenti indossati in vita possono giungere anche da altri tipi di analisi, in questo caso entomologiche. Un brandello di tessuto è stato rinvenuto su un braccialetto all’interno di una sepoltura risalente al IV secolo d.C. e appartenente a un bambino a Furth / Göttweig in Austria. L’analisi al microscopio ha evidenziato anche la presenza di un pidocchio del corpo umano (Pediculus humanis corporis). Il frammento di tessuto aderiva al lato interno del braccialetto indicando l’appartenenza ad una manica. Poiché i pidocchi necessitano di un corpo vivente per nutrirsi se ne è dedotto che quell’indumento a maniche lunghe fosse stato indossato in vita dall’individuo su cui fu ritrovato o da un altro, e successivamente usato per la sepoltura.
Nel corso della storia, anche gli avanzi tessili sono stati utilizzati per la creazione di capi di abbigliamento, di solito come necessità a causa di un basso livello economico. Per avere un esempio più recente possiamo riferirci ai tessili boro del Giappone. Boroboro in giapponese indica qualcosa di rotto, marcio, stracciato e i tessili boro sono indumenti pesantemente riparati e rattoppati con riciclo di materiale o indumenti interamente composti di scarti o stracci riciclati. Nel periodo Edo (dal XVII fino al XIX secolo d.C.) le classi sociali più povere, come quella dei contadini, ricavavano i loro indumenti da scarti di tessuti economici. In molti casi, un capo di questo tipo sarebbe stato tramandato per generazioni, finendo per assomigliare a un patchwork dopo decenni di riparazioni.
Pur nella scarsità di indumenti completi provenienti dall’Europa preistorica e alto medievale, ne compare uno completamente composto di pezzi di recupero. Si tratta della tunica di Bernuthsfeld, in Germania.
Apparteneva ad un uomo il cui corpo è stato rinvenuto in una torbiera e oltre alla tunica indossava un mantello frangiato, delle fasce da gamba e un plaid. Recenti datazioni al carbonio 14 lo collocano trala metà del VII e lametà dell’VIII secolo d.C.
Tutti i suoi indumenti presentavano segni di usura, rattoppi e riparazioni, ma quello che lo contraddistingue è la struttura della tunica. Questa è composta da un mosaico di piccoli pezzi tutti differenti per armatura e per qualità, tra cui tele dalle più grezze alle più fini, saie di tutti i tipi (semplici, a zig-zag, a losanga), per un totale di 45 distinti frammenti cuciti insieme, così da far pensare che non si tratti affatto di toppe successive, ma che la base stessa dell’indumento fosse composta da ritagli e avanzi di tessitura.
Anche il mantello dell’uomo rinvenuto a Damendorf in Germania, datato tra il 135 e il 335 d.C. presenta massicci rattoppi con un totale di 11 toppe di varia dimensione, da una misura di 2×2 cm fino alla più ampia di 11×25 cm. La base dell’indumento tuttavia era uniforme e costituita da una saia a losanghe.
Un contesto totalmente differente sono i riutilizzi di tessuti pregiati, in particolare provenienti da abiti nobiliari e riconvertiti in paramenti sacri. Grömer ne cita alcuni. Il primo esempio è un paramento conservato nel museo Schnütgen a Colonia in Germania. Si tratta di una pianeta in un tessuto prezioso, un velluto rosso con broccato oro a grandi motivi floreali. Il donatore è il conte Gumprecht II von Neuenahr , che dopo la morte di sua moglie nel 1459 donò i tessuti alla chiesa. Si vede distintamente che il velluto rosso proviene da un altro tipo di indumento secolare, perché
il grande pezzo di stoffa necessario per la casula è costituito da un insieme di vari pezzi dello stesso tessuto, il che determina la presenze di ampie giunture che disturbano il grande motivo floreale.
La donazione di un abito da incoronazione da parte della famiglia Asburgo è documentata nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna. L’Imperatrice Karolina Augusta, quarta moglie di Francesco I d’Austria donò il suo abito da incoronazione il 17 gennaio 1859.
Il prezioso tessuto damascato di seta è ricamato con fili d’argento. È stato rielaborato in una pianeta, quattro dalmatiche e un piviale: i cosiddetti Maiornat. Il tessuto è stato utilizzato per le parti decorative degli indumenti ecclesiastici.
Un tale “riutilizzo” di tessuti preziosi, donati alla chiesa, è un fenomeno ben noto.
In particolare i membri femminili di famiglie reali e appartenenti all’élite hanno donato tessuti preziosi perché fossero trasformati in paramenti liturgici. Alcune casule conservate in Santo Stefano sono state cucite a partire
dagli abiti da sposa di diversi membri della famiglia degli Asburgo. Nel 1647 furono cuciti nuovi paramenti, usando questi “vecchi” tessuti.
Alla chiesa sono stati donati tessuti di ogni tipo, anche di esotica provenienza. Grömer ci racconta anche di una pianeta fatta con un prezioso tessuto di seta, originario del Vicino Oriente e risalente circa al 1300, con lettere arabe intrecciate che lodano Allah. Sicuramente la persona che ha donato quel tessuto nel 1430/1440 non ne conosceva il significato ma la considerava soltanto una preziosa stoffa, che meritava di essere rielaborata come indumento cristiano liturgico.
Non solo abiti
Ma i tessili in antico non furono riutilizzati soltanto per rattoppare abiti o cucirne di nuovi. Molti tessuti sono stati secondariamente o terziariamente convertiti ad usi differenti.
Un esempio viene dalle miniere di sale di Hallstatt risalente al VII – IV secolo a.C. Si tratta di una saia brunastra, di buona qualità, con diversi punti di cucitura evidentemente provenienti da mani diverse. Assieme a una originaria cucitura con punti accurati e precisi e un filo uniforme di un colore simile al tessuto, si evidenzia una seconda serie di punti meno accurati ed eseguiti con un filato più sottile e giallastro che spesso passano al di sopra della precedente cucitura e che tengono il tessuto ripiegato in più strati. Se ne deduce che si trattasse di un indumento, di buona qualità, successivamente piegato e ricucito per utilizzarlo in altro modo. In particolare vi è stato praticato un foro contornato a sua volta da punti che ne mantenessero la forma. Sembra trattarsi di un supporto al lavoro della miniera, di cui questo è l’unico esempio in tessuto pervenutoci, ma che ha dei parallelismi con altri oggetti molto simili in cuoio ritrovati proprio ad Hallstatt, sorte di manopole rudimentali per proteggere il palmo della mano durante l’utilizzo di corde e attrezzi.
Tessuti nei processi artigianali
Vi sono tracce di utilizzo di tessuti, spesso chiaramente di reimpiego, in varie attività produttive.
Un esempio sono i segni lasciati dalla trama di tessuti su alcuni esemplari di vasellame in diverse epoche. I tessuti, utilizzati per maneggiare o per appoggiarvi i manufatti non ancora asciutti, hanno inciso i segni delle loro armature nella ceramica fresca, che una volta cotta li ha conservati fino ad oggi.
Così come rimangono tracce di tessuti, assieme a impronte digitali, su alcuni mattoni di produzione romana o su alcune statuette d’argilla di XV secolo.
Ma un più curioso utilizzo è quello di cui abbiamo evidenza nella produzione di gioielli da parte di fabbri specializzati nella lavorazione del bronzo nella tarda età del Ferro e nell’alto Medioevo.
Sia stracci che altri materiali organici sono stati impiegati in particolare nella produzione di bracciali e cavigliere cavi; essi erano costituiti da lamine di bronzo molto sottili e decorate. Venivano riempiti con argilla, sabbia, legno o tessuto per stabilizzarne la forma. Questa era una necessità pratica durante la produzione, poiché il riempimento proteggeva la cavità impedendone il collassamento durante il processo di lavorazione. Tuttavia al termine della lavorazione esso veniva lasciato in sede continuando a esercitare la sua capacità protettiva della forma originaria anche durante l’utilizzo. Gli stracci rinvenuti in questi particolari anelli in bronzo sono sempre tele di lino.
Oggetti di questo tipo sono stati scavati nelle tombe femminili del primo e medio periodo di La Tène, in particolare in Moravia, Slovacchia e in Bassa Austria, per esempio a Mannersdorf am Leithagebirge.
Un esempio che chiarisce come il tessuto utilizzato sia un vero e proprio riciclo viene dalla tomba 9 di Nové Zámky in Slovacchia. Le due cavigliere della sepoltura femminile contenevano diversi frammenti di un tessuto di lino decorato con ricami di lana rossa. Questo pezzo di stoffa era sicuramente stato realizzato per essere indossato come capo d’abbigliamento. Nella ricerca slovacca di K. Pieta che ha evidenziato questi particolari, si discute anche se i tessuti contenuti nell’anello cavo, e quindi indossati, potessero avere un’origine specifica con una connotazione simbolica o una funzione magico-rituale.
Sono state rinvenute tracce dell’armatura di un tessile anche su alcuni esempi di puntali da cintura di origine Avara (VIII secolo d.C.) dalla necropoli di Leobersdorf, Austria. I puntali costituivano una caratteristica delle cinture maschili ed erano normalmente indice di elevato rango e ricchezza assieme ad altri elementi decorativi metallici. Secondo un’ipotesi di Hundt che ha compiuto alcune prove di archeologia sperimentale, le tracce di armatura tessile all’interno dei puntali in bronzo sono dovute all’inclusione di tessili nella cera del modello. Imbevendo di cera i sottili strati di tessuto si otteneva una maggior consistenza e rigidità della cera stessa che andava poi liquefatta nel processo di fusione (tecnica di fusione detta “a cera persa”).
A Erdeborn, in Sassonia-Anhalt, in Germania, gli scavi hanno portato alla luce un sito della prima età del ferro
dove veniva prodotto sale dalla salamoia, usando la tecnica del briquetage. I vasi di ceramica colmati di acqua salata venivano riscaldati nei forni. Non appena il liquido era evaporato, i cristalli di sale potevano essere raccolti dai vasi che rimangono ancora oggi in mille frammenti nel sito. Durante indagini scientifiche in alcuni casi si sono potute trovare impronte tessili di vario tipo all’interno dei vasi: tele grossolane, saie e una sorta di grossolano velo. Mentre i vasi appaiono standard per forma e dimensione, i tessuti non lo sono, rendendo probabile l’uso di stracci facilmente disponibili piuttosto che di tessuti appositamente prodotti questo scopo.
Anche in questo caso l’archeologia sperimentale è utile per comprendere la funzione del tessile. Si presume che gli stracci potessero essere stati inseriti per fungere da base attorno a cui il sale potesse facilmente cristallizzare ed essere recuperato.
Tessuti isolanti
A Mitterberg-Hochkönig nelle Alpi austriache è stata rinvenuta una importante miniera di rame dell’età del Bronzo attiva soprattutto nella seconda metà del II millennio a.C. All’interno della miniera è stata trovata una struttura in legno eretta per metà dell’altezza del tunnel, sostenuta da un deposito di brecciame di pietra. Come in altre miniere, anche a Mitterberg i minatori avevano problemi a gestire l’acqua indesiderata che si infiltrava durante lo scavo. Questo dispositivo di protezione fungeva da isolante contro l’acqua, mantenendo asciutta la parte di tunnel in cui i minatori lavoravano. Per un migliore isolamento tra le assi di legno erano stati inseriti stracci, soprattutto di lana, più adatta a tale scopo in quanto in grado di assorbire una maggior quantità di acqua di altre fibre tessili.
In epoca storica, le barche venivano costruite con assi adiacenti le une alle altre (tecnica carvel) o con tavole leggermente sovrapposte (tecnica clinker). La giunzione tra legno e legno della costruzione carvel per quanto stretta deve essere riempita per consentire una perfetta tenuta stagna.
Nel XIX secolo a Nydam nel sud dello Jutland, in Danimarca, furono trovate in una palude alcune imbarcazioni le cui condizioni di conservazione erano eccellenti. Conrad Engelhard ha avuto la possibilità non solo di osservare diversi dettagli tecnici sulla loro costruzione, ma ha anche rilevato materiale di calafataggio da due barche: la barca in quercia (barca Nydam B) e la barca in pino (barca Nydam C), che purtroppo è andata distrutta poco dopo lo scavo. Dalla sua relazione leggiamo relativamente alla barca di quercia, datata al 310-320 d.C. :
“Tra le assi dove si coprono l’un l’altra, [la barca] è sigillata con un panno di lana e una materia simile a pece e appiccicosa.”
E riguardo alla barca di pino:
“Sotto, vi sono chiazze di una sostanza sigillante composta di lana, tessuto e una materia simile a pece che sembra quella usata per fissare l’asta delle frecce.”
Analisi recenti indicano che i tessuti per calafataggio erano rivestiti da una materia idrorepellente. Sono stati utilizzati una varietà di diversi tessuti come tele o saie di lana e di fibra vegetale, ma anche tessuti più elaborati come la saia a losanghe. Tutti presentano qualità diverse, dai tessuti grezzi a quelli molto fini. I tessuti non appartenevano a un tipo specifico che potrebbe essere stato prodotto a tale scopo. Quindi, possiamo dedurre, che sia stato utilizzato solo materiale riciclato come isolante, pressato tra le assi di legno e imbevuto di sostanze idrorepellenti.
Nel corso di moderni lavori di ristrutturazione in castelli medievali sono stati rinvenuti in alcune occasioni tessuti, scarpe e altri rifiuti accumulati sotto le assi del pavimento, a riempimento delle intercapedini sotto le volte e in tutte le fessure tra le pietre dei muri.
Uno dei reperti più impressionanti scoperti negli ultimi anni, proviene dal castello di Lengberg in Tirolo, Austria. Lì, una volta tra il primo e il secondo piano era stata riempita con materiale secco depositato in diversi strati. Il secondo piano è stato aggiunto all’edificio nel corso del XV secolo e in quell’occasione deve essere stato creato il deposito.
I materiali comprendevano ramoscelli e paglia, ma anche legno lavorato, pelle (soprattutto scarpe) e oltre 2700 frammenti tessili. Tra questi vi sono indumenti strappati, frammenti di seta e tessuti coloratissimi.
Diversi frammenti presentano evidenze di un precedente prolungato riuso: parti già ricucite e riparate, altri frammenti sono stati ridotti in strisce e a volte annodati. Quando riparare non era più possibile, i capi di abbigliamento e gli stracci continuavano a tornare utili. Lo scopo di questo accumulo negli spazi vuoti della costruzione, infatti, non era solo quello di sbarazzarsi della spazzatura, poiché pareti e pavimenti imbottiti di materiale organico avevano anche una funzione pratica nell’isolamento termico dell’edificio.
Si deve a questo ritrovamento, avvenuto nel 2008, anche la scoperta di quattro reggiseni in lino, uno dei quali presentava resti di pizzo come decoro. Questo anticipa al XV secolo l’adozione di reggiseni di tipo moderno, che si credeva fossero stati adottati soltanto nello scorso secolo.
Altri usi
La rassegna di esempi di riciclo elaborata da Karina Grömer nel suo articolo comprende altri svariati usi degli scarti tessili. Per esempio la riparazione di utensili, come nel caso del ritrovamento nella miniera di sale di Dürrnberg risalente al V-IV secolo a.C., in cui una striscia di tessuto magnificamente elaborato con diversi colori ed evidentemente prodotto per l’abbigliamento ha terminato il suo uso come legaccio per riparare un piccone.
Sempre dalle miniere di Hallstatt e Dürrnberg, che grazie all’elevata salinità hanno conservato moltissimo materiale organico, provengono esempi di stoffe usate per fare da spessore tra manico di legno e teste di metallo di picconi e martelli. Oppure un bendaggio per un dito probabilmente fratturato, poiché contiene ancora un’asticella di legno.
Dalle tombe, in particolare dell’età del Ferro, provengono numerosi esempi in cui tessuti sono stati utilizzati per avvolgere non solo il corpo del defunto ma anche i resti cremati nelle urne, le urne stesse, o particolari oggetti deposti nella sepoltura.
Non mancano i casi in cui gli stracci derivati da capi di abbigliamento siano stati usati per scopi igienici, come asciugamani o addirittura come carta igienica, come si evidenzia da alcuni ritrovamenti nelle latrine, per esempio quella di Stallburg, parte del castello imperiale di Vienna, o quella del monastero di Friborg im Breisgau in Germania, dove sono state usate non solo semplici tele ma anche tessuti preziosi, parti di tappezzerie e strisce di seta. Tutti hanno adempiuto al loro ultimo compito come carta igienica.
Ricordiamo anche l’utilizzo degli stracci nella produzione di carta, il cui più antico esemplare conosciuto e prodotto con questa tecnica risale circa al 150 d.C.
Il riuso dei tessuti, attestato almeno fino dall’Età del Bronzo, ha riguardato qualsiasi ambito dell’attività umana. La motivazione principale risiede nella necessità di ottimizzare le risorse disponibili ed è determinata dalla preziosità intrinseca di questo manufatto. In epoche pre-industriali il ciclo produttivo intero dalla filatura alla tintura, tessitura e confezionamento di un capo poteva richiedere parecchi mesi. Nel caso di materiali di base di particolare pregio, come seta e oro, il riuso consisteva prevalentemente nella produzione di diversi indumenti presso gli alti ceti, come nel caso del riciclo di abiti nobiliari in ambito ecclesiastico.
In assenza di materiali artificiali e tecnologicamente avanzati l’inventiva ha fatto un ottimo uso degli scarti tessili, scoprendone le caratteristiche isolanti e coibentanti.
L’esito combinato di queste necessità ha raggiunto il felice risultato di diminuire la produzione di spazzatura migliorando nel contempo le condizioni umane sotto vari aspetti. Nel XXI secolo, mentre da un lato produciamo prodotti specifici per ogni singola esigenza, dall’altro non riusciamo a risolvere il problema della carenza di risorse e dell’enorme aumento di rifiuti.
Come sempre la Storia potrebbe insegnarci qualcosa.
Per la bibliografia rimandiamo a quella ricchissima dell’articolo originale.
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