Ferrara al tempo di Ercole I d’Este
Scavi archeologici, restauri e riqualificazione urbana nel centro storico della città
da domenica 6 aprile a domenica 13 luglio 2014
L’evoluzione del Palazzo Ducale
Inaugurazione presso la Residenza Municipale
venerdì 4 Aprile 2014, ore 11
Piazza Municipio n. 2
info 0532 419111 www.comune.fe.it
La mostra è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18.30
Gli scavi archeologici e i materiali
Inaugurazione al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
sabato 5 aprile 2014, ore 17
Via XX Settembre n. 122
info 0532 66299
La mostra è visitabile dal martedì alla domenica dalle 9.30 alle 17 (chiusura biglietteria ore 16.30)
Ingresso € 5,00 incluso nel biglietto del museo
I lavori di riqualificazione del centro storico di Ferrara hanno consentito di realizzare una serie di indagini archeologiche che hanno fornito nuovi elementi utili a comprendere meglio il complesso palinsesto costituito dalle residenze estensi. Gli scavi archeologici hanno interessato l’area dell’attuale piazza Municipale, del retrostante Giardino delle Duchesse, dell’edificio che ne costituiva la cerniera verso nord -noto come “ex Bazzi”- e più recentemente tutto il percorso di corso Martiri della Libertà. Altri interventi effettati all’interno del Castello Estense, seconda residenza in ordine di tempo degli Estensi, hanno fornito ulteriori dati su alcune parti dell’edifico tra cui la zona dei famosi “Camerini d’alabastro”.
Si è dunque avuta l’occasione di investigare un’area che fu oggetto di una delle più importanti operazioni di trasformazione urbana avviata da Ercole I, culminata nella famosa Addizione erculea del 1492.
Già dal 1470 il Duca si era posto l’obiettivo di un radicale rinnovamento dell’assetto cittadino, rimodernando prima tutti gli edifici che si affacciavano sulla vecchia piazza comunale, per poi passare alla residenza ducale. Nel 1479 venne creato il nuovo Cortile Ducale, corrispondente all’attuale piazza Municipale, realizzato abbattendo parte della precedente residenza, la nuova ala sul Cortile e il Giardino interno.
I risultati delle indagini archeologiche sono ora i protagonisti di due mostre incentrate su “Ferrara al tempo di Ercole I d’Este. Scavi archeologici, restauri e riqualificazione urbana nel centro storico della città” curate, per la parte archeologica, dall’archeologa della Soprintendenza, Chiara Guarnieri.
La prima mostra, dedicata specificatamente a “L’evoluzione del Palazzo Ducale”, espone tavole tematiche sul palazzo e sugli affreschi scoperti durante i restauri e sarà inaugurata venerdì 4 aprile, alle ore 11, nella Residenza Municipale in piazza Municipio 2 a Ferrara (dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18.30, info info 0532 419111 www.comune.fe.it).
La seconda, ospitata al piano nobile del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, è incentrata su “Gli scavi archeologici e i materiali” rinvenuti nelle indagini e ha come temi principali la vita a corte e l’aspetto del palazzo estense, illustrati attraverso i numerosissimi reperti rinvenuti negli scavi (inaugurazione il 5 aprile 2014, ore 17)
Entrambe le esposizioni sono aperte al pubblico dal 6 aprile al 13 luglio 2014
Qui in dettaglio, la mostra del Museo Archeologico Nazionale dedicata a “Gli scavi archeologici e i materiali” visitabile dal martedì alla domenica dalle 9.30 alle 17 (ultimo ingresso ore 16.30)
Lo scavo del palazzo Estense: la vasca di scarico
Le indagini archeologiche condotte in piazza Municipale e nel Giardino delle Duchesse hanno restituito una gran quantità di oggetti in ceramica, vetro e metallo, alcuni di notevole qualità.
Di particolare interesse, per la quantità di informazioni e materiali che ha restituito, è il rinvenimento di una vasca di scarico per rifiuti, ubicata lungo il lato meridionale dell’attuale Piazza. La vasca apparteneva alla vecchia residenza ducale, abbattuta nel 1479 per la creazione del Cortile Ducale.
Simili vani, realizzati in laterizio, venivano costruiti addossati alle fondazioni dei muri portanti; erano di forma rettangolare o quadrangolare, coperti da una volta a botte e forniti di caditoie poste a livello del piano pavimentale, attraverso le quali venivano gettati i rifiuti.
A Ferrara queste strutture si rinvengono in contesti abitativi aristocratici -come ad esempio Palazzo Paradiso e Palazzo Schifanoia-, in complessi monastici -come S. Paolo e S. Antonio in Polesine- oppure in dimore appartenenti al ceto benestante, come la casa rinvenuta in via Vaspergolo/corso Porta Reno. Altre strutture di questo tipo sono venute in luce in altri centri della regione, come ad esempio a Forlì, presso l’ex Monte di Pietà.
Le camere di scarico fanno la loro comparsa intorno alla metà del XIV secolo e vengono utilizzate almeno fino alla fine del XVII secolo. È probabile che vi si gettasse tutti i materiali giudicati inservibili o passati di moda, visto lo stato di conservazione -in genere ottimo- della maggior parte degli oggetti recuperati al loro interno. Una volta piena, la struttura veniva sigillata e quindi abbandonata.
Il rinvenimento di una vasca di scarico dei rifiuti offre dunque un’occasione di studio particolare per la presenza di oggetti utilizzati sia in cucina che in tavola, a cui si aggiungono in genere gli abbondanti resti di pasto, sia vegetali che animali, la cui analisi permette di ricostruire le abitudini alimentari e i rapporti economici del gruppo sociale a cui apparteneva.
All’interno di una vasca di scarico non è poi infrequente ritrovare piccoli oggetti legati alla vita quotidiana talora perduti, talaltra intenzionalmente gettati.
Gli oggetti sulla tavola di Ercole I
Se il panorama degli oggetti impiegati in cucina non varia molto durante tutto il Medioevo e il Rinascimento, per quanto riguarda gli oggetti utilizzati sulla tavola assistiamo a un notevole cambiamento negli usi intorno al XV secolo, periodo in cui inizia ad affermarsi l’uso delle stoviglie individuali, un costume che porta sulla mensa una notevole varietà di oggetti, principalmente prodotti nelle manifatture locali.
Lo scavo di una camera sotterranea utilizzata per lo scarico dei rifiuti, pertinente al Palazzo estense, ha permesso di portare in luce parte della sontuosa suppellettile in uso alla corte.
Nel Ducato Estense si registra il prevalere degli oggetti in ceramica graffita -soprattutto forme aperte come ciotole e piatti- su quelli in ceramica smaltata, più diffusi nell’area meridionale della regione (la Romagna). Sulle tavole più ricche, qual’era quella estense, potevano essere presenti anche oggetti esotici, come boccali e ciotole di provenienza mediorientale e spagnola. In particolare il flusso di importazioni dall’area spagnola nell’area nord orientale italiana registrerà un picco di importazioni nella prima metà del Quattrocento. A Ferrara in questo periodo, sono ricordati prodotti in terra di Valenza, mentre nei registri del Duca Ercole I del settembre 1504 si menziona un boccale a la chatalana
.
Numerosi anche i vetri, quasi tutti riferibili ad oggetti in uso sulla tavola come bottiglie e bicchieri dalla semplice foggia troncoconica apoda; di eccezionale bellezza e rarità è invece la coppa su alto piede, probabilmente utilizzata come fruttiera, e la coppa in vetro verde smeraldo di fabbricazione muranese.
Sulla tavola le posate più utilizzate erano i coltelli ed i cucchiai; se questi ultimi erano per la maggior parte realizzati in legno, per le tavole più eleganti esistevano esemplari in bronzo, in metalli preziosi o in pietra dura, come l’esemplare che è conservato presso la Galleria Estense di Modena. Molto più rara la forchetta che però sulla tavola dei Duchi di Ferrara troverà posto come oggetto di lusso.
La cucina ed il servizio a tavola
Tra gli oggetti rinvenuti nella vasca di scarico sono molto numerosi anche quelli utilizzati in cucina per la preparazione dei cibi. Nella cucina era sempre presente il camino con il fuoco acceso, su cui veniva appeso tramite un gancio un calderone in metallo, oltre alle braci su cui erano cotte le carni; altri cibi venivano cucinati per lungo tempo in pentole che venivano accostate alla fiamma, azione che ha lasciato ampie aree di affumicatura sulle pareti di questi oggetti. I catini-coperchio erano utilizzati come fornetti domestici per cuocere il pane sul piano del focolare. Per la preparazione e la conservazione dei cibi ci si serviva di ciotole e catini di diverse dimensioni, mentre l’acqua veniva conservata in brocche di terracotta o ricoperte da invetriatura.
Questa dotazione di base era ovviamente più ampia nelle cucine ducali che dovevano preparare sontuosi banchetti per centinaia di persone. Il cuoco di una corte non era infatti un semplice preparatore delle vivande ma l’addetto ad un servizio dal quale dipendevano buona parte dei successi del principe. In particolare in un trattato spagnolo del 1423 si delineano le tre figure principali per il servizio in cucina ed in tavola: il cuoco, il dispensiere ed il trinciante che a sua volta dipendeva dallo scalco, persona di grande compostezza ed eleganza. Quest’ultimo si destreggiava nel taglio delle carni, ma era il vero e proprio regista ed organizzatore delle feste a corte. Prototipo di un alto responsabile dei “servizi di bocca” di un grande palazzo e della cucina che proponeva è Cristoforo di Messisbugo, autore dell’opera Banchetti, composizioni di vivande ed apparecchio generale dedicato ad Ippolito d’Este, fratello di Alfonso II.
Era infatti lo scalco che coordinava il complesso meccanismo del banchetto, mentre i sottoscalchi facevano il servizio a tavola; questi a loro volta erano aiutati dagli scudieri. Il servizio più apprezzato nell’Italia del Cinquecento è quello all’italiana che si fonda su di un’alternanza di servizi da credenza, composti da preparazioni fredde, e servizi da cucina che includono la maggior parte dei piatti caldi. In genere un pranzo importante poteva prevedere due servizi da credenza e tre/quattro servizi da cucina: calcolando che ogni servizio era composto di otto-dieci portate, ci si può fare un’idea della ricchezza e dell’abbondanza presente sulla tavola
Che cosa si mangiava alla tavola estense? I dati provenienti dai reperti botanici
L’alta cucina del Rinascimento si distingue sia per la straordinaria ricchezza degli ingredienti che per i metodi di preparazione. Un’idea di quanto potesse esserci sulla tavola estense viene dagli abbondanti resti di pasto (ossa animali, semi, resti vegetali) rinvenuti nella vasca di scarico di piazza Municipale.
La vasca ha restituito una grande quantità di resti carpologici (semi) provenienti dalla tavola ducale e, in misura minore, anche delle operazioni di pulizia degli spazi aperti del Palazzo. Sono stati rinvenuti circa 70.000 semi/frutti per 143 specie/tipi carpologici.
Per lo più si tratta di reperti attribuibili a piante alimentari, soprattutto a frutta coltivata: fico e vite innanzitutto, poi melograno, melone, nespole, more di gelso e di rovo, fragole, amarene, ciliegie, pesche, albicocche, prugne, pere, mele, giuggiole, sorbe, pinoli, noci, nocciole, alchechengi, cocomero. Non mancano anche frutti spontanei, come quelli di sambuco e biancospino, prugnole, corniole, castagne d’acqua.
Nutrita è anche la schiera di ortive/aromatiche/condimentarie di cui si faceva gran uso nella cucina del Rinascimento: aneto, coriandolo, finocchio, ginepro, maggiorana, zucche, olive, papavero coltivato, prezzemolo, anice, porcellana, rosmarino, valerianella, verbena. Da rimarcare la presenza di ceci, legumi inusuali per il contesto regionale. Quasi tutte le piante alimentari testimoniate dalla vasca vengono citate nell’opera di Cristoforo da Messisbugo, scalco alla corte estense tra fine XV e prima metà del XVI secolo. Questo fatto, insieme alla grande taglia di molti dei reperti qui rinvenuti e alla varietà soprattutto di frutta, elemento voluttuario per eccellenza, rendono un veritiero spaccato dei vegetali che potevano passare su un desco privilegiato e di lusso.
Ci sono poi tracce di diverse piante ornamentali, anche con fiori (rose, garofani, viole, trifogli,…) che potevano essere utilizzati sulla tavola per accogliere i commensali o per abbellire i piatti di portata; anche queste pratiche sono riportate dalle pagine di Messisbugo, pagine che acquistano un maggior senso e profondità grazie ai reperti carpologici rinvenuti, reali e tangibili.
Che cosa si mangiava alla tavola estense? I dati provenienti dai reperti faunistici
Lo scavo di Piazza Municipale a Ferrara ha portato alla luce una notevole varietà di carni, molluschi e crostacei, testimonianza di una tavola ricca e ricercata, propria di una famiglia dell’alta aristocrazia nobiliare. Si tratta di oltre 7000 reperti faunistici, di cui quasi 5000 nella sola vasca di scarico dei rifiuti.
Nella cucina rinascimentale rimane il gusto degli arrosti di tutti i tipi, della selvaggina di penna e di pelo e di tutti i volatili in genere e, al contrario dall’epoca medievale, comincia ad essere apprezzata la carne di manzo, così come attestato dai resti rinvenuti nello scarico. I bovini risultano infatti essere la tipologia con il numero di resti maggiore, macellati in giovane età per la qualità della carne. Inoltre sono frequenti ovicaprini, suini, e qualche reperto di lepre/coniglio e cervo. Molte di queste ossa recano segni di origine antropica (macellazione) e di origine animale (rosicchiature di roditori, cani o gatti, i cui resti sono stati rinvenuti all’interno della vasca).
Tra gli oltre 170 reperti di avifauna determinati è stata riscontrata una grande varietà: pollo, fagiano, oca, gru, pernice e germano reale cacciati a scopo alimentare, rapaci come l’aquila e lo sparviere, allevati per la falconeria ma anche utilizzati impagliati per adornare la tavola.
La cucina di pesce costituiva una connotazione importante nell’arte culinaria del Rinascimento, comprendente per le corti sia il pesce d’acqua dolce che quello di mare.
La vasca di scarico ha restituito anche molte ossa di pesci di acqua dolce, come carpa, storione, luccio, scardola e cavedano, sfruttati soprattutto nei lunghi periodi di “bianco mangiare”, cioè del mangiare di magro. Altri reperti degni di attenzione sono i molluschi, con oltre 4000 esemplari divisi tra ostriche, vongole, telline e cuore edule e, tra i crostacei, la granceola. A questo proposito è interessante ricordare che per le nozze di Alfonso II con Barbara d’Austria furono ordinati da Venezia e dalla terra di Schiavonia (Dalmazia) pesci e crostacei tra cui 10.000 ostriche!
La vita quotidiana a Palazzo
La setacciatura di tutto il contenuto della vasca di scarico ha consentito di ritrovare molti oggetti minuti che aprono degli squarci su alcuni aspetti della vita quotidina a corte e sulle attività che si svolgevano.
Tra i materiali appartenenti al vestiario sono venuti in luce alcuni piccoli bottoni di forma rotonda ed una fibbia per scarpe in bronzo, oltre a vaghi (perle) per collana in corallo, cristallo di rocca, granato, oltre ad una piccola perla. Era certamente utilizzato da un uomo, visto il suo diametro, l’anello in lega d’argento con monogramma, mentre era forse parte della decorazione di una cintura in cuoio o stoffa la piccola borchia d’argento a forma di fiore stilizzato.
Tra gli oggetti appartenenti alla suppellettile è di notevole interesse è una lamina rotonda in stagno, che raffigura una sirena che si tiene con le mani gli estremi della coda; si tratta di un elemento decorativo che tra Medioevo e primo Rinascimento troverà ampia applicazione per la decorazione di oggetti in legno di varia natura come cofanetti, scatole ed altri piccoli oggetti di uso quotidiano. A questo proposito vogliamo ricordare come in un’altra vasca di scarico rinvenuta in via Vaspergolo a Ferrara sia venuto in luce un esemplare di specchio con contenitore sferico in legno decorato con simili applicazioni. Tra i materiali in vetro di segnala la presenza di piccole fiale di forma schiacciata, destinate alla conservazione dei profumi.
Sono venuti in luce anche strumenti del lavoro femminile, come un ditale, una fusaiola e alcuni spilli in bronzo od oggetti legati al tempo libero, come i numerosi dadi in osso.Da ultimo si segnala anche la presenza di un sigillo raffigurante un’aquila o un grifo ed un piccolo peso, certamente servito per pesare metalli preziosi.
Durante gli scavi di piazza Municipale è stato possibile portare in luce anche uno scarico di spazzatura gettato in uno spazio tra due murature. Al suo interno è stato trovato un notevole numero di ceramiche graffite con simboli religiosi, accompagnati da catini ad impasto grezzo. Insieme a questi oggetti si sono rinvenuti anche un discreto numero di orinali, utilizzati dai medici per valutare il colore delle urine.
Il palazzo Estense: i risultati degli scavi archeologici di piazza Municipale, edificio ex Bazzi e di corso Martiri della Libertà
Al tempo di Ercole I d’Este, prima del 1479 data dei lavori che sconvolsero questo spazio urbano, l’odierna piazza Municipale era attraversato dalla ‘Via Nova’ (antica via della Rotta, che trovava la sua prosecuzione nell’odierna via Garibaldi) che dalla loggia del Duca (oggi Palazzo Comunale) conduceva a S. Domenico; ai due lati si affacciavano edifici, con uffici e botteghe. Sul lato sud insisteva il grande palazzo del Duca, del quale, attraverso gli scavi archeologici, è stato possibile documentare gran parte del perimetro.
Dell’articolata planimetria interna del Palazzo, che non ci è pervenuta integra, sono stati indagati due ambienti; all’interno di uno di questi la presenza di una vasca, residui di carbone, cenere e calce – oltre ai resti di basamenti in laterizi e di una probabile conduttura di aerazione- hanno permesso di ipotizzare una destinazione d’uso di questi spazi connessa ad attività artigianali.
Esternamente al palazzo, sui lati sud e ovest, sono state rinvenute parti di coperture a volta relative ad un sistema di condutture idriche e cisterne che vennero riempite, una volta dismesse, con macerie e vario materiale di scarto. Su entrambi i lati il fortunato ritrovamento di due scarichi di rifiuti ha restituito una grande quantità di ceramica, vetro, metallo e resti di pasto, che hanno consentito di arricchire le nostre informazioni sulla vita quotidiana di un particolare e significativo momento storico della città.
Nella parte nord dell’attuale Piazza Municipale lo scavo ha restituito un’interessante serie di strutture murarie dalle quali risulta percepibile una ripartizione in due aree, separate da un lungo muro con andamento est-ovest che costituiva la chiusura verso settentrione di una serie di botteghe che dovevano affacciarsi sulla già citata ‘Via Nova’, nei quali potrebbero essere riconosciute le botteghe e gli uffici nominati dalle fonti. Sul retro di questi vi era un grande edificio, facente parte del complesso del Palazzo Estense, di cui sono stati riconosciuti due ambienti dotati di pozzo e pavimentati a spinapesce, probabilmente piccole aree cortilizie.
Il palazzo Estense: i risultati degli scavi archeologici di piazza Municipale, edificio ex Bazzi e di corso Martiri della Libertà. I resti della Porta dei Leoni
Il rinvenimento più interessante si è rivelato la grande struttura rettangolare pertinente ad una pozzo/fontana (m.12,5 x 5,5), costruita in appoggio al muro di chiusura delle botteghe e realizzata in muratura e foderata internamente con uno spesso strato di cocciopesto idraulico. La situazione portata in luce dagli scavi fu completamente sconvolta a partire dall’agosto del 1479, quando Eleonora D’Aragona, consorte di Ercole I, fece iniziare le demolizioni di questo palazzo e degli altri edifici sul lato opposto della strada, per realizzare un ampio spazio aperto, il ‘Cortilnuovo’, corrispondente all’attuale Piazza Municipale.
Gli scavi archeologici realizzati in occasione della ripavimentazione di corso Martiri della Libertà – strada che dal Palazzo Ducale porta al Castello- hanno consentito di portare in luce le fondazioni della Loggia di Piazza. Si trattava di un’imponente costruzione che partendo dal Volto del Cavallo terminava all’attuale piazza Savonarola. Costruita nel 1473 contemporaneamente ai lavori per la realizzazione della soprastante Sala Grande, enorme salone (m 60 x 13) che fu utilizzato da Ercole I per feste e spettacoli teatrali. Sia il Salone che la Loggia furono distrutti da un incendio nel 1532. Al posto, al piano terreno vennero costruite delle botteghe.
Gli scavi lungo corso Martiri hanno anche permesso di portare in luce le fondazioni della Porta dei Leoni, una delle porte di uscita che punteggiavano la cerchia muraria medievale sul lato nord, ed il collegamento che la legava alla Torre dei Leoni, struttura che fu poi inglobata all’interno della Torre nordorientale del castello Estense. La porta, come le mura medievali, convissero per un periodo con il nuovo tratto di mura settentrionali voluto da Ercole I e realizzato da Biagio Rossetti, come testimonia la xilografia che raffigura la città nel 1499. La porta fu infatti abbattuta intorno al 1514, quando ormai l’apparato difensivo risultava completamente inutile per la difesa della città permettendo così l’ampliamento del fossato del Castello.
L’architettura del Palazzo Estense e gli arredi: i resti archeologici
Gli scavi condotti nell’area di piazza Municipale, Giardino delle Duchesse e di Corso Martiri della Libertà hanno portato alla luce una serie molto interessante di materiali ad uso architettonico e altri manufatti per l’arredo, che accanto ai vetri e alle ceramiche per la mensa, ci forniscono una suggestione di come potevano presentarsi gli ambienti del Palazzo Ducale.
Tra i materiali architettonici da rivestimento vanno ricordate anzitutto le piastrelle, di forma quadrata e rettangolare, impiegate per pavimentare quelle che erano le stanze più importanti della residenza estense. Queste piastrelle mostrano due tipi di rivestimento, ad ingobbio e vetrina verde o bruna nei pezzi privi di decorazione, oppure a smalto qualora decorate. Mancano del tutto le piastrelle graffite, la cui esistenza è invece documentata in altri scavi urbani.
Altri elementi architettonici in ceramica adoperati all’interno del palazzo erano i ‘vasi da stufa’, così chiamati poiché parte integrante delle stufe da riscaldamento; questi recipienti, infatti, una volta inseriti nella struttura in argilla della stufa (generalmente voltata a botte) con il fondo rivolto verso l’interno, a contatto cioè della fiamma, favorivano la massima irradiazione possibile del calore. Gli elementi da stufa recuperati nello scavo cono tutti di forma quadrilobata, con invetriatura verde scuro. Forse apparteneva ad un’altra stufa una sorta di piccolo coppo in ceramica smaltata forse di produzione romagnola.
Faceva parte dell’arredo interno del Palazzo anche la lampada in bronzo con serbatoio circolare recuperata nella vasca di scarico della Piazza ed un gancio che forse permetteva di appenderla. Quest’ultima doveva assolvere al ruolo d’illuminazione delle stanze, probabilmente assieme ad altre lampade in ceramica e ai candelieri, di cui però non è rimasta traccia fra i reperti. Moltissimi invece i vetri da finestra, i cosidetti “rulli”, realizzati in diverse misure e con colori varianti dal giallo, al verde, all’azzurro.
L’architettura del Palazzo Estense e gli arredi: i resti archeologici
Spostando lo sguardo ai materiali da costruzione veri e propri, un accenno meritano sicuramente i tubi fittili, che rappresentavano le condutture del Palazzo, adibite allo scarico fognario o al convogliamento e alla distribuzione dell’acqua. I tubi, che provengono quasi interamente dalla vasca di scarico, hanno tutti forma cilindrica, leggermente rastremata da permettere l’incastro l’uno con l’altro. Accanto a questi è venuto in luce un doccione di scarico in pietra, simile a quelli che è ancora possibile vedere nel Castello Estense. Tra gli elementi di carpenteria si annoverano anche alcuni chiodi da strutture lignee in bronzo.
Le pavimentazioni erano tutte realizzate in mattoni: in mostra è presente una porzione del pavimento in mattoni posati a spina di pesce che ricopriva una parte dell’area cortiliva del Palazzo Ducale, rinvenuta durante gli scavi del 2001.
Le indagini archeologiche condotte nell’area del Giardino delle Duchesse hanno portato al recupero di vari frammenti di materiali lapidei. Tra questi si segnala la presenza di una parte di cornice recante in un caso le lettere HE, da riferirsi al duca Ercole I; ancora, provenienti dalle indagini presso in giardino delle Duchesse, provengono alcuni piccoli resti della decorazione della famosa “Fontana dorata”, che sappiamo dalle cronache essere stata riccamente decorata con statue.
Infine, un posto di riguardo ricoprono i frammenti d’intonaco rinvenuti all’interno dell’ex Bazzi, sul versante nord della piazza; sebbene siano pochi e di piccole dimensioni, questi lacerti, che non restituiscono nessuna immagine finita ma solo alcuni colori, sono certamente da ricollegare agli splendidi affreschi venuti alla luce al piano superiore dell’edificio.
Il Giardino delle Duchesse
Nel corso del 2003 gli scavi archeologici hanno interessato l’area del Giardino delle Duchesse. La scoperta di maggiore interesse è stata, in un punto corrispondente al centro dell’antico giardino (i limiti odierni sono infatti differenti), la famosa fontana dorata, più volte citata dalle fonti; gli scavi hanno portato in luce un grande basamento a pianta circolare, lievemente irregolare, realizzato in laterizi. La fontana veniva alimentata convogliando l’acqua da via Garibaldi attraverso tubi in lamina di piombo arrotolata, alloggiati in un’apposita canaletta. I numerosi frammenti scultorei rinvenuti, sebbene di esigue dimensioni, ci confermano come la fontana fosse “adorna di marmi ed eleganti scolture”.
Molto interessante si è rivelato l’approfondimento realizzato in corrispondenza del cosiddetto oratorio di Renata di Francia, sul lato est del giardino. Qui sono state messe in luce le fondazioni delle due colonne del loggiato e la relativa soglia; la stratigrafia mostra tracce di numerosi interventi edilizi, parte dei quali, soprattutto dal XVI secolo in poi, volti a ripristinare e migliorare la rete di condutture idriche.
Sul lato nord del giardino, immediatamente a ridosso del corpo di fabbrica che lo separa da piazzetta Castello, un altro sondaggio ha messo in luce la fondazione di una delle colonne del loggiato che correva su questo lato; sotto la tamponatura dell’arco è apparsa la soglia d’entrata al giardino da piazza Castello, realizzata in marmo bianco. Le fondazioni del loggiato sono impostate su edifici preesistenti che ci indicano come la zona nel Medioevo fosse ampiamente frequentata sia da abitazioni che da strutture di tipo artigianale.
La lunga vita del Giardino delle Duchesse
La famosa fontana non rimase molto a lungo in funzione. Le tubature facevano fatica a portare acqua e per questo motivo già 1548 venne distrutta. Le stesse tubazioni in piombo furono divelte e dopo averle rifuse divennero materiale per la costruzione della Fortezza pontificia.
Ciononostante il Giardino non fu abbandonato: il suo aspetto nel XVII secolo ricalca sostanzialmente quello quattrocentesco, a parte l’assenza della fontana.
Lo scavo ha consentito di portare in luce anche parte di queste sistemazioni del giardino, in particolare dei vialetti che dividevano le aiuole, realizzati con mattoni posati di piatto a formare un disegno a spina di pesce. Questa sistemazione corrisponde alla descrizione che fa del Giardino il Moroni nel 1618, con una suddivisione a croce con alberi piantati all’incrocio dei percorsi, aiuole di bosso con disegni geometrici ed ancora esistente l’oratorio della Duchessa.
Nel XVIII secolo l’area del Giardino fu lentamente abbandonata e divenne in parte destinata ad orto, in parte lasciata incolta con fabbricati destinati a stalle e rimesse. Sono testimonianza di questo uso gli abbondanti scarichi di materiali, soprattutto ceramiche e resti di pasto, rinvenuti nelle buche che punteggiavano l’area. Si tratta di ceramiche utilizzate in tavola, che in questo periodo si caratterizzano per essere smaltate in bianco o in colore turchese, ceramiche dipinte ed i resti di una pipa .
Questo utilizzo improprio del Giardino continuò anche nel secolo successivo come testimonia la presenza della ceramica a copertura nera, costituita soprattutto da scaldini e tegami, di produzione ottocentesca.
L’aspetto del Giardino delle Duchesse
Grazie alle analisi archeobotaniche del Giardino (integrate a quelle del sistema di vasche di scarico della Piazza Municipale) è stato possibile ottenere dati che hanno arricchito, completato e maggiormente dettagliato le informazioni desunte da fonti iconografiche e storico-archivistiche. L’analisi dei pollini ha confermato la presenza di piante legnose sempreverdi, adatte anche all’arte topiaria, come bosso, tasso, forse cipresso, oltre ad una che poteva avere sia carattere ornamentale che fruttifero, come il pino domestico da pinoli.
Nel giardino, o nelle sue immediate vicinanze, potevano trovare posto anche alberi caducifogli ad alto fusto, come platano e tiglio, e poi il gelso nero, con valore sia ornamentale che alimentare. Un ruolo importante doveva averlo il melograno, molto rappresentato a livello carpologico; queste evidenze confermano in pieno le testimonianze iconografiche che lo raffigurano formante fitte siepi nei contesti estensi. Completavano l’arredo verde agrifoglio, mirto, alloro, ligustro, forse ginepro, edera, piante di cappero. E’ipotizzabile anche la presenza di vite, forse in pergolato e sostenuta dall’olmo, anch’esso con testimonianze polliniche. Certi appaiono pesco e albicocco, ma probabilmente il giardino ospitava anche altri alberi fruttiferi. Evidente è la presenza di varie piante arbustive o erbacee con valore ornamentale: rose, alchechengi, primule, aquilegie, mughetti, crochi, garofani.
La testimonianza di piante legate all’acqua, come ninfea e loto, induce a pensare che anche la fontana centrale potesse essere adornata da vegetali. Piante spontanee con fiori gradevoli (come borragine, convolvoli, tanaceto, acetosella, potentille,…) aiutavano a rendere il Giardino delle Duchesse il luogo ameno che doveva essere al massimo del suo splendore.
Catino in ceramica smaltata della metà del XIV secolo
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