Vogliamo proporvi uno strano viaggio nella tradizione musicale del mondo anglo – sassone. Abbiamo trovato ieri sul sito Medievalist.net l’abstract di un articolo di A.R.Glover che ci ha indotto a immaginare la vita quotidiana nell’Inghilterra dell’alto Medioevo, le emozioni e le consuetudini di un popolo lontano da noi nel tempo e nello spazio e pensare alla figura del bardo- skaldo, menestrello – scop, alla sua valenza sociale e alla sua “magia”. Questa è veramente Storia Viva. Abbiamo tradotto qualche passo dell’articolo e aggiunto qualche nota per maggior chiarezza. Venite ad ascoltare uno “scop” con noi?
Introduzione
Le prime luci dell’alba sull’ennesima fredda mattina di dicembre, due giorni prima del grande Solstizio d’inverno e il giorno di inizio dei 12 giorni di Yuletide mi fanno riflettere su come i nostri antenati usavano far fronte alle lunghe scure notti terrificanti di silenzio, tempeste e neve in un momento in cui il mondo appariva in modo molto diverso da oggi. Un mondo di Divinità norrene, giganti, nani, troll, elfi e forze oscure in agguato in una realtà che essi non potevano controllare o anche solo provare a comprendere o da cui tentare di tutelarsi. Oggi la scienza ha spiegato molti dei misteri della natura intorno a noi, così come dello spazio, e ci ha dato la capacità di chiudere fuori il duro mondo naturale per sentirci parte di una civiltà che non è solo nazionale, ma ora addirittura globale, attraverso la tecnologia. Siamo in grado di chiudere un portone made in Germany con una chiave e serratura made in Cina prodotte con acciai forniti dall’India e guardare una serie tv made in America su un sistema TV made in Japan mentre mangiamo un pasto Thai take-away. .. e così via. Ho reso l’idea!
Il mondo Anglo-Sassone medievale
Pensate invece ad un mondo senza comunicazione immediata, senza elettricità o acqua corrente, un mondo che viveva in piccoli villaggi con il cibo coltivato nei campi locali e la carne per la vostra cena che condivideva la vostra casa, il vostro cortile o i vostri campi. Un mondo dove, se tu avessi visitato l’importante città che dista dieci miglia, saresti stato considerato “un viaggiatore”. Un mondo di superstizione e di piccola politica locale, un luogo con una vita semplice ma in cui sopravvivere e vivere era difficile. Un luogo dove l’intrattenimento era prodotto da voi stessi o dallo ‘scop’ (cantastorie n.d.t) della vostra comunità, o da un narratore e musicista itinerante.
Solo gli Housecarls e i Thegns conoscevano il paese al di fuori dei loro dintorni locali e questo perché si occupavano dell’incasso delle gabelle o per motivi di guerra. La nostra percezione dei nostri avi è quella di selvaggi formidabili guerrieri dalle fluenti chiome, rimpinzati di carne e ubriachi, al punto di svenire, di forte idromele mielato, mentre ascoltano i loro skald / scop raccontare storie di gloriosi combattimenti, da cui alcuni di loro non sono mai tornati, contro la vicina tribù da sempre odiata, di solito senza una ragione apparente, e di cui non ci sarà mai da fidarsi. Ebbene, fino a un certo punto questa è la verità, i guerrieri hanno fatto tutto questo, e probabilmente altro ancora, ma non sempre e non tutte le notti. Sono stati anche scrupolosi, fedeli, religiosi, abili artigiani che hanno amato il commercio e le belle arti. La società Anglo-Sassone, che costituiva l’etnia predominante in Gran Bretagna dalla fine del V secolo, ha avuto un assetto sociale diverso da quello odierno e ogni tribù o comunità era costituita dai suoi strati sociali gerarchici, con il contadino al più basso livello per salire fino al conte locale (Earl) o re, sotto cui gli Housecarls (combattenti professionisti) hanno svolto un ruolo importante, seguiti dagli uomini liberi e dagli agricoltori della zona. Essi a loro volta avevano schiavi catturati in battaglia per aiutarli a lavorare la terra, ma ognuno era libero in misura maggiore o minore essendo obbligato comunque alla fedeltà verso il suo signore. Un agricoltore coltivava la sua terra e pagava una modesta tassa al suo signore locale, conte o Thegn, doveva poi per contratto servire il suo signore, conte o re, nell’esercito personale (fyrd) per poche settimane all’anno, in caso di necessità.
Lo “Scop”
Uno “Scop” (bardo / scaldo) non rivestiva solo il ruolo di narratore o di artigiano della musica, ma anche quello del detentore della storia della comunità in un periodo di scarsa alfabetizzazione tra la gente comune. Come si inseriva in questa società guerriera-contadina? Non era visto come un reietto, scroccone, squilibrato o molesto profittatore come la maggior parte della società di oggi vede i musicisti. Al contrario queste figure erano esaltate come parte integrante della società, come artisti della narrazione, comici, interpreti e autori di canzoni, custodi delle storie, delle leggi, dei modi e tradizioni della gente tra cui erano cresciuti e vissuti. Giocavano un ruolo centrale all’interno del mondo che li circondava. Il loro compito potrebbe essere visto non solo come intrattenimento, ma come ponte tra il mondo fisico e quello spirituale attraverso la loro musica e l’abilità di narrare i grandi racconti epici e le poesie della loro società, nonché le leggende norrene, fino a quando il cristianesimo vietò di ascoltarle in quanto eretiche.
Il ruolo della musica
La musica era vista dai nostri primi coloni anglo-sassoni come qualcosa di proveniente da un altro mondo o regno, e potrebbe essere stata “magia” essa stessa o intrisa di proprietà magiche. In quell’epoca la magia non era percepita come qualcosa di negativo come avvenne dal tempo della conquista normanna in poi, ma poteva essere sia buona che malefica, a seconda della natura del mondo circostante. Gli Angli e i Sassoni infatti vivevano in maggior sintonia con il mondo naturale che li circondava di quanto noi possiamo mai fare, racchiusi nei nostri gusci di mattoni e veicoli in metallo. Il loro era un mondo pieno di forze della natura fossero esse belle, brutte, calme o distruttive. La musica aveva il potere di modificare gli stati mentali, di calmare o di sostenere guerrieri e popolo in momenti cruciali per i singoli e per le società. Il mondo del suono era un posto magico in cui abitare e soggiornare, era come fumo, qualcosa di fisico e tuttavia intangibile, impossibile da trattenere nella sua fisicità, e come Shakespeare ebbe occasione di scrivere ne La Tempesta (Act III, Scene 2, Caliban) molti secoli dopo:
Be not afeard: the isle is full of noises, Sounds, and sweet airs, that give delight, and hurt not. Sometimes a thousand twangling instruments Will hum about mine ears; and sometimes voices, That, if I then had wak’d after long sleep, Will make me sleep again: and then, in dreaming, The clouds methought would open and show riches Ready to drop upon me; that, when I wak’d, I cried to dream again.
Non abbiate paura: l’isola è piena di rumori, di suoni e dolci canti, che donano piacere e non fanno male. Talvolta mille vibranti strumenti mi risuonano nelle orecchie; altre volte odo voci, che, anche se mi sono appena svegliato dopo un lungo sonno, mi fanno riaddormentare: e allora, in sogno, sembra diradarsi ogni nuvola e ogni più bella cosa mi appare pronta a discendere su di me; così che, svegliandomi, imploro di sognare ancora.
Musica e guarigione
La musica aveva anche un ruolo taumaturgico, una specie di medicina sciamanica rituale portatrice di guarigione e di benefici. Molto simile a quel che si riconosceva tra gli indiani del Nord America o in alcune parti dell’Africa e in particolari tribù africane anche al giorno d’oggi. Questa convinzione nel potere guaritore della musica continuò a esistere anche in epoca cristiana, dove le gerarchie della chiesa la disapprovavano in quanto pagana ma non vi si opposero in modo convincente. In seguito, nel corso del Medioevo, vi fu addirittura una forma di approvazione da parte del clero che incoraggiò ad interpretarla come un dono di Dio e a celebrarla come fonte di guarigione e di liberazione spirituale. Al giorno d’oggi crediamo ancora, e ci sono un bel po’ di prove a sostegno, al potere curativo della musica e del suono. Siamo molto felici infatti di ascoltare musica rilassante quando siamo in ansia o quando andiamo dal dentista. Abbiamo musicoterapisti che usano la musica nei processi di guarigione per pazienti malati nel fisico o nella mente. In questo utilizzo stiamo seguendo i nostri antenati anglosassoni, e una lunga serie di altre etnie, nel credere ai poteri rigeneranti della musica come forza guaritrice. Gli aborigeni australiani, i medici ‘Stregoni’ africani e gli ‘Sciamani’ del continente americano usano tutti la musica come parte dei loro rituali di guarigione. Presso gli Angli e Sassoni si trattava di magia ‘buona’, o ‘bianca’, che solo alcune persone potevano eseguire o controllare. Veniva incanalata da un altro strato di esistenza: nel mondo pre cristiano, dall’amore del dio Woden (Odino) e la sua sete di conoscenza, e in seguito nel cristianesimo da Dio come dono per l’umanità. Una persona, lo ‘scop’, diviene quindi anche un guaritore, oltre che conoscitore e custode delle arti e della storia.
Ci sono poche prove per indicare il fatto che lo “scop” potesse essere una donna. Questo è piuttosto difficile da comprendere, dal momento che presso Britanni e Celti della Britannia entrambi i sessi potevano ricoprire questo ruolo. Ad esempio nel poema Beowulf, Wealhþeow, moglie di re Hroðgar, prende la lira e canta un lamento. L’uso del passare la lira tra gli astanti in modo che ciascuno potesse suonare o cantare un brano, senza distinzione di sesso o età, era consueto tra le popolazioni scandinave, tra cui si annoverano anche Angli e Sassoni.
C’è un aneddoto nella Vita di Cædmon, in cui Beda il Venerabile riporta come “Cædmon si congedò dal refettorio del monastero prima che l’arpa fosse arrivata a lui, dicendo che non sapeva cantare nè suonare”. Egli era in effetti un umile pastore di origini anglosassoni presso il monastero di Streonæshalch (Whitby) non educato all’arte della musica. Quella notte però ebbe un sogno, inviato da Dio, in cui egli era in grado di cantare un inno alla Creazione e le parole del canto lo ossessionarono per tutta la notte. L’indomani fece ascoltare la composizione alla badessa Hild, che si stupì non poco e lo esortò a produrre altri componimenti del genere. Beda scrive nell’VIII secolo ma la vita di Cædmon si colloca nel secolo precedente.
L’Inno di Cædmon
L’unica opera di Cædmon pervenuta fino a noi è il Cædmon’s Hymn (Inno di Cædmon), una preghiera dialettale in nove versi composta in onore di Dio, probabilmente frutto di quel sogno ispiratore. La poesia è uno dei primi esempi accertati di “Old English” ed è anche uno dei primi in lingua germanica. I 9 versi dell’Inno infatti sono riportati nella Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda in latino, ma nelle varie versioni di questo testo sono segnate a margine, oppure sotto, o in alcuni casi nel testo stesso, la versione originale in northumbrico o quella in sassone occidentale. Sfortunatamente la musica di questo brano è andata perduta da molto tempo.
Il testo dell’Inno di Cædmon:
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Di Cædmon, il venerabile Beda dice “(…) in questo monastero viveva un fratello particolarmente considerevole per la grazia di Dio, che fu portato a scrivere versi sacri, così che qualsiasi passo egli traesse dalle Sacre Scritture, lo trasformava in espressioni poetiche in lingua inglese, sua lingua nativa. Versi di tale dolcezza e umiltà, che le menti di molti furono spesso indotte a disprezzare il mondo e aspirare al Cielo.”
Anche se in ambito cristiano, la valenza salvifica della musica e la sua origine divina permangono chiaramente in questa descrizione, con una provenienza a nostro parere diretta dalla figura “taumaturgica” e spirituale dello “scop”.
La Conquista Normanna
Molte cose cambiarono dopo la conquista: il clero bandì dai monasteri l’usanza dei canti e dei racconti musicati nei refettori dei monasteri e ne contrastò la tradizione anche al di fuori da essi, considerandola una consuetudine blasfema. Le donne vennero considerate troppo deboli e indegne per potersi proporre come cantori di testi più canonici. Il risultato fu una progressiva perdita dei testi ma soprattutto delle melodie; se molti dei testi furono infatti trascritti, la musica non lo fu quasi mai.
Un’ulteriore diminuzione delle tracce degli antichi “scop” fu dovuta alla riforma del XVI secolo, che ne distrusse gran parte, per terminare con il disastroso incendio del 1731 che decimò la raccolta di letteratura Anglo-Sassone di Robert Bruce Cotton conservata nella Cotton Library ad Ashburnham House.
Mentre la dominazione Normanna soffocava le tradizioni Anglo-Sassoni in Inghilterra, nella natia Normandia dell’XI secolo si vede l’avvento di molti importanti sviluppi proprio nel campo musicale. Le abbazie di Fècamp e di Saint-Evroul furono due importanti centri di educazione ed evoluzione musicale. A Fècamp in particolare, sotto due abati italiani, Guglielmo da Volpiano (962-1031) e suo nipote Giovanni da Ravenna (m. 1078), si sviluppò la notazione ancora oggi in uso nei paesi di lingua tedesca, inglese o scandinava, per indicare le note ovvero assegnando loro le prime lettere dell’alfabeto dalla A alla G.
Se la musica anglosassone ha avuto una qualche forma di notazione musicale prima dell’invasione normanna certamente è stata distrutta o abbandonata, ma in realtà non ci sono prove che un tale sistema esistesse e questa è un’ulteriore causa della perdita di produzioni musicali del periodo antecedente la conquista e cristianizzazione dell’area.
Gli strumenti
Quello che possiamo conoscere degli strumenti in uso nel periodo Anglo-Sassone deriva prevalentemente dalle tombe di personaggi di alto rango o reali, come nel caso della tomba di Redwald a Sutton Hoo, nel Suffolk. Altre informazioni possono essere raccolte da opere letterarie come il Beowulf (opera datata all’VIII secolo) o da illustrazioni miniate dell’epoca.
Le illustrazioni vanno interpretate però con cautela, in quanto frutto della cultura dell’artista che le ha prodotte e possibile frutto di contaminazioni. Come si può comprendere dall’illustrazione qui accanto in cui Re David che suona la lira viene dipinto secondo i caratteri contemporanei dell’artista, piuttosto che con quelli dell’epoca biblica, così può avvenire che opere successive abbiano reinterpretato usi e costumi del periodo originale del manoscritto, causando possibili errori di datazione degli strumenti.
Citeremo brevemente gli strumenti certi.
La Lira anglo-sassone
La Lira è un antico strumento che migra verso nord-ovest con i proto Angli, Sassoni, Juti e Frisoni molti anni prima dei loro sbarchi in Gran Bretagna a metà del V secolo. Ci sono molte immagini di strumenti simili in pergamene e testi provenienti dal Medio Oriente e dalla Grecia antica, nonché dell’Impero romano e Bisanzio. La versione Anglo-Sassone della lira attestata dal VI-VII secolo in Inghilterra è normalmente a sei corde, ma poteva averne fino a nove, di solito costruita in legno duro come l’acero, frassino, tasso o quercia.
E’ possibile che fosse suonata pizzicandone le corde, o utilizzando un plettro come per le attuali chitarre acustiche o elettriche o anche per percussione delle corde con una mano, mentre l’altra mano, collocata sul retro, agisce da tensore.
Di seguito un video per ascoltare uno dei possibili modi di suonarla.
Flauto d’osso
Questo è uno degli strumenti più antichi che l’uomo conosca, accanto alle pietre battute tra loro, le conchiglie e il suono delle nostre corde vocali.
Quello più antico finora ritrovato è stato scoperto in una grotta vicina a Fels (Hohle Fels), nella Germania sud occidentale e datato tra 35 e 40 mila anni fa. Con il tempo lo strumento è cambiato poco, acquisendo un maggior numero di fori e vedendo aumentare la lunghezza dell’osso. E’ questo uno strumento ritrovato anche in tombe modeste data la facilità di reperimento del materiale e la semplicità di costruzione. Si trattava di solito di ossa ovine o bovine, a volte di cervo e spesso di uccelli, tra cui aquila e cigno.
Un esempio di suono ottenuto da un osso di pecora a tre fori
Rhombus, il rombo volante
Generalmente chiamato in inglese bullroarer, muggito del toro, un aerofono a rotazione aerea, è lo strumento sonoro considerato “sacro” per eccellenza, uno dei principali simboli sonori archetipi. Presente nella preistoria, nel mondo antico e presso i popoli primitivi di tutto il mondo dove viene impiegato per i medesimi misteriosi scopi rituali di iniziazione.
Il suono viene prodotto dalla rotazione aerea della tavoletta, che generalmente è costruita in legno, oppure in bambù, osso, corno, pietra e persino con le piume.
Suono archetipo primordiale dai potenti effetti psicoacustici capace di agire a livelli profondi sui nostri meccanismi biologici di reazione agli stimoli sonori, infatti questo suono suscita ancor oggi in chi lo ascolta, un intimo e inquietante stupore.
Il rombo con il suo movimento circolare, crea effetti ottici e sinestetici come uno stroboscopio: quando si varia la sua velocità di rotazione si ottengono differenze di frequenza e variazioni ritmiche.
Un video per apprezzarne le sonorità.
Il Corno
Il corno, ricavato dalle corna dei bovini, in particolare della razza Longhorn (appunto “lunghe corna”) è derivato forse dai famosi corni potori ( corni per bere) scandinavi. Tranciandone l’estremità può essere facilmente trasformato in uno strumento musicale, anch’esso testimoniato presso molte altre popolazioni. E’ il più longevo, in particolare nell’ambito della caccia, dove rimase tradizionalmente.
Nel mondo sassone infatti, oltre che come normale strumento musicale, era utilizzato durante la caccia e per la comunicazione, soprattutto per le adunate in caso di pericolo o di festeggiamenti. In questi contesti i normanni non solo lo consentirono, ma lo resero proprio.
L’articolo completo di A.R. Glover potete scaricarlo qui sotto
Saxon Musical Worlds
Bibliografia
- Rodolfo il Glabro, Cronache dell’anno Mille. I cinque libri delle storie e Vita dell’abate Guglielmo, a cura di di Giancarlo Andenna e Dorino Tuniz, Jaca Book, 2004.
- Princi Braccini, G. 1988. L’Inno di Caedmon e la sua leggenda. Una bibliografia annotata. (Quaderni dell’Istituto di Linguistica dell’Università di Urbino; 5) Urbino: I-XII
- Anna Maria Luiselli Fadda, Tradizioni manoscritte e critica del testo nel Medioevo germanico, Editori Laterza, 1994
- Walter Maioli, Le Origini: Il suono e la musica, Jaca Book, Milano – 1991
- Il Centro del Suono
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