Vi è mai capitato di sentire o usare il termine Carampana attribuito a una donna? E’ un termine spregiativo e intende, secondo i vocabolari, “donna sgradevole, non più giovane” con le varianti “volgare, brutta, antipatica, allampanata”.
Sembra offensivo ma l’origine del termine lo è ancora di più. Se provate a cercare in rete a riguardo troverete una gran quantità di articoli più o meno divertenti e divertiti su prostitute e cortigiane, con un bel po’ di confusione tra ruoli e secoli, per finire a dar risalto come sempre ai particolari folcloristici o alle figure eccezionali. Noi nel cercare l’etimologia abbiamo preferito partire dalle fonti più vicine possibili alla vera storia e ci è capitato così di intraprendere un fantastico viaggio nella storia di Venezia, tra vecchi libri e cronache, dove ogni frase ci ha restituito concetti e vicende da approfondire.
Il primo testo che abbiamo trovato utile è il “Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche” di Giambattista Gallicciolli, Tomo VI, dato alle stampe in Venezia nel 1795.
Descrivendo la propria città, con ampi dettagli di toponimi e di usanze, il buon sacerdote ed erudito della Parrocchia di San Cassiano ci informa che il termine deriva dal luogo di “lavoro” delle meretrici della Serenissima, che nel corso del XV secolo occuparono alcuni stabili appartenuti alla famiglia Rampani. Chi erano costoro?
I Rampani e le Ca’ Rampani
Leggiamo il testo originale del sacerdote:
I. Carampane.
44 ) L’altro ramo della Calle dei Botteri a destra opposto all’antecedente, e più angusto, si dice Carampane. Questa calle entrandovi per quella dei Botteri, s’insinua verso destra piedi 6 circa, ed è tutta giurisdizione di S. Cassiano. Poi torcendo stendesi dritta fino al Canale, ov’è un Sotto portico. Oggi dì tutto ciò che è posto a sinistra appartiene a S. Cassiano.
La famiglia Rampani, da cui essa prese il nome, è venuta da Ravenna, e fu delle prime, che abitassero in Rialto, come attestano parecchi Cronisti. Furono dei Consigli antichi prima del 9oo. Quando si chiuse il gran Consiglio nel 1297, alcuni vi restarono dentro, ma questi si estinsero nel 1319 in Nicolò Rampani, che era Avvogador del Comune. Dicono in oltre i Cronisti nostri, fecero s. Apollinare ove abitavano. Avevano molti stabili in una corte o calle de Ca’ Rampan, la qual chiamate al presente Carampane, luogo de Meretrici.
La famiglia Rampani originaria di Ravenna si stabilì in Venezia in epoca molto antica, essendo tra i primi abitanti della zona di Rialto ed essendo registrati nei Consigli della città antecedenti al 900.
Questo accenno veloce del Gallicciolli è in realtà un’indicazione importante poiché fa risalire l’antichità della famiglia in Venezia alle origini “ufficiali” della città.
La nascita di Venezia, come noi la intendiamo, avvenne con il trasferimento del Governo del Ducato di Venezia a “Rivo Alto” ad opera di Agnello Partecipazio, decimo doge, nell’anno 810.
Nel VI secolo il potere di Costantinopoli vide l’opportunità di creare il ducato come presidio della costa adriatica, dopo la perdita dei territori di terraferma ad opera dei Goti. La capitale fu stabilita ad Heraclia, posta tra la via Annia e la laguna; a seguito dei conflitti tra Costantinopoli e gli invasori longobardi fu trasferita dapprima a Metamauco, l’antica Malamocco sull’attuale isola del Lido e infine, appunto nell’810, nelle più difendibili e interne isole realtine .
Se i Rampani furono in Rialto prima del 900, si tratta allora di una delle prime famiglie a stanziarsi, dalle antichissime origini e di un certo potere, che possedeva molti edifici nel nucleo antico, l’attuale San Polo presso il Ponte di Rialto, al confine con il sestriere di Santa Croce.
L’ultimo rappresentante della importante famiglia apparteneva all’Avogadoria del Comune, un’istituzione incaricata di curare e difendere gli interessi del Commune Veneciarum, cioè l’insieme delle famiglie patrizie al governo della città, con modalità simili a quelle di una moderna Avvocatura dello Stato.
Gli antichi Consigli e la Serrata del Maggior Consiglio
Un’altra frase del Gallicciolli fa riferimento a fatti ben noti ai suoi contemporanei che forse è il caso di rammentare:
Quando si chiuse il gran Consiglio nel 1297, alcuni vi restarono dentro…
Questa frase fa riferimento alla cosiddetta Serrata del Maggior Consiglio del 1297, quando l’accesso al Consiglio con funzione di eleggere il Doge, fu ristretto dal consesso della cittadinanza tutta ai soli patrizi.
Il discrimine tra cittadino e patrizio si basava non soltanto sulla facoltosità della famiglia ma soprattutto sul merito in campo mercantile, politico, diplomatico. Tant’è che fecero parte del Consiglio anche i cosiddetti bernabotti, il cui nome deriva da case concesse loro dal Comune nella contrada di San Barnaba, che erano sostanzialmente patrizi decaduti economicamente ma non per questo esclusi dalla conduzione politica della città.
La considerazione che al momento della Serrata alcuni Rampani rimasero nel Consiglio sta a indicare, in concetti veneziani, che si trattava di famiglia patrizia.
Carampane, mamole e luogo pubblico di Rivoalto
Lo scrupoloso Gallicciolli, elenca quante più leggi del Consiglio riesce a trovare, per dimostrare che già nel 1400 gli immobili erano stati riservati all’esercizio della prostituzione e scova alcuni sinonimi di “Carampana“, come ad esempio “luogo pubblico di Rivoalto o di Rialto“, che stanno a indicare nient’altro che un postribolo, o meglio un intero quartiere a luci rosse.
Anche una Legge antica della XL, 1424, 19 Luglio, ci assicura, che allora eravi luogo pubblico per le Meretrici in Rialto, leggendosi nel Libro B dell’Avvogaria essere stato terminato da quel Consiglio a tutti voti, “Quod si repertus fuerit aliquis Judeus cum aliqua muliere chriſtiana, si fuerit de loco publico Rivoalti, cadat in poenam de libris 5oo , et ſtare debeat menses 6 in uno carcere inferiori”.
E nello stesso libro, a pag. 47, per decreto del M. C. 1438 , 18 Gennaro, e pubblicato li 3o, si ordina: “che li offitiali si de Rialto come de S. Marco non possono recever presenti de ruòse, fiori, over alcun altra cosa, over regalia dà dette mamole, over da altri per suo nome; et che el xorno de Nadal quel publico logo ſtia serado, come el ſta la vigilia, o per simile da Pasqua.”
Quindi apparisce che quel luogo era tale, che chiudersi poteva. E certamente nel 1421 erano in luogo determinato, onde nello stesso libro, alla pag. 28, in data 6 Maggio fu statuito dal Senato che “Meretrices loci publici Rivoalti non più teneant ad affittum domos & voltas extra locum &c.” perchè ivi vendevano “vino suis bertonis”.
Scopriamo dalla cronaca qui sopra riportata anche la severità di alcune regole che oggi sarebbero definite razziste, infatti se un individuo di religione ebraica fosse stato trovato in compagnia di una donna cristiana, se questa fosse stata “del luogo pubblico di Rivoalto”, insomma una meretrice, questi avrebbe dovuto pagare una multa e trascorrere sei mesi in carcere.
Scopriamo anche che alle prostitute veniva dato il nome di mamole, prima che divenissero carampane, e che gli offitiali, cioè magistrati di qualunque ordine e grado della Serenissima, non dovevano accettare alcun gesto di cortesia, tipicamente l’offerta di rose e fiori, né direttamente né per interposta persona da parte delle mamole. In sostanza non dovevano tenersi rapporti tra i rappresentanti del comune e le prostitute, che potessero in qualche modo comportare qualche atteggiamento di favore nei confronti delle mamole. Come sempre accade, se vi è necessità di una specifica legge, vuol dire che di fatto tali rapporti erano frequenti.
Nel 1438 inoltre si stabilisce che i postriboli restino chiusi a Natale e relativa vigilia così come a Pasqua. Insomma almeno Natale e Pasqua che gli uomini stessero con delle donne per bene!
45 ) [omissis] A pag. 12, è notato del 14oo, 21 Giugno, Meretrices in Carampana.
Più precisamente Nicolò Doglioni, pag. 23 , scrive egli pure: “Nel 1421 furono assegnate alle pubbliche meretrici le case di Ca Rampani a S. Cassan. Fu posto al governo di costoro una matrona, che teneva cassa del danaro, e divideva ogni mese a tanto per testa il guadagno.”
Bisogna dire , che nel 14oo non si fossero fatti quegli ordini e provedimenti, che poi si leggono nel 1421. [omissis]
Finalmente soddisfatto delle prove rinvenute il sacerdote conclude:
46) Da queste leggi e documenti rileviamo apertamente che alle meretrici fu assegnato il luogo delle Carampane nel 14oo: e che nel 1421 ivi si chiusero. Laonde nel Sec. XV, quando si trova “luogo pubblico delle meretrici in Rialto”, debbe intendersi le Carampane, che il sopraccitato Cronista fino dal suo tempo attribuisce a S. Cassiano.
Tra i toponimi che poi il Gallicciolli aggiunge a conferma della collocazione e dell’uso postribolare delle Ca’ Rampani vi è anche il famosissimo Ponte delle Tette. Questo si trova proprio all’angolo del complesso di edifici indicato come Carampane, congiungendo i Sestrieri di Santa Croce e San Polo, e dal lato di San Polo esso approda sulle Fondamenta delle Tette.
Le cronache tutte assegnano senza ombra di dubbio la motivazione di tale nome all’uso delle prostitute di attirare i clienti mostrandosi alle finestre delle Carampane o sul ponte stesso con i seni scoperti.
Dal Galliccioli:
La ragion dell’appellazione si è, secondo antica tradizione, che i posti delle Meretrici eransi a dismisura moltiplicati, e si stendevano fino a quel ponte e a quella fondamenta, e l’ immodestia di alcune di quelle donne miserabili fece così denominare quel luogo.
Ma per quanto spesso si incontri il concetto che le meretrici fossero “chiuse” nelle Carampane di fatto non fu quasi mai così. Le numerose leggi promulgate per limitare le aree, gli orari e i giorni in cui queste professioniste potessero mostrarsi in pubblico o esercitare, si sono succedute nei secoli a dimostrazione della difficoltà di gestire l’equilibrio tra decoro e ordine da un lato e l’impossibilità di controllare appieno il “settore di mercato” in questione.
Ci concediamo solo un brevissimo excursus condotti dalla facile evidenza. Sul lato di Santa Croce del famoso ponte, a meno di venti passi, si trova un Sotoportego della Stua che conduce in un Campiello della Stua.
Stua sta letteralmente per stufa. Si chiamavano così quei locali in cui si potevano prendere bagni caldi e in generale ricevere cure simili a quelle di un centro benessere odierno. La corporazione degli Stueri era affiliata a quella dei chirurghi, poiché si occupavano di curare la pelle e i piedi con rimedi non sempre adeguati. Tuttavia è riportato in vari testi antichi che, come spesso nella storia, questi luoghi simili alle terme romane divenissero anche sede di incontri sessuali mercenari.
Vi rimandiamo per approfondimento a un ben documentato e ironico articolo di un blog davvero gradevole.
Dal nome alla vita quotidiana
Anche noi siamo soddisfatti, come il Gallicciolli, di aver determinato l’etimologia del termine carampane, di aver dato spiegazione a tanti odonimi della città di Venezia e aver collocato storicamente il momento in cui tale nome divenne sinonimo di prostitute.
Ma nel corso della ricerca sono emersi tanti elementi curiosi o interessanti che ci hanno invogliato ad approfondire ulteriormente. La meraviglia di Venezia è di conservare ancora a cielo aperto e visibile a turisti un po’ più attenti, molti elementi che ci possono raccontare, per chi come noi li voglia conoscere, i dettagli del vivere quotidiano di altri tempi.
Un aspetto che ci preme riordinare è la sequenza di diverse regole e disposizioni che evolvettero nel tempo e che raccontano il rapporto della città con la prostituzione, perché i nostri cronisti ci confondono spesso con richiami a loro contemporanei e ci fanno perdere, usando un termine rubato all’archeologia, la “stratigrafia” degli eventi. Così come ci piace indagare, tra pagine ingiallite e muri di mattoni rossi, il paesaggio urbano in cui le mamole si muovevano allorché divennero Carampane e le loro relazioni con la comunità veneziana.
Cominiciamo da qui.
I dintorni delle Carampane: San Cassan e San Aponàl
Quando nel 1319 l’avogadòr Nicolò Rampani morì senza eredi, la Serenissima entrò in possesso dei suoi averi, incluse le Ca’ Rampani situate tra la parrocchia di San Cassiano (in veneziano San Cassan) e quella di Sant’Apollinare (San Aponàl).
Quest’ultima chiesa, secondo varie cronache, fu costruita proprio dalla famiglia Rampani nei pressi delle residenze familiari e meriterebbe un articolo a sé stante per il numero di episodi di storia veneziana che raccoglie attorno a sé.
Al momento ci basti dire che fu eretta nel 1034 e dal 1515 divenne sede della Scola dei Tagiapiera, ovvero della corporazione dei tagliatori di pietra, una delle più antiche e importanti di Venezia, risalente al 1307.
Nel 1514 la scola (o meglio schola) approva il progetto dei lavori per la costruzione della propria sede in soler (letteralmente in solaio, ovvero al piano superiore) dell’area posta “sora el portego de la chiesa”. L’edificio della schola potrà dirsi completato nel 1652. Si scorge ancora, in calle del Campaniel al civico 1252 una piccola costruzione tra Chiesa e Campanile. Essa conserva sulla facciata, fra le due finestre del secondo piano, un bassorilievo raffigurante i Quattro Santi incoronati sotto il quale è incisa la seguente epigrafe: MDCLII SCOLA DI TAGIAPIERA a indicare la sede corporativa.
Perché i Tagiapiera abbiano dovuto collocarsi in soler di un edificio preesistente lo scopriremo tra poco parlando di vicinati scomodi.
Quanto a San Cassan, fondata con questo nome nel X secolo su un oratorio antecedente, il nostro cronista racconta moltissimi episodi, essendo la parrocchia cui fece capo per tutta la vita, ma anche questo è argomento lungo, da trattare in altra sede. Ricordiamo soltanto, per attinenza col nostro argomento guida, che nel XIX secolo fu abbattuto il portico della chiesa in quanto ricettacolo di malaffare: in particolare vi si trovavano a esercitare numerose prostitute, che a quanto pare abbondavano, ancora, nell’intero sestriere.
Il Castelletto
Sempre dal nostro Gallicciolli leggiamo:
47) Ma io tengo certa sentenza , che nell’antecedente Secolo fossero in S. Matteo, e forse ivi pure chiuse in luogo detto il Castelletto. Conciossiachè nella Cronaca descritta in Muglia nel 1599, alla pag. 4o, si legge:
“Sotto il Doge Domenico Morosini , cioè circa il 115o, Bernardo Corner fece la Giesia di S. Mattio , appresso la quale al presente si trova esser dov’è il luogo pubblico. La vicinanza di quelle infelici alla Chiesa senza dubbio ſu causa , che la Scuola di S. Gottardo , e S. Gio: Battista che erano in S. Matteo prima restassero desolate e poi altrove si trasferissero
Su questo brano ci sono un po’ di considerazioni da fare.
Risulta che prima dell’uso delle Carampane le prostitute esercitassero in un luogo denominato nelle cronache “castelletto” che si trovava nelle adiacenze della chiesa di San Matteo o Mattio di Rialto.
Lo stesso castelletto è nominato nel 1372 nella Cronaca di Venezia del Caroldo :”Cattaruzza meretrice nel Castelletto che era luoco in Rialto deputato a peccatrici.”
Non è affatto chiaro se il cosiddetto Castelletto fu abbandonato quando nel 1400 vennero assegnate le Ca’ Rampani. In realtà è probabile che il vecchio Castelletto sia stato sostituito da un nuovo e diverso edificio.
Nel 1460 infatti i Capi dei Sestrieri dichiarono di aver individuato un luogo più salubre in cui far risiedere le meretrici.
[omissis] examinatas omnibus locis insule Rìvoalti concorditer providerunt quod pro habiliori et commodiori loco et minus nocivo dicte insule Rivoalti sit quod dicte peccatrices morari debeant in domibus nobilis viri Priami Maripetro. Que domus sunt in quadam ruga post hospitium bovis, qui dominus Priamus dedit et concessit dominis capitibus sexteriorum cum aliictibus modis et conditionibus cum quibus erat constructus et factus primus castelletus ruinandus.
Queste case nei pressi dell’Osteria del Bo’ o del Bove che il nobile Priamo Malipiero, concesse ai Capi dei Sestrieri alle stesse condizioni del precedente castelletto da demolire, è possibile che venissero per estensione indicate come Castelletto anch’esse, essendo diventato questo nome più che un nome di luogo un indicatore di funzione.
La Calle del Bo’ è comunque il proseguimento della Calle di San Mattio e dal punto di vista della nostra ricerca dei luoghi ci si sposta di appena pochi passi.
La stessa Cronaca del Muglia citata da Gallicciolli è del 1599 e quando riporta che San Mattio “al presente si trova esser dov’è il luogo pubblico” deve necessariamente intendere che il luogo pubblico vicino a San Mattio è ancora attivo ai suoi giorni.
Contrariamente a quanto lasciato intendere dalle cronache quindi è molto probabile che le prostitute non siano state trasferite dal castelletto alle carampane, ma che i due luoghi siano restati in servizio contemporaneamente, o quanto meno che il castelletto sia tornato in uso, probabilmente in altro edificio, anche dopo che le nuove case di tolleranza erano state assegnate alle mamole.
Inoltre, nonostante le sue dimostrazioni, il Gallicciolli non aveva del tutto ragione a individuare nel “luogo pubblico di Rivoalto” le Ca’Rampani se nella famosa legge del 6 maggio 1421 si trova scritto:
[omissis]quod omnes meretrices publice que stant et habitant in contracta Sancti Samuelis, in domo Rampani, et in Curia de elia debeant ivisse ad standum in loco publico Rivoalti [omissis]
(Registro 53, Misti Senato (copia), 1419-1421, carta 328)
e cioè che tutte le meretrici di San Samuele, che si trova in sestriere San Marco, della non meglio precisata Curia de elia e della casa Rampani dovessero recarsi nel luogo pubblico di Rivoalto.
In questo scritto ufficiale non si cita affatto il Castelletto che potrebbe a questo punto identificarsi con il luogo pubblico di Rialto in cui dovevano confluire per legge le prostitute di ben altri tre luoghi noti, nel contempo si dà per assodato che le meretrici abitassero già, nel 1421, le Ca’ Rampani, come il nostro sacerdote di San Cassan vuole dimostrare.
Insomma una certa confusione regna su quale fosse il luogo pubblico di Rialto, ma a quanto pare certo è che le prostitute vissero nelle case Rampani e che vi fosse un secondo luogo ufficialmente adibito a postribolo in Rialto.
San Mattio di Rialto
Quanto a individuare San Mattio è stato davvero stimolante.
Questa chiesa non esiste più e non doveva essere una chiesa importante dal momento che non ha lasciato grandi tracce in letteratura. Il Galliccioli la cita ma non la colloca, e così fanno altri cronisti.
Negli Archivi Storici della Chiesa di Venezia si racconta la sua fondazione avvenuta nel 1156, su un terreno, sito nel cuore di Rialto, concesso al patriarca di Grado da Leonardo Cornaro, per edificarvi una chiesa dedicata all’apostolo Matteo; eretto il tempio con il concorso dei convicini, questo ottenne ben presto le prerogative di chiesa parrocchiale. Fu dichiarata, con privilegio papale del 1436, chiesa di giuspatronato dell’arte dei beccheri ovvero macellai, che da sempre aveva provveduto al sostentamento del piovano e alla manutenzione degli edifici parrocchiali. Il privilegio concedeva pure all’associazione la facoltà di eleggervi il pastore.
Con i decreti emanati dal napoleonico Regno d’Italia nel 1807, la parrocchia di San Mattio di Rialto fu soppressa e il suo territorio inglobato nella conservata parrocchia di San Silvestro I papa. La chiesa, chiusa al culto, fu successivamente demolita nel 1818.
Dal nostro Gallicciolli sappiamo anche che fu sede della Schola di San Gottardo, ovvero, sempre in termini veneziani, della Corporazione dei Spezieri.
Esiste in Rialto una “calle San Matio o del marangon” (i marangoni sono in veneziano i falegnami) che incrocia la Ruga dei Spezieri e non distanti sono le Beccarie.
Ci rivolgiamo alla monumentale opera del Sansovino dove San Mattio non merita nemmeno un capoverso…ma inaspettatamente troviamo un indizio che conferma la nostra ipotesi quando rispetto alla Chiesa di San Giovanni vi si legge:
Et diritta fronte lasciato San Mattheo vicino alle Beccarie, si vede San Giovanni limosinario (elemosiniere n.d.e.) detto comunemente San Giovanni Nuovo…
(da Francesco Sansovino, Venetia, citta nobilissima et singolare, 1581)
Alla fine rinveniamo una mappa piuttosto difficile da decifrare il cui originale si trova presso l’archivio di Stato di Venezia.
La posizione di San Mattio, che vediamo confermata nel XIX secolo dalla revisione di questa mappa eseguita dal famoso architetto G.B.Meduna, non è esattamente dove ce l’aspettavamo seguendo le spiegazioni del Sansovino, ma si sa, le indicazioni a Venezia sono sempre un po’ vaghe 😉
Restano per fortuna, attorno al caseggiato al cui posto un tempo sorgeva la chiesa, i soliti nizioleti che mai non falliscono, ovvero le indicazioni scritte in nero su un rettangolo di calcina che tradizionalmente vengono conservati con gli antichi nomi.
Aver individuato l’esatta area di San Mattio, e quindi pressapoco la posizione del Castelletto e delle case del Malipiero in Calle del Bo’ non cambia molto per la storia, ma restituisce una dimensione più precisa del fenomeno della prostituzione all’epoca, se passeggiando per la zona di Rialto si potevano incontrare, nel XV secolo, ben due “case chiuse ufficiali” a distanza di 300 metri l’una dall’altra, quella del Castelletto e quella della Carampane.
Nel caso vi venisse la curiosità di cercare questi luoghi con lo strumento di Google maps sappiate che la calle è indicata come San Mattia… a dispetto delle indicazioni sui palazzi che recitano ripetutamente “San Matio” e che sono visibili con la street view di Google stesso. Del resto Google non è veneziana 😉
Se invece volete una gustosissima e animata immagine della Rialto dell’epoca e della contrada di San Mattio in particolare, vi indirizziamo al meraviglioso articolo di Stefano Dei Rossi che ringraziamo anche per la cortese chiacchierata e il piacevole confronto.
Vicine scomode e l’ironia della sorte
La Scuole di San Gottardo e di San Giovanni Battista, menzionate dal Gallicciolli, corrispondono rispettivamente alla corporazione fondata nel 1259 dei Spezieri de grosso (dal 1675 a quella dei Mandoleri distaccatasi dai Spezieri) , e alla più tarda, risalente al 1355, degli Osti e caneveri (ovvero osti e cantinieri, dove caneva in veneziano sta per cantina).
Entrambe ospitate dalla scomparsa chiesa di San Mattio, si facevano carico dei rispettivi altari e cappelle e avevano ottenuto il permesso di celebrare processioni nei giorni in cui i rispettivi santi venivano ricordati dal calendario ecclesiastico.
Secondo il Gallicciolli entrambe le confraternite si trasferirono a causa della vicinanza del postribolo del Castelletto alla loro sede in San Mattio. Non solo le mamole rendevano il luogo empio, ma soprattutto i loro clienti, spesso ubriachi e violenti, lo rendevano per molti aspetti insicuro. Gli spezieri scelsero di chiedere autorizzazione per la costruzione di una nuova sede proprio alla Chiesa di San Aponàl, dove il Consiglio dei Dieci li autorizzò, a partire dal 9 settembre 1394, a trasferire la sede della Scuola. Ecco perché i tagiapiera dovettero collocarsi in soler nel 1515: sotto di loro un’altra corporazione aveva preso posto da tempo.
L’ironia della sorte per gli spezieri fu che dopo soli sei anni, nel 1400, le meretrici ottennero in uso le Carampane, tornando ad essere loro vicine.
Gli Osti di San Mattio trovarono invece ospitalità presso San Cassan…non molto distante.
Sorte simile toccò a un’altra congrega religiosa. Nel 1484 la Cancelleria registra la richiesta autorizzazione da parte di un’ordine di moniales (suore di clausura) al Consiglio dei Dieci per vendere i propri possedimenti in zona e allontanare la loro sede dal luogo tanto empio. Sempre dal Gallicciolli:
Confermasi, che nel Sec. XV le meretrici ivi stassero, dal seguente decreto nel Lib. 9, Regist. Terrae, pag. 94, nella Cancellaria Ducale:
“1484, 6 Julii in Rogatis . Quod venerabiles Moniales Virginum vendere possint certas domos positas in loco nuncupato Carampane, emptas ah Officio Cadutarum superioribus mensibus, nescientes locum praedictum esse inhonestum.”
Dal quale luogo impariamo ancora che i Monasteri in quel tempo non potevano alienare i loro fondi senza licenza del Senato.
I Bertoni
Per meglio capire il mondo delle mamole è interessante spiegare anche un altro passo, cioè quello che narra come per delibera del 6 maggio 1421 alle prostitute fosse proibito affittare case e volte, ovvero portici, perché in esse vendevano vino “suis bertonis”.
Il motivo del divieto è che le prostitute vendevano vino senza l’opportuna autorizzazione e soprattutto senza pagarvi le dovute tasse alla Repubblica. Ma a noi preme capire chi siano i bertoni o berthoni menzionati.
Ci viene in aiuto un altro testo: La storia di Venezia nella vita privata: dalle origini alla caduta della Repubblica di Pompeo Gherardo Molmenti, 1908.
In quest’opera si citano alcune sentenze del Tribunale della Quarantia che il Molmenti così commenta:
Le mammole si obbligavano con le matrone, o padrone di case di tolleranza, di prestare i loro sozzi servigi. I bertoni riscattavano le mammole, pagando alle matrone una certa somma, salvo a ripagarsene abbondantemente, sfruttando nel modo più indegno quelle disgraziate. E le mammole non potevano nemmen tentare di liberarsi dei bertoni; perchè in tal caso avrebbero dovuto rimborsar loro la somma pagata alle matrone pel riscatto; e poiché non l’avevano, sarebbero state messe in prigione, come debitrici insolventi.
In sostanza si tratta di lenoni, mezzani, sfruttatori, se non vi scandalizzate, papponi. Ma perché mai questi loschi e tristi personaggi, avrebbero dovuto riscattare le meretrici dalle matrone? Molto probabilmente perché queste si erano inizialmente accollate alcuni “prestiti” alle sventurate; che si trattasse di alloggio, denari o monili e abiti per avviarsi alla professione, di fatto queste navigate professioniste avevano saputo vincolare le loro “lavoratrici”. Se il lenone avesse assolto il debito verso la matrona, la prostituta di fatto sarebbe rimasta vincolata a lui, e con l’aggiunta degli interessi maturati il debito sarebbe divenuto pressoché impossibile da estinguere.
Venezia cresce, le leggi cambiano
Raccontate così queste povere donne non evocano certo i fasti delle famose cortigiane veneziane, rese celebri da dipinti e aneddoti famosi, ma ricordano piuttosto delle schiave nel possesso della matrona o del bertone di turno, da cui senza riscatto non potevano liberarsi e che se anche ci fossero riuscite potevano al massimo aspirare a ritirarsi in qualche ospizio istituito apposta.
Prima che le Carampane si chiamassero così la situazione era proprio quella descritta.
La prima legislazione che si ritrova nei documenti veneziani relativa al meretricio risale al 1266. È una determinazione del Maggior Consiglio che ordina ai Signori di Notte di espellere dalle case dei cittadini ogni donna di mal affare.
I Signori della Notte al Criminàl sono una magistratura istituita nel XII secolo, inizialmente in numero di due patrizi, divennero sei , con l’istituzione nel 1261 delle zone di Venezia, i sestrieri, scegliendo un magistrato per ogni sestriere. Il loro nome derivava dalla iniziale competenza di sorveglianza su tutto quanto accadeva in città durante la notte e quindi furto, assassinio, bigamia, reati carnali, porto d’armi, percosse, associazione a delinquere, vagabondaggio, stupro, danze e schiamazzi notturni, diserzione dalle galee. Nel 1544 fu creata una seconda magistratura, i Signori di notte al civil , che si occupavano di truffe e frodi.
Poco tempo più tardi, nel 1278, il Maggior Consiglio decreta severe pene contro quelle donne di servizio che nelle case dei padroni si fossero date alla prostituzione, incluse pubblica fustigazione e marchio d’infamia.
Il meretricio viene quindi considerato un crimine alla pari di ferimento, percosse e furto e in quanto tale va combattuto.
Cacciate le donne di mal affare dalle case dei cittadini, perseguitata la prostituzione nella gente di servizio, era naturale che si riducesse in case speciali, in postriboli privati. Ma contro questi pure si volge la severità delle leggi.
Nel 1314 viene ribadita l’autorizzazione concessa ai Signori di Notte di espellere prostitute e bertoni trovati in case private a commerciare prestazioni sessuali e nel 1316 viene replicata la legge del 1266 sulla illegalità della prostituzione.
Espulse da ogni casa privata, anche adibita al solo uso di meretricio e non di abitazione, pare che allora le meretrici si fossero ridotte ad abitare nelle osterie e nelle taverne. Ecco quindi piombare sul capo di osti e tavernieri, ancora nel 1316, una legge emanata dai Giustizieri Vecchi, magistratura addetta a vigilare sopra le taverne ed i venditori di vino al minuto. In essa si comminava ad osti e tavernieri che ospitassero prostitute e, sottinteso, che permettessero loro di esercitare nei suddetti locali, una multa di 20 soldi per ogni prostituta. Multe e divieti ribaditi dal Capitolare dei Capi dei Setrieri nel 1329.
Vi è un cambio di tono nelle disposizioni del Capitolare dei Capi dei Sestrieri del giugno 1340, in cui si stabilisce che i capi dei sestrieri abbiano autorizzazione al pari dei Signori di Notte per sorvegliare e prendere informazioni sulle persone note come prostitute e bertoni, o in genere su persone non abitualmente residenti in Rialto. In particolare l’obiettivo sembra essere la conoscenza dei luoghi dove viene esercitata prostituzione.
Finché tale sorveglianza viene ritenuta più agevole risolvendosi a radunare in un solo luogo tutte le meretrici. Nel 1358 infatti il Maggior Consiglio chiede ai Capi dei Sestrieri di ricercare e individuare un luogo dove radunare tutte le prostitute. Interessante è la motivazione addotta, ovvero “a causa della moltitudine di persone che entrano ed escono dalla città”.
In buona sostanza la città ha rinunciato a combattere la prostituzione e a scacciarla pressoché da ogni luogo. Si occupa maggiormente di gestirla e controllarla. Le attività di Venezia si sono ampliate, il numero di foresti, ovvero di persone non nate in Venezia, aumenta vertiginosamente. Il controllo dev’essere esercitato sia sul piano politico che amministrativo e non ultimo in termini di ordine pubblico. Solo pochi decenni prima, nel 1310, è stato istituito il Consiglio dei Dieci, subito dopo la congiura dei Querini e dei Tiepoli contro gli ordini dello Stato, e la stabilità dello stato stesso e delle leggi assume la priorità assoluta.
Venezia è entrata in una sua maturità e la prostituzione è solo una delle attività che dev’essere regolamentata. Lo dimostra una frase del giugno 1360 negli atti del Maggior Consiglio. Si ribadisce la necessità di individuare un luogo adatto a contenere le prostitute che “sono necessarie in questa terra”.
La presenza di numerosi stranieri di sesso maschile in viaggio per commercio o come ciurma delle numerose imbarcazioni mercantili, la presenza di funzionari e diplomatici provenienti da paesi limitrofi o lontani rende necessaria la disponibilità di prostitute che arginino altri ben peggiori mali, ovvero attenzioni non gradite verso religiose o ragazze per bene. Ai mercanti e uomini d’affari inoltre devono essere riservati tutti gli agi e i divertimenti che possano rendere perfetto e proficuo il loro soggiorno a Venezia.
E’ così che la Serenissima si organizza a partire da questo momento non nella tolleranza ma nella severa organizzazione dell’attività. E’ di questo periodo la creazione del famoso Castelletto di cui abbiamo visto in precedenza.
Il luogo pubblico di Rialto, qualunque esso fosse, è sottoposto a leggi che vengono promulgate e abrogate nel tempo. Ne citiamo alcune:
- nel 1360 il Maggior Consiglio stabilisce che ad evitare risse e disordini i sei custodi posti a guardia del Castelletto possano portare armi; dello stesso anno la decisione di attribuire completamente la “giurisdizione” sulle meretrici ai Capi dei Sestrieri, sottraendola, anche di notte, ai Signori di Notte.
- intanto, poiché la fornicazione non è solo delle meretrici, una legge nel 1374 prevede un aggravio di pena per coloro che si introducano in case oneste per commettere atti carnali con serve, cameriere o balie : la pena passa dalla multa a tre mesi di detenzione.
- nel famoso decreto del maggio 1421 in cui si proibisce alla meretrici di vendere vino, sono previste pene pecuniarie e scudisciate per matrone e mamole che non si adeguino entro otto giorni al detto decreto, ma anche per i Capi dei Sestrieri che non lo facciano rispettare
- sempre del maggio 1421 è la revoca di una precedente del 1416 che imponeva alle prostitute d’indossare quando fuori dal Castelletto, un fazzoletto giallo da portare attorno al collo e sulle spalle ben in vista, sotto pena di 25 lire e 25 frustate per le inadempienti.
Nel 1423 si ritiene di dover meglio organizzare la gestione del Castelletto. Si ribadisce l’obbligo per le prostitute di risiedere nel Castelletto e avere una propria camera “a piano terra o al piano superiore, come meglio piace loro”. Si definiscono con precisione gli orari e le zone di “libera circolazione” delle mamole fuori da esso. Dal suono della Marangona, ovvero della campana del mattino che invitava gli operai, nella maggior parte falegnami (marangoni), a iniziare il lavoro, le mamole potevano uscire dal Castelletto e recarsi “alle volte di Rialto” che sono così bene definite:
cioè alle volte che son sotto el volto che va alla via de andar a San Cassan, et alle volte che son dredo l’ hostaria del Melon e dell’Anzolo, et alle volte che son dredo l’ hostaria del sarasin, le qual sempre è stade volte usade a queste meretrice.
Ovvero in zona di San Cassan e dietro le osterie del Melone, dell’Angelo e del Saraceno: la tradizionale area da sempre sede delle prostitute.
Al suono della prima campana della sera le prostitute dovevano tornare al Castelletto, se inadempienti a quest’obbligo avrebbero pagato una multa di tre lire e ricevuto dieci frustate.
Per evitare disordini si comanda che quattro ufficiali controllino il rientro dalla prima alla terza campana, dopodiché il Castelletto verrà definitivamente chiuso. La pena per gli ufficiali inadempienti è di 25 lire.
Giustizia per le prostitute
Ma la più importante tra queste leggi, sempre del 1423, è quella che finalmente prende posizione nei confronti degli sfruttatori di queste donne. Si nega infatti ai bertoni la possibilità di citare in tribunale le mamole per debiti nel caso vogliano riscattarsi dalla loro schiavitù e si incaricano i Capi dei Sestrieri di gestire la restituzione rateale del debito delle mamole verso i bertoni, in modo queste si possano svincolare da loro.
Questo è finalmente un passo di civiltà nei confronti delle lavoratrici che la Serenissima aveva ritenuto indispensabili, ma che finora erano sotto il controllo di tante e diverse entità. Ora il controllo viene, nelle intenzioni, riportato tutto al governo cittadino, con molti effetti positivi.
Rivolgendosi ai Capi dei Sestrieri liberamente le mamole potevano ottenere un loro posto dentro il Castelletto e una tutela verso i bertoni. La matrona del castelletto non era una loro proprietaria, ma sostanzialmente un’amministratrice delle entrate che distribuiva poi mensilmente alle operatrici.
Questo passaggio svincolava le mamole anche dai ricatti dei padroni di casa, spesso i bertoni stessi, che nelle, illegali, case private stabilivano a loro piacere i prezzi degli affitti. Allo stesso modo veniva proibito alle prostitute risiedere nelle taverne e osterie (dopo un’autorizzazione brevemente concessa a partire dal 1421) eliminando quindi anche il ricatto esercitato da osti e tavernieri, che ovviamente sfruttavano la presenza delle mamole per ottenere maggior consumi, soprattutto di vini, e guadagnare anche dal meretricio. Chiaramente, ad esser pessimisti, l’unico grande sfruttatore rimaneva il governo stesso, che sbaragliando il malaffare di bertoni, osti e padroni di casa, assumeva tutti i doveri verso la sicurezza delle donne, ma ne acquisiva anche i diritti di gestione e l’introito sotto forma di tasse.
Si ribadisce infatti che le uniche matrone accreditate sono quelle registrate dai Capi dei Sestrieri e a nessun altro è consentito ricevere il pagamento delle prestazioni.
Pene severissime
Quanto ai bertoni stessi erano passibili di una multa di 25 lire, un mese di carcere e il bando dall’isola di Rialto per un intero anno. Nel caso non avessero rispettato il bando avrebbero pagato con altre 10 lire di multa e un altro mese di carcere, rinnovando il bando per un ulteriore intero anno da Rialto.
Se poi uno di loro avesse sposato una meretrice era tenuto a portarla via dal Castelletto e dalla stessa isola di Rialto entro tre giorni. La pena altrimenti era di 100 lire e un anno di carcere, che iniziava ad essere calcolato solo dal totale pagamento della multa, e un successivo bando di ben due anni dall’intera Venezia. Nel caso fosse rientrato prima dello scadere del bando sarebbe stato di nuovo incarcerato per un altro anno, multato di altre 10 lire e bandito per ulteriori due anni, così all’infinito. Alla moglie che si ostinasse a restare nel Castelletto toccavano cinquanta frustate e il bando da Rialto. Se fosse tornata avrebbe pagato una multa di 10 lire corredata da altre 50 scudisciate.
Molte di queste delibere vengono ripetute negli anni soprattutto quelle relative al divieto per le prostitute di dormire presso osterie e taverne, quelle relative alla restituzione del riscatto dai bertoni, ma soprattutto quelle relative all’obbligo di rientro al Castelletto a partire dalla prima campana di San Marco, circa le 10 di sera.
Quest’ultimo obbligo viene ripetuto ben quattro volte nel solo anno 1444. Segno inequivocabile che la prostituzione continuava ad essere esercitata anche all’esterno.
I sodomiti
A partire dal 1455 compare però nelle leggi, con certa frequenza, un problema apparentemente più grave per Venezia, ovvero la sodomia. Compaiono leggi simili a quelle già viste per i bertoni che prevedono bandi dalla città, anche definitivi, multe e punizioni corporali. Sembra che l’attenzione sia dirottata lontano dalla prostituzione “tradizionale”, tanto che pare risalga a questo periodo l’usanza delle prostitute, concessa o tollerata dal governo, di esibirsi a petto nudo al Ponte delle Tette.
La situazione sfugge di mano
Il 4 settembre 1460 viene rieditato e pubblicato un testo di legge riassuntivo e riepilogativo intitolato CAPITULA POSTRIBULI RIVOALTI ET SUPER FACTO MERETRICULI composto di ben 25 capi.
E’ in questo testo che ritroviamo il trasferimento al nuovo Castelletto di proprietà di Priamo Malipiero, in calle del Bo’, che abbiamo visto precedentemente.
Con la nuova collocazione si riedifica anche la materia legislativa che sostanzialmente non si discosta dalla precedente, ma la riassume e rinforza.
Ricaviamo la notizia che alcune mamole abitavano il castelletto e altre vi si recavano soltanto per lavorare, da cui derivano due diverse tariffe di affitto: le prime pagheranno 6 lire al mese e le seconde soltanto 3 lire.
Sono istituiti due custodi del Castelletto, pagati 3 lire al mese ciascuno, che sorveglieranno sulla sicurezza e sul divieto di entrarvi armati, pena 25 lire e un mese di carcere.
Si definisce la pena per le meretrici che non rispetteranno la zona di lavoro e l’obbligo di rientro a 10 lire e 25 frustate.
Si ribadisce che le prostitute non possano recarsi in chiesa durante le messe “frequentate da donne per bene”, non possano apparire in gondola se non nel Canale della Sensa, nel sestriere di Cannaregio, lontano dal Canal Grande dove sfilavano invece i patrizi e i ricchi mercanti. Questo diventa il luogo delle loro sfilate in barca, tra rive e ponti affollatissimi.
Si aggiungono, ai luoghi in cui le prostitute non possono esercitare, anche le suddette stue. La pena per le meretrici inadempienti è di 5 lire e 10 frustate, per lo stuer (proprietario della stua) 10 lire per ogni prostituta.
Nessuna prostituta può continuare a risiedere nelle case attorno a San Mattio pena 10 lire e 15 frustate e altre 100 lire per il proprietario della casa.
Nessun uomo che rivesta una qualsiasi carica ufficiale può mangiare, bere o intrattenersi con prostitute, pena 25 lire, 3 mesi di carcere e 3 giorni di ceppi sul ponte di Rialto.
Ai bertoni, che iniziano ad essere chiamati ruffiani, oltre alle pene già previste nel 1423 vengono aggiunti ulteriori due anni di bando da Venezia.
Ma nonostante questa nuova risoluta posizione le condanne per il mancato rispetto delle regole, a carico di prostitute, ruffiani e ruffiane, continuano a fioccare.
Infuria però più violenta la repressione verso i sodomiti.
In una legge del 16 maggio 1463 il Maggior Consiglio obbliga medici e barbieri a denunciare sia donne che uomini curati da loro per lacerazioni al posteriore a causa di pratiche sodomitiche, (in partem posteriorem confractam per sodomiam), sotto pena di esilio dal territorio veneziano e multa di 1000 lire.
Ai sodomiti, in particolare quelli che mostrino attenzione ai fanciulli, viene comminata la pena di morte per decapitazione tra le due colonne di piazzetta San Marco a cui segue il rogo del corpo in pubblico. Tali sentenze venivano eseguite di norma il venerdì pomeriggio.
Nel 1490 Henrico Squammica, proprietario di una stua si appella ai Provveditori sopra alla Sanità, ricordiamo che gli stueri appartenevano alla corporazione dei Chirurghi. La sua tesi è che il suo esercizio non sia altro che un luogo pubblico, e che secondo la legge per cui le meretrici “debbano stare in luogo pubblico” ritiene di aver diritto a ospitare le attività di quelle signore.
Nello stesso anno una strana legge riesuma l’obbligo di un fazzoletto o di abiti gialli per ruffiani e ruffiane, sotto pene pecuniarie e carcerarie: a quanto pare le rigorose leggi che prevedevano l’esilio temporaneo e l’incarcerazione per chi conducesse questa attività sono nel frattempo decadute, ma ricompaiono a breve ripetutamente.
Nel frattempo il Castelletto si allarga ufficialmente alle proprietà dei fratelli Bernardus et Petro de Molino, che sono adiacenti a quelle di Priamo Malipiero, mentre si registrano continuamente case private in cui si esercita il meretricio, anche in altre zone della città, in particolare San Samuele che non ha mai visto sparire le mamole dalle sue calli.
Viene promulgata una legge per punire le ruffiane che sfruttano le ragazze al di sotto dei 12 anni, nella sentenza si citano casi di bambine di sette e otto anni: la punizione consiste nell’essere frustate da San Marco a Rialto e nell’apposizione di ben tre marchi a fuoco sulla fronte della ruffiana.
Dal 1522 fanno la loro comparsa le prime direttive emesse dal Magistrato sopra la Sanità relativamente alla sifilide, o mal franzoso. I numerosissimi malati che mendicano sotto le volte e davanti alle taverne sono obbligati, per il bene della comunità, a recarsi all’Ospedale degli incurabili e se rifiutano devono lasciare la città, se trovano un barcarolo che li trasporti, aggiunge la legge.
La fine delle Carampane
Tra emergenze sanitarie e lotta alla sodomia e alla pedofilia le Carampane sono diventate quasi un luogo morigerato. Non si contano gli atti legali relativi a stupri, rapimenti, scandali in monasteri. I legislatori sfornano quasi quotidianamente decreti e condanne.
Alle Carampane sono rimaste le prostitute più anziane che non hanno dove andare e che tentano ancora di racimolare di che vivere. E’ da qui che viene il termine, due volte spregiativo, di donna vecchia e non più piacente ma anche volgare, di dubbia moralità. A noi però, dopo tutta questa ricerca, le carampane stanno quasi simpatiche.
Il postribolo delle Carampane viene nominato per l’ultima volta negli atti della Repubblica di Venezia nel 1560.
Il Castelletto rimarrà attivo fino alla caduta della Serenissima nel 12 maggio 1797.
Non è più solo il tempo delle mamole, è iniziato il tempo delle Cortigiane. Ma questa è davvero tutta un’altra storia.
Bibliografia e approfondimenti:
- Giambattista Gallicciolli,”Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche” Tomo VI, Venezia, 1795
- Carlo Calza, Documenti inediti sulla prostituzione , tratti dagli archivi della Repubblica Veneta. (Giornale delle Malattie Veneree, Milano, 1869, p. 305, 365).
- Pompeo Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata: dalle origini alla caduta della Repubblica, 1908
- G.B. Lorenzi, Leggi e memorie venete sulla prostituzione fino alla caduta della Republica, Venezia, 1870-1873
- Giovanni Nicolò Doglioni, Historia Veneziana, Venezia, 1598
- Rita Casagrande di Villaviera, Le cortigiane veneziane nel Cinquecento, Editrice Longanesi, 1968
- Le città italiane tra la tarda Antichità e l’alto Medioevo. Atti del convegno (Ravenna 26-28 febbraio 2004) a cura di Andrea Augenti, All’Insegna del Giglio, 2006
- Antica pianta dell’inclita città di Venezia : delineata circa la metà del XII. secolo, ed ora per la prima volta pubblicata, ed illustrata, dissertazione topografico-storico-critica di Temanza, Tommaso, Ed. Palese, Carlo, 1781
- Focolari, La prima deca di Livio illustrata nel Trecento a Venezia, ne L’ arte: rivista di storia dell’arte medievale e moderna di A. Venturi — 10.1907
- Curiosità veneziane, ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia del dottor Giuseppe Tassini, Ed. Grimaldo,1872
- Giovanni Nicolo Doglioni, Historia Venetiana scritta brevemente, dalla prima fondation di Venetia sino all’ anno 1597, 1598, Damian Zenaro
- Francesco Sansovino, Venetia, citta nobilissima et singolare, 1581
- Francesco Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare in libri XIII con aggiunta di Giustinino Martinioni, 1663
- Bassi Elena, Tracce di chiese veneziane distrutte. Ricostruzioni dai disegni di Antonio Visentini in: Memorie. Classe di Scienze morali, Lettere ed Arti, Volume 71, Venezia : Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1997.
- Il percorso dei condannati a morte a Venezia
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