“Anno Domini 1176, de mense aprilis obiit beatus Galdinus archiepiscopus Mediolani. Eodem anno facta fuit ecclesia de Vicoboldono. Et eodem anno, mense iunii disconfitus fuit imperator Federicus ad Legnanum a Mediolanensibus”. (Annales Mediolanensis Minores)
(“Nell’anno del Signore 1176, nel mese di aprile morì il beato Galdino, arcivescovo di Milano. Nello stesso anno fu fatta la chiesa di Viboldone. Ancora nel medesimo anno, nel mese di giugno (in verità a fine maggio) l’imperatore Federico fu sconfitto dai Milanesi presso Legnano”)
In una frazione alle porte Milano, immersa nel Parco Agricolo Sud, si colloca un piccolo gioiello medievale Lombardo dedicato ai SS.Pietro e Paolo.
La fondazione, nel 1176, della primitiva chiesa a Viboldone non sfugge all’attenzione dell’anonimo chierico milanese che la segnala assieme ad altri due avvenimenti accaduti in quel medesimo anno e da lui ritenuti di assoluta importanza: la morte di Galdino (il grande Arcivescovo che tanto aveva operato per la unificazione e il ritorno dei milanesi nella città distrutta) e la vittoria del risorto comune di Milano sul Barbarossa a Legnano.
Fu completata nel 1348 come attesta un’incisione sulla semicolonna in laterizio della facciata a destra del portale.
La facciata
L’architettura è quella tardo romanica di transizione al gotico, o meglio al gotico lombardo.
Nella facciata dalle proporzioni romaniche trovano posto le bifore che contengono due archetti gotici sormontati dalla policromia dei mattoni rossi e del marmo bianco. Il grande oculo centrale è sottolineato da un torciglione marmoreo; nella lunetta sopra il portale prendono posto la Madonna col Bambino affiancati da S.Ambrogio e Giovanni Oldrati da Meda. Nel proseguimento dell’architrave due nicchie contengono statue di S.Pietro e S.Paolo di fattura più popolare. Sia le due nicchie che le monofore della facciata sono ornate con ghimberghe fiammeggianti, in puro stile gotico. Il portone in legno con motivi geometrici è rinforzato e ornato da grossi chiodi originali dell’epoca. Il portoncino di ingresso è ritagliato nel portone principale e rialzato dal suolo: un antico sistema per impedire agli animali da cortile che razzolavano nel piazzale antistante di entrare in chiesa.
Originale è il campanile, a cono cestile, che si innalza sopra il tiburio della chiesa e richiama l’impianto cromatico e decorativo della facciata, con cornici in cotto e archetti alla base delle bifore e delle trifore sormontate da oculi.
L’interno
L’impianto della chiesa è a sala rettangolare, senza transetto, a tre navate di cinque campate ciascuna, inquadrate in archi trasversali a sesto acuto. Prima campata in stile romanico e le successive, realizzate nel corso del Duecento, in stile gotico con colonne in cotto che sorreggono alte volte a crociera.
La chiave di volta, al centro delle crociere della navata centrale, è circondata da spicchi racchiusi in un cerchio, con i colori dell’arcobaleno, segno dell’amicizia di Dio con gli uomini. Le colonne che scandiscono le navate sono in laterizio, con capitelli dello stesso materiale.
La chiesa accoglie numerosi e celebri affreschi, opere di Scuola giottesca. Nella parete frontale del tiburio è raffigurata, al centro, la Madonna in Maestà e Santi, datata 1349 con iscrizione della data sull’affresco stesso.
Sulla parete che la fronteggia è campito il Giudizio Universale attribuito a Giusto de’ Menabuoi, che potrebbe risalire ad anni subito precedenti il 1370 (per quanto alcuni studiosi propendano per una data vicina al 1350); al suo centro, avvolto nella mandorla iridescente, la figura del Cristo; alla sua destra stanno i “benedetti”, con il volto proteso verso il Giudice, e alla sinistra i “dannati” su cui giganteggia la figura di Satana intento a divorare la preda. Sulla metà superiore della parete, due angeli sono intenti ad arrotolare il tempo della storia, facendo intravedere alle spalle la Gerusalemme celeste.
Si susseguono poi nella quarta campata Le storie della vita di Cristo per le quali la maestranza appare decisamente lombarda. Scene della Genesi si trovano nella prima campata, mentre negli intradossi degli archi, tutti affrescati, sono raffigurati i busti dei Profeti (secondo alcuni si tratta degli Apostoli) e le Vergini savie e le Vergini stolte. Molte altre scene e motivi si sviluppano sulle pareti interne facendo della seppur piccola chiesa uno dei più importanti complessi medievali della Lombardia.
La storia dell’abbazia è strettamente legata a quella degli Umiliati, la cui origine rimane oscura e associata a racconti leggendari.
Gli Umiliati
Oltre al citato brano degli Annales Mediolanensis esiste un altro documento in cui si narra che Guido di porta Orientale a nome della “congregazione dei frati della chiesa di San Pietro che deve essere edificata in Viboldone” si incontra in casa di Uberto Crivelli, arcidiacono della chiesa milanese, col preposito della pieve di S.Giuliano, nel cui distretto si trovano i beni dei suddetti frati, e con costui perviene a un accordo sulle decime.
Sebbene non vengano indicati nel documento con il nome di Umiliati fu proprio l’Abbazia sita a Viboldone a divenire la sede “ufficiale” e principale dell’Ordine.
Una tradizione leggendaria, non supportata da prove documentali, riferisce che i primi Umiliati vissero senza una regola propria fino a che San Bernardo di Chiaravalle, che già aveva scritto la regola per i Cistercensi e per i Cavalieri Templari, non ne compose una per loro nel 1134.
Leggenda a parte l’ordine degli Umiliati si diffuse in Lombardia dal 1150 circa per contemperare un ideale di preghiera e di lavoro.
Gli Umiliati erano anche detti “frati lanieri” perché si dedicavano alla lavorazione e al commercio della lana, un’attività che superava i confini della Lombardia e che procurò loro cospicui guadagni. Tutte le fasi di tale lavorazione erano eseguite dagli Umiliati “propriis manis laborando“: dalla scelta della materia prima, alla battitura, alla cardatura, alla pettinatura, alla filatura, alla tessitura, fino alla vendita dei tessuti, come viene documentato dalle raffigurazioni della cronaca manoscritta di Puricelli, “Historia ordinis humiliatorum”, conservata alla Biblioteca Ambrosiana.
Il prodotto veniva commercializzato col nome di “panni umiliati” (panni qui dicuntur umiliati) in tutta l’Italia settentrionale, fino alla Toscana e oltre. A Firenze, uno dei mercati di tessuti più ricchi dell’epoca, gli Umiliati possedevano una domus molto prestigiosa, collegata alla Chiesa d’Ognissanti. E’ forse grazie a questa trama di conoscenze che Giovanni da Villa potrà chiamare artisti toscani a collaborare con gli artisti lombardi nella costruzione di Viboldone e di Brera.
Noti principalmente per la loro attività nel campo della lavorazione della lana, gli Umiliati ebbero un ruolo determinante anche nella formazione del paesaggio lombardo e nell’introduzione o nello sviluppo di colture particolari, quali l’uso delle marcite e la coltivazione del gelso, da cui deriva la tipica immagine della “piantata lombarda”.
In aggiunta all’attività tessile e all’agricoltura, gli Umiliati si dedicavano all’accoglienza ed all’assistenza dei pellegrini. Ma proprio l’eccessivo benessere fu forse la causa della soppressione dell’Ordine. Per la chiesa gli Umiliati (e i Poveri di Lione) portavano indegnamente un nome che non gli spettava, essendosi arrogati il diritto di predicazione concesso soltanto previa approvazione della alte gerarchie ecclesiastiche.La rottura con la Chiesa, però, non durò molto. Nell’anno 1201, infatti, il papa Innocenzo III, seguendo i primi segni di svolta delineati già dal suo predecessore, riabilitò i frati Umiliati, ponendo le basi per un’apertura verso la predicazione laicale. Approvò loro una regola e strutturò l’ordine in tre categorie: i chierici, che pur senza prendere i voti praticavano il celibato e vivevano in comunità, i laici (uomini e donne), che potevano sposarsi ma vivevano in comunità ed i laici (uomini e donne) che potevano vivere in casa propria.
Nel XVI secolo, con la Controriforma, i movimenti di questo tipo, che potevano facilmente scivolare su posizioni eretiche o di opposizione di principio alla Chiesa, vennero scoraggiati. Gli Umiliati in particolare erano sospettati di calvinismo. A questo, deve aggiungersi il fatto che la fiorente attività tessile e finanziaria cui si erano specializzati aveva reso l’ordine ricco e corrotto.La Santa Sede tentò un’opera di riforma profonda dell’Ordine, incaricando del compito l’arcivescovo di Milano, San Carlo Borromeo. Ma i contrasti che sfociarono tra l’Ordine e l’Arcivescovo, che forte del mandato papale in più occasioni non aveva esitato a far uso della forza militare, si acuirono a tal punto, che un membro dell’ordine tentò addirittura di assassinarlo. L’oscuro avvenimento, secondo le cronache dell’epoca, andò così: nella notte del 26 ottobre 1569, un certo Gerolamo Donato detto “il Farina”, frate degli Umiliati, entrò in Arcivescovado con un archibugio, sorprendendo San Carlo Borromeo in preghiera in una cappella. Estratto l’archibugio, esplose un colpo, ma non riuscì a colpire l’Arcivescovo. Riuscì a darsi alla fuga, ma nell’aprile successivo, tradito da alcuni complici, fu catturato e condotto a Milano, e rinchiuso nelle carceri vescovili. Venne impiccato il 2 agosto 1570 a pochi passi dall’Arcivescovado, nella Piazza di S. Stefano.
La congiura fornì il pretesto a papa Pio V, che nel febbraio del 1571 soppresse definitivamente il ramo maschile dell’Ordine. Rimasero come unica testimonianza della loro storia soltanto le case femminili, che già nel 1569 si erano staccate dai loro confratelli. Molti tra i beni dell’Ordine furono distribuiti ad altri Ordini o devoluti in opere pie, soprattutto a carattere istruttivo.
Dopo la soppressione degli Umiliati ad opera di Carlo Borromeo, l’abbazia passò ai Benedettini Olivetani, successivamente soppressi dal governo austriaco e costretti ad abbandonare l’abbazia.
Nel 1940 il cardinale Ildefonso Schuster, dopo anni di abbandono, ha offerto l’abbazia a una comunità di religiose guidata da Margherita Marchi, separatasi dalla congregazione delle Benedettine di Priscilla. Il monastero sui iuris delle benedettine di Viboldone fu canonicamente eretto il 1º maggio 1941.
Guida artistica all’Abbazia di Viboldone
Storia dell’Abbazia di Viboldone di Mons. Galbiati
Gli Umiliati
Bibliografia:
- Vetera Humiliatorum monumenta, Tiraboschi, I-III, Milano 1766-68
- Giusto dei Menabuoi a Viboldone, Gregori M., in “Paragone”, 293 (1974), pp.3-20
- Annales Mediolanenses minores, a cura di J. P. Jaffé, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, XVIII, Hannover, 1863
- Lunari, M., Appunti per una storiografia sugli Umiliati tra Quattro e Cinquecento in Sulle tracce degli Umiliati, a cura di M. P. Alberzoni, A. Ambrosioni, A. Lucioni, Milano, Vita e pensiero, 1997.
- Carlo Pirovano, Sotto il cielo di Lombardia. Breve storia degli Umiliati, Barzago (Lc), Marna, 2007.
- Alberzoni, M.P., Gli Umiliati e San Bernardo, in Storia illustrata di Milano, a c. di F. Della Peruta, vol. II, Milano 1992, pp. 521–540;
- Alberzoni, M.P., L’esperienza caritativa presso gli Umiliati: il caso di Brera (secolo XIII) in La Carità a Milano nei secoli XII – XV, a cura di EAD. e O. Grassi, Milano 1989, pp. 201 – 223, in particolare pp. 205–208
- Grado Giovanni Merlo, Profilo di storia degli Umiliati in Un nuovo stemma per la Provincia di Milano. Storia cultura società, Electa, Milano, 1998, pp. 17–38.
- “Humiliati”, in Encyclopædia Britannica, 11th edn, 29 vols (Cambridge: Cambridge University Press, 1910–11), XII (1910), 884.
- Brolis, MT, Gli Umiliati a Bergamo nei secoli XIII e XIV, ed. Università Cattolica, Milano, 1991.
- Oreste Clizio,Gerolamo Donato detto IL FARINA l’uomo che sparò a san Carlo edizioni La Baronata, la Cooperativa Tipolitografica Editrice 1998
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