Sono pochi i luoghi in cui è riconoscibile un percorso storico continuo di circa 3000 anni.
Uno di questi si trova a Roma ed è il Carcere Mamertino o Carcer Tullianum.
Si tratta di un complesso di ambienti integrato nel sistema di mura difensive alle pendici del Campidoglio, databili dall’età regia e in uso per tutta l’età repubblicana, in epoca imperiale, circa a metà del I secolo d.C. (intorno al 39-42) esso fu monumentalizzato con la costruzione della facciata in travertino recante la dedica senatoria ai consoli C. VIBIUS RUFINUS e M. COCCEIUS NERVA, che restaurarono il complesso sotto Tiberio.
Dietro a questa è presente una facciata più antica, in tufo di Grotta Oscura.
In epoca cristiana divenne luogo di culto a causa della prigionia nel Tullianum di San Pietro, fino a quando non vi fu edificata nel XVI secolo la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami tutt’ora in uso, poggiandola sulla Cappella del Crocefisso.
Il complesso originario cui appartiene il Tullianum era un tempo molto più esteso, alcuni ulteriori spazi sono stati recentemente indagati. Quella che è giunta fino a noi è solamente la parte più segreta della prigione, paragonabile alle zone di massima sicurezza delle odierne carceri. Il resto delle prigioni si sviluppava con ambienti scavati all’interno del Campidoglio, antiche cave di tufo riadattate allo scopo, esistenti in gran numero ai piedi del colle. Il loro nome era Lautumiae da cui il nome di Clivus Lautumiarum, assegnato al colle e in seguito divenuto Clivus Argentarius.
Tito Livio fa risalire il Tullianum all’VIII sec. a.C., ovvero all’epoca di Anco Marzio nel VII secolo a.C., anche se deve il suo nome ad altre tradizioni che lo collegano all’iniziativa di Servio Tullio o di Tullo Ostilio.
Alcuni studiosi indicano come origine del nome la fonte d’acqua presente nell’ambiente più antico, “tullus” ovvero polla o cisterna, che sarebbe stata la destinazione d’uso originaria della costruzione. Tale ipotesi sarebbe confortata dalla forma circolare del locale più antico, delimitata da un muro a secco ad opera quadrata in peperino.
Quattro in tutto i livelli, dall’alto verso il basso: la chiesa, la cappella del Crocifisso, il Carcere Mamertino e il Tullianum.
Il 21 luglio 2016 è stato riaperto ai turisti dopo la chiusura di un anno. Oltre al nuovo allestimento museale, che raccoglie anche le scoperte delle ultime campagne di scavi, con l’occasione viene aggiunto un ulteriore varco per entrare al Foro Romano dal lato del Campidoglio. Ma la vera notizia è che gli ultimi scavi hanno rimesso ordine nella complessa struttura facendo interessanti scoperte.
Le citazioni storiche
Il Tullianum viene citato da molti autori dell’antichità, tanto da farne uno dei pochi capisaldi indiscutibili degli edifici nel Foro, usato per individuare con esattezza anche altri monumenti vicini grazie a citazioni incrociate.
Plinio il Vecchio ne ricordò la collocazione a ovest della Curia Hostilia.
Da altre fonti si conosce che era, oltre che nel Foro, in prossimità del tempio della Concordia.
La descrizione più celebre è quella di Sallustio nel De Catilinae coniuratione. Nel suo resoconto dell’imprigionamento e dell’esecuzione dell’ex console Lentulo, di Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario, lo storico tratteggia una concisa quanto fedele descrizione del luogo, ancora valida per il sito così come ci è giunto.
(LA)« Est in carcere locus, quod Tullianum appellatur, ubi paululum ascenderis ad laevam, circiter duodecim pedes humi depressus. Eum muniunt undique parietes atque insuper camera lapideis fornicibus iuncta; sed incultu, tenebris, odore foeda atque terribilis eius facies est » | (IT)« Nel carcere vi è un luogo chiamato Tulliano, un poco a sinistra salendo, sprofondato a circa 12 piedi sotto terra. Esso è chiuso tutt’intorno da robuste pareti, e al di sopra da un soffitto, costituito da una volta in pietra. Il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l’oscurità, il puzzo » |
(De Catilinae coniuratione, SALL) |
Il re della Numidia Giugurta, gettato in questo antro nel 105 a.C., pare deridesse i suoi carcerieri dicendo: “Come è freddo questo vostro bagno, Romani!”.
Calpurnio Flacco invece scrive così nel II sec. d. C. nelle sue Declamationes: “Ho visto il carcere pubblico costruito di grandi massi, cui si accede per aperture strette e oblunghe che danno appena un po’ di luce in quell’oscurità. Per mezzo di questa i rei abbietti osservano il Robur Tullianum, e ogni volta che lo stridore della porta ferrata che si apre scuote coloro che là giacciono, si esaminano l’uno con l’altro e assistendo ciascuno all’altrui supplizio apprendono quel che li aspetta. Risuonano lì dentro i colpi di frusta, la lordura martoria i corpi, le mani sono oppresse dalle catene”.
Ospite del carcere fu anche Vercingetorige, vinto da Cesare nella famosa battaglia di Alesia del 52 a.C., e mantenuto in prigionia per lunghi anni fino a che non fu condotto in catene nel trionfo di Cesare e in seguito ucciso, probabilmente per strangolamento.
Le ultime scoperte
A quanto pare l’uso di questo misterioso luogo iniziò ben prima della fondazione dell’Urbe, nel IX secolo a. C.
Lo confermano tre corpi, risalenti proprio a quell’epoca, rinvenuti grazie alle indagini condotte dalla Soprintendenza speciale per il Colosseo, sotto la direzione scientifica di Patrizia Fortini. I corpi sono riferibili ad un uomo di grande statura, una donna e un bambino, vissuti tra 810-820 a.C. stando alle analisi con il C14.
Durante i lavori sono stati ritrovati olive, fichi, uva e un limone, il più antico esemplare mai rinvenuto in Europa, databile al I sec. d.C. Questi frutti tipici della stagione autunnale sono stati rinvenuti in un deposito votivo: una piccola fossa scavata nel pavimento dove in occasione dei rituali venivano offerti ancora freschi.
La dottoressa Fortini spiega che “Particolare è stato anche il ritrovamento sotto la pavimentazione medievale nell’ambiente inferiore alla chiesa di San Pietro in Carcere, di una grossa e spessa pavimentazione, al cui interno affiora la falda acquifera. Indagini idro-geologiche hanno provato che si tratta proprio di una sorgente, non collegata a nessun condotto”, precisa Patrizia Fortini.
In epoca tardo antica, nel IV secolo, il Carcer Tullianum perse la sua funzione di prigione divenendo luogo di culto cristiano, esattamente nel 314 quando papa Silvestro lo intitolò a San Pietro in Carcere.
Patrizia Fortini osserva che la “funzione sacrale del sito”, legata alla divinità delle acque profonde “si mantenne significativamente inalterata ancora in età cristiana legandosi al culto di San Pietro“. Lo proverebbe la vaschetta scavata nel pavimento in tufo del Tullianum coperta successivamente da tre vere di pozzo sovrapposte relative ai vari pavimenti che venivano aggiunti per salvarsi dalle inondazioni causate dalla sorgente, oggi sono scongiurate da pompe. Gli strati di pavimentazione sono stati ora rimossi ed è stato portato allo scoperto l’antico pavimento.
La grande scritta sul portico di ingresso: “Mamertinum. Prigione dei SS. apostoli Pietro e Paolo” è una forzatura sul piano storico-giuridico e sul piano archeologico. Non è possibile infatti individuare ad oggi prove archeologiche della presenza dei due apostoli. Inoltre Paolo è “civis romanus” quindi avente diritto a un trattamento differente rispetto a Pietro che non lo è. Per esempio ha diritto alla decapitazione, non all’infamante crocifissione. Potrebbe essere stato comunque recluso nel “carcere duro” riservato ai nemici dello stato Romano?
La devozione non ha però bisogno di conferme storiche e la tradizione sulla reclusione dei due apostoli è manifestata da numerosi affreschi e targhe affisse nei secoli. Entro una cornice dipinta, all’ingresso del Mamertino, il Cristo appoggia la mano sinistra sulla spalla di Pietro sorridente e benedicente. Questo affresco è stato datato, con altri di tema cristiano, tra il 1100 e il 1300.
Più antico un dipinto all’interno del Tullianum risalente al VIII-IX secolo: la mano di Dio padre su di un rettangolo bianco di intonaco.
“Il Tullianum”, dichiara inoltre Monsignor Liberio Andreatta, vice presidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi, che ha coordinato il progetto di scavi “è stato luogo di detenzione di San Pietro, che fece scaturire l’acqua utilizzandola per battezzare i reclusi e i carcerieri; qui inoltre si trova una delle prime raffigurazioni della Madonna della Misericordia, presente in un affresco datato XIII secolo. Questo è un luogo, dunque, di grande devozione ancora molto visitato da chi si reca a Roma in pellegrinaggio”.
“Le indagini archeologiche degli ultimi anni, spiega Francesco Prosperetti soprintendente per l’Area archeologica centrale di Roma, ci restituiscono non solo un monumento celeberrimo, ma la sua straordinaria vicenda, legata a doppio filo con le origini di Roma e l’intera storia della città.”
La riapertura al pubblico
Il nuovo museo appena aperto è un progetto multimediale, in grado di raccontare l’evoluzione di una zona centrale dell’antica Roma, per mezzo dei nuovi linguaggi della comunicazione. Con i tablet sarà possibile ricostruire in 3D il percorso dall’età del ferro a quella repubblicana, fino alla Roma cristiana e al Rinascimento. Un museo dove sono esposti tutti i reperti rinvenuti: dal limone agli altri resti animali e vegetali, le ceramiche, i corpi risalenti all’IX secolo prima di Cristo, la cattedra sacerdotale di epoca cristiana.
https://www.youtube.com/watch?v=hQAsJW_SigY
Info utili per visitare il complesso
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.