Dati paleogenetici e studio degli isotopi da resti umani hanno gettato nuova luce sulle regole residenziali nella preistoria europea che rivelano patrilocalità ed elevata mobilità femminile. Ovvero l’esistenza, persistente per secoli, di nuclei familiari costituiti da un maschio divenuto adulto nel suo luogo di nascita e femmine provenienti da differenti aree europee.
In uno studio di Corina Knipper ed altri, recentemente pubblicato dalla National Academy of Science of America,
gli studiosi dimostrano il ruolo fondamentale di questa istituzione e il suo impatto sulla composizione delle popolazioni nell’arco di parecchie centinaia di anni. Lo studio entra nel lungo dibattito sulla continuità della popolazione europea, dal nucleo neolitico all’età del bronzo, e tende a dimostrare che una semplice nozione di “migrazione” non può spiegare la complessità della mobilità umana delle società del terzo millennio a.C. in Eurasia.
Al contrario sembra che quello che gli archeologi hanno interpretato come migrazione sia da ritenere il risultato su larga scala di una mobilità individuale istituzionalizzata e legata a genere ed età.
La mobilità umana è stata vigorosamente discussa come un fattore chiave per la diffusione della tecnologia del bronzo e in relazione ai profondi cambiamenti nelle pratiche di sepoltura e nella cultura materiale dell’Europa centrale, nel momento di transizione dal neolitico all’età del bronzo.
Tuttavia, la pertinenza dei singoli cambiamenti residenziali e la loro importanza tra gruppi specifici di età e di sesso sono ancora poco conosciuti.
Lo studio in questione si è basato sull’analisi del DNA, dei dati isotopici stabili dell’ossigeno e dei rapporti isotopici dello stronzio, su 84 scheletri datati al radiocarbonio e provenienti da sette siti archeologici del Complesso della Valle del Lech nella Baviera meridionale , Germania, risalente al Neolitico della Cultura del vaso campaniforme e all’Età del Bronzo Primitivo.
I genomi mitocondriali completi documentano nel tempo una diversificazione delle linee materne.
I rapporti isotopici hanno reso noto che la maggioranza delle femmine non è locale, mentre questo è il caso solo di pochi maschi. La maggior parte delle femmine non indigene sono giunte nella zona di studio da adulte, probabilmente dalla Boemia o dalla Germania centrale, ma non viene individuata la loro prole tra gli individui campionati.
Il modelli di patrilocalità ed esogamia femminile prevalsero per almeno 800 anni circa tra il 2500 e il 1700 a.C. Le regole residenziali persistenti e persino una relazione diretta di parentela attraverso la transizione dal neolitico all’età del bronzo si aggiungono alla testimonianza archeologica della continuità di tradizioni dalla cultura del vaso campaniforme all’età del Bronzo Primo. I risultati attestano inoltre alla mobilità femminile una forza motrice per la comunicazione e lo scambio regionale e sovraregionale all’alba delle età metalliche europee.
Su Phys.org leggiamo che Corina Knipper del Curt-Engelhorn-Center for Archeometry, Alissa Mittnik e Johannes Krause dell’Istituto Max Planck per la Scienza della Storia Umana di Jena e dell’Università di Tuebingen hanno condotto congiuntamente queste indagini scientifiche.
“La mobilità individuale è stata una caratteristica importante che caratterizza la vita delle persone dell’Europa centrale anche nel terzo e primo millennio”, afferma Philipp Stockhammer dell’Istituto di Archeologia e Archeologia Pre- e Protostorica delle Province Romane del Ludwig-Maximilians-Universität München.
Gli individui studiati furono sepolti tra il 2500 e il 1650 a.C. nei cimiteri pertinenti a singole fattorie che contenevano tra una e diverse dozzine di sepolture nell’arco di diverse generazioni. “Gli insediamenti si trovavano lungo una striscia di terra fertile in mezzo alla valle del Lech. In quel periodo non esistevano grandi villaggi nel Lechtal”, afferma Stockhammer.
“Vediamo una grande diversità di discendenze femminili che si sarebbero potute verificare se nel tempo molte donne si fossero trasferite nella Valle di Lech provenendo da qualche altra parte”, spiega Alissa Mittnik sulle analisi genetiche e Corina Knipper “Sulla base dell’analisi dei rapporti di isotopi dello stronzio nei molari, che ci permettono di trarre conclusioni sull’origine delle persone, siamo riusciti a capire che la maggioranza delle donne non proveniva dalla regione “. Le sepolture delle donne non si differenziano da quelle della popolazione indigena, indicando che le donne straniere erano state integrate nella comunità locale.
Da un punto di vista archeologico, le nuove conoscenze dimostrano l’importanza della mobilità femminile per lo scambio culturale nell’età del bronzo. Essi ci permettono anche di vedere l’immensa misura della mobilità umana precoce in una nuova luce. “Sembra che almeno una parte di quanto in precedenza si credeva fosse la migrazione per gruppi si basa su una forma istituzionalizzata di mobilità individuale”, dichiara Stockhammer.
Due casi simili li avevamo già incontrati parlando della ragazza di Egtved e di quella di Skrydstrup, di un paio di secoli più recenti, che a questo punto non sembrano più essere dei casi isolati.
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