E’ un esordio sentito emotivamente e fortemente voluto dalla Sandrelli che a 64 anni si cimenta dall’altra parte della cinepresa con una sceneggiatura e un tema ostici al pubblico italiano: la biografia di una misconosciuta figura medievale.
Con un budget medio-basso viene raccontata la vita di Christine de Pizan ovvero di Cristina da Pizzano, donna incredibilmente moderna, vissuta tra il 1365 e il 1430, colta, ardimentosa, arguta e decaduta da uno stato di benessere materiale all’indigenza, che, con le sue doti intellettuali e culturali, riesce a conquistare l’autonomia, e mantenerla per il resto della sua vita, in un mondo totalmente maschile e maschilista.
Trama
La pellicola è un ritratto di donna forte, indomita, madre affettuosa ma anche decisa a non subire e determinata a lasciare il segno, coi suoi scritti, nel mondo in cui visse. Siamo in Francia: Cristina da Pizzano (Amanda Sandrelli), di origine italiana, è la vedova di un cavaliere francese caduto in disgrazia dopo la morte di Carlo V. Viene quindi privata dei suoi beni, finisce per essere ospitata con i due figli in una barca cadente ancorata in un fiume dalla ex tata Thérèse (Paola Tiziana Cruciani) e da suo marito Charleton (Alessandro Haber), cantore ubriacone che suona il liuto e declama versi licenziosi nelle taverne. La naturale propensione di Cristina alla poesia viene incoraggiata dal menestrello e Cristina inizia a comporre strofe per lui, che la sera le propone in taverna, spesso alla presenza di qualche personaggio importante, come il monsignore Gerson (Alessio Boni) e il poeta di corte Gontier (Stefano Molinari). La spontaneità dei versi dell’uomo, e soprattutto di quelli modernissimi e caustici di Cristina, danno fastidio ai Borgognoni, in quel momento al potere, e soprattutto al “vate” Gontier. Malgrado l’amicizia e la protezione del bel monsignore Gerson, per la nostra eroina la strada sarà tutta in salita…
Critica
Il Morandini recita:
Il film è consigliabile solo a chi vuole:
1) ascoltare dialoghi in forbito italiano arcaico con centinaia di versi in rima non sempre baciata;
2) assistere alla storia d’amore repressa tra il romantico e bel prelato Gerson e Christine che condivide con lui l’amore per i libri;
3) vedere una Francia sanguinosamente divisa tra Armagnac e Borgogna con guardie pronte a impiccare chi alza la voce contro i potenti;
4) cogliere tra le immagini i rimandi all’Italia di oggi;
5) condividere l’ingenuo antimaschilismo del discorso. Da ammirare l’istrionismo sopra le righe di Herlitzka che lascia il segno col potente magistrato Pistorius. I limiti del film sono la scrittura da sceneggiato TV, la mancanza di energia narrativa e, paradossalmente, la brevità. Musiche ingombranti di Pasquale Catalano.
Christine de Pizan è in realtà un perfetto soggetto cinematografico, incarnazione di un protofemminismo che lotta per i propri figli e per un’arte sincera, popolare e, per questo, rivoluzionaria. L’idea vincente della Sandrelli e dei suoi sceneggiatori (coordinati da Furio Scarpelli, che di acuti sguardi sul contemporaneo se ne intende) è quella di farne una figura emblematica dello stato dell’arte e in particolare della contrapposizione fra arte sociale e arte di stato. La sua Christine è non a caso anche Cristina, donna che rivendica in tutto la sua condizione: il suo essere donna, madre, artista e italiana.
Peccato quindi che la realizzazione finale del film non sia all’altezza dei suoi alti presupposti e che alla forza dell’ardore della sua eroina, la Sandrelli preferisca i toni pacati e le forme candide dell’operetta morale. Peccato che alcune scelte di regia, da una messa in scena un po’ desueta, vicina ai vecchi sceneggiati televisivi, alla scelta di due protagonisti privi di carisma e di mordente come Alessio Boni e Amanda Sandrelli, confondano il poetico col prosaico, il popolare col modesto e l’universale con l’uniforme. Peccato, perché le pulsioni sovversive di Christine avrebbero meritato di più lo spirito del miglior cinema militante anziché il conformismo della televisione di stato.
“Christine Cristina” centra in pieno tutti i topos delle purtroppo tante riproposte critiche ad alcuni film italiani.
Sembra, per regia, uno sceneggiato televisivo? Sì. Gli attori recitano dialoghi improbabili ed esplicitano solo attraverso di questi le proprie emozioni? Sì. E’ un film in costume in cui, per quanto sicuramente c’è stata tanta cura per abiti e scenografie, sembra essere stato girato al lago vicino casa? Sì, abbiamo anche questo. Senza poi parlare di un onnipresente irritante accompagnamento musicale che raggiunge il suo apice all’ingiù nella conclusiva canzone di Sting dall’arrangiamento “medioevale”.
Possibile continuare ancora a realizzare personaggi così piatti e stereotipati dopo tanto brutto cinema realizzato in questi anni puntualmente bocciato da pubblico e critica? Il cattivo è cattivo e vendicativo, gli amici buoni e sempre disponibili comunque e dovunque, la protagonista generosa, idealista, pur e senza mai alcun dubbio. Viva le apologie! Non c’è mai una mezza tinta, un piccolo accenno di profondità, né di sceneggiatura che di regia. Qualsiasi piccolo spunto potenzialmente interessante, che sia il maschilismo dell’epoca, gli stravolgimenti politico-storici del periodo, il ruolo degli “strimpellatori” e degli artisti nella società o i possibili dubbi sulla fede di chi sta per prendere i voti, vengono sorpassati da un centro narrativo che finisce con il raccontare poco e nulla né della sua protagonista né dei personaggi di contorno.
Realizzato con il contributo di Rai Cinema, del Ministero per i Beni culturali e la Regione Lazio, l’unica riflessione che “Christine Cristina” pone allo spettatore a fine proiezione è: come è possibile tutto questo?”
Tratto da una storia vera ambientata in un momento storico di conflitti e guerre sanguinose, Christine Cristina assume una soavità quasi surreale, sospesa nel tempo e scollata completamente dal contesto bellico e in cui la sua regista tenta invano di infilarla mostrando qualche sporadica scena di accoltellamento e un imbarazzante saccheggio della città da parte di una banda di furfanti a cavallo. Mancano scene forti, la violenza e l’asprezza di un momento storico dei più sanguinosi della storia di Francia – probabilmente troppo costose da realizzare per una piccola produzione italiana che ha avuto molte difficoltà e tanti ostacoli – come la stessa regista ha più volte tenuto a precisare – ma manca paradossalmente proprio la poesia, quella delle immagini, quella di una donna lieve e rivoluzionaria al tempo stesso che ha giocato un ruolo importantissimo nella storia dell’evoluzione e dell’affermazione femminile. Seppur brava, soave, delicata e mai fuori luogo, Amanda Sandrelli non riesce a imprimere il giusto carisma alla ‘sua’ Cristina avvicinandola troppo alle protagoniste di sceneggiati di moda 30 anni fa. Interessante e di grande appeal invece il personaggio interpretato da un favoloso Roberto Herlitzka nei panni del supremo rettore dell’università di Parigi, servo delle ragioni di Stato ma non insensibile al fascino letterario e allegoricamente plebeo della coraggiosa poetessa.
Delude Alessio Boni, troppo rigido nei panni del letterato progressista Gerson, esaltante invece la prova di Alessandro Haber straordinario nei panni di un cantastorie ubriacone e sognatore con un grande cuore da poeta. Il risultato finale è un film decisamente coraggioso per un esordio, forse inadatto, sicuramente noioso, che si farà ricordare per una delle battute più ‘scult’ della storia del cinema italiano. Buone intenzioni per la premiata ditta Sandrelli, e poco altro.
La nostra opinione
Per quanto ci siamo sforzati non siamo riusciti a trovare delle critiche positive in rete. A noi invece il film è piaciuto per molti aspetti. In primo luogo pochi conoscono il nome di Cristina da Pizzano. Eppure Cristina è stata una figura esemplare nella storia della letteratura. Italiana, vissuta in Francia nel momento del passaggio dal Medioevo all’Umanesimo, fu la prima donna a vivere soltanto grazie alla propria penna, cioè scrivendo e pubblicando opere poetiche. Fu inoltre imprenditrice, dando lavoro a copiatori e miniatori e producendo libri su commissione. Fu probabilmente la prima ad usare un marchio: la propria immagine allo scrittoio, con i medesimi abiti sempre dello stesso colore. Eppure nessuno l’aveva mai portata sul grande schermo: di questo non possiamo che dare grande merito alla Sandrelli.
I costumi e le ricostruzioni dei luoghi, contrariamente alle critiche precedentemente riportate, ci sembrano perfetti.
La storia è garbata e la forza della protagonista non si esprime in gesti plateali o urlati, ma nei tempi e nei modi che, possiamo immaginare, fossero consoni ad una donna colta e intelligente, ma non potente, a quell’epoca. La poesia che alcuni dicono mancare la ritroviamo nel semplice calore della fotografia.
I critici sentono la mancanza del cinema e della televisione urlata, noi ne siamo sollevati.
Questo film esprime nelle piccole cose e nella quotidianità dei gesti molto più di quanto potrebbero fare mille trattati: Cristina da Pizzano cantava il quotidiano ed era tacciata di prosaicità, la Sandrelli fa altrettanto e subisce la stessa sorte.
Manca, è vero, un approfondimento del contesto storico generale che traspare unicamente quando attiene strettamente alle vicende dei protagonisti, ma la giudichiamo una scelta, dove l’unica cosa che si desidera raccontare è Cristina. Quanto al brano di Sting: ci ha lasciati perplessi per il solo fatto di essere in inglese, per il resto sottolinea uno dei momenti meno “parlati” ma più intensamente recitati della pellicola. Dove l’Amanda di “Non ci resta che piangere” con il suo petulante “provare, provare, provare” ci appare finalmente intensa e commovente. Per quanto riguarda il rammarico di non aver sottolineato il maschilismo dell’epoca noi ne siamo invece compiaciuti: ci pare che il film graviti attorno ad una personalità decisamente superiore intellettualmente alla media dei suoi tempi, al di là dello stereotipo di genere. Da una donna intellettuale non ci si dovrebbero attendere campagne femministe ante litteram. Dai suoi scritti traspare la lucida consapevolezza dell’ingiustizia di giudicarla in quanto donna e non in quanto persona, ma ne risulta anche una “vendetta” operata con la costante fatica quotidiana di smentire i suoi detrattori. Cristina si impegna con intelligenza e laboriosità a mantenere concretamente la sua autonomia e indipendenza, e ci riesce. Contrariamente a tanto femminismo sbandierato e sbraitato la dimostrazione delle capacità e della possibilità di successo avviene tramite le azioni. In questo senso una grande lezione di dignità, intelligenza e coraggio per tutte le donne (e non solo) fino, e soprattutto, ai giorni nostri. Molto meglio del femminismo: la dignità della persona.
Infine è un inno alla cultura, all’amore per i libri e alla libertà, di pensiero e di vita, che essi portano con sé …o almeno, i “buoni” libri, considerando la critica di Cristina al “Roman de la rose”.
Il nostro consiglio è di vedere la pellicola che è fresca, generosa e spontanea, lieve e fedele allo spirito del personaggio, veicolatrice di un messaggio alle donne con un linguaggio che non scimmiotta quello maschile, ma è pungente e forbito. Con ironia Cristina infatti scrive: “Ahimè mio Dio, perchè non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero al tuo servizio, non mi sbaglierei in niente e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere…”
La vita di Cristina da Pizzano
Il padre Tommaso da Pizzano era medico e astrologo all’Università di Bologna, la madre era la figlia di un Consigliere della Repubblica di Venezia. Cristina nasce proprio a Venezia, nel 1364 (o 1365).
Poco tempo dopo, il padre, grazie ai suoi meriti intellettuali, viene chiamato dal re Carlo V a Parigi, dove nel 1368 trasferisce tutta la famiglia. Tommaso è tenuto in grande considerazione da Carlo V, che lo nomina tra i suoi consiglieri.
Cristina cresce nell’ambiente di corte e conduce una vita tranquilla e agiata. La madre vorrebbe per lei un’educazione semplice, quella riservata alle ragazze del suo tempo, ma il padre intuisce l’intelligenza vivace e la sua curiosità e la incoraggia nello studio, fornendole l’accesso alla biblioteca reale, al tempo una delle più grandi d’Europa.
Per Cristina i “buoni libri” sono come “tesori”. Inizia a comporre qualche poesia, che viene declamata a corte. A soli 15 anni, nel 1380, si sposa con Etienne de Castel. Il matrimonio è felice; nascono tre bambini.
Dopo un periodo di serenità, inizia per Cristina una serie di lutti che cambieranno completamente la sua vita.
Nel 1387 muore il padre Tommaso; nel 1390, vittima di un’epidemia, muore il marito. Nel 1380 era morto anche Carlo V, ed era cessata la protezione che egli aveva garantito alla famiglia de Pizan.
Cristina si ritrova sola, con a carico i suoi bambini, la madre e una nipote.
Per un breve periodo soffre di depressione; è preoccupata per i problemi economici, per le questioni legali poiché le promesse di elargizioni e il dono di terreni che erano state fatte da Carlo V al padre, non vengono mantenute dal successore CarloVI.
Si lamenta perchè “Tale è l’abitudine comune agli uomini sposati di non dire e svelare interamente le loro faccende alle mogli, dalla qual cosa nasce spesso del male, così come mi è chiaro per esperienza”.
E ancora: “Ora mi toccò rimboccarmi le maniche… ed essere conduttrice della nave rimasta nel mare in tempesta senza guida“.
Ma Cristina prende il comando. Cerca di non abbassare il suo tenore di vita, per poter mantenere i contatti con la corte e chiedere aiuti.
“Ah Dio, come mi ricordo delle numerose volte in cui ho perduto la mattinata in quel palazzo (il Louvre) in inverno, morendo di freddo, tenendo d’occhio quelli che mi interessavano per ricordare loro e far presente i miei bisogni, dove molte volte io udivo, con le mie orecchie, stravaganti conclusioni e numerose strambe risposte, che mi facevano sgorgare le lacrime agli occhi”.
Inizia a lavorare come copista e miniaturista, due delle poche opportunità professionali aperte alle donne, nel suo tempo. Più tardi riuscirà ad avere uno studio tutto suo con dei dipendenti che l’affiancheranno nella trascrizione di libri. E’ un lavoro che Christine fa con grande cura, curando molto anche le decorazioni; dei manoscritti rimasti, 55 sono stati riconosciuti come parzialmente o completamente autografi.
Grazie al lavoro di copista, Cristina ha la possibilità di avere sottomano diverse opere importanti e ne approfitta per affinare la sua cultura e continuare nello studio, che aveva dovuto interrompere al tempo del suo matrimonio, cosa di cui si rammaricava molto.
Nello stesso tempo compone poesie e ballate, dove parla di sé, del rimpianto per il marito perduto, della sua condizione di donna sola. “E’ molto difficile tenersi dentro il dolore. Il destino però non mi ha colpito così in profondità, da non farmi desiderare la compagnia e il conforto della poesia.”
Compone il Livre de cents ballades, che le fa ottenere ben presto il riconoscimento e le committenze di importanti membri della corte parigina.
Alle opere in versi inizia ad affiancare quelle in prosa, diventando una vera e propria scrittrice, la prima donna in Europa che riesce a farne una professione.
Ha una grande facilità di scrittura, che le permette di comporre, ad esempio, tra il 1399 e il 1405 ben 15 opere di un certo spessore, oltre a lavori minori.
Nel 1406 viene ricompensata con la ragguardevole somma di 100 scudi da Giovanni di Borgogna per due libri: il Livre des fais et bonnes meurs du sage roy Charles V, (una biografia di Carlo V, ritenuta l’opera storica più importante di Christine) e Avision Christine.
Alla regina Isabella di Baviera dedica, tra le altre opere, gli scritti relativi alla disputa sul Roman de la Rose e la Lettre a Isabelle de Bavière (5 ottobre 1405), con cui la prega di porsi come mediatrice di pace fra il partito borgognone e quello armagnacco (che di lì a poco saranno apertamente uno contro l’altro nella guerra dei Cent’anni). Per Louis de Guyenne, figlio di Carlo VI e Isabella di Baviera, compone il Livre de la Paix (1412 – 1413) e Avision du Coq (1413). Alla moglie di Louis, Marguerite de Nevers dedica il Livre de Trois Vertus.
La sua preparazione è ad un livello tale per cui, intellettualmente, Christine si sente assolutamente alla pari con gli uomini di lettere del suo tempo.
La sua sicurezza la induce ad affrontare anche trattati di argomento politico e militare, come ad esempio il Libro del corpo politico(1407), dove elenca le qualità essenziali che devono possedere nobili e cavalieri. O come il Livre des Fais d’armes et de chevalerie(1410), un’opera didattica destinata ai cavalieri.
Le sue opere vengono tradotte in inglese e olandese e avranno una notevole influenza nella poesia inglese del tempo.
L’ultima notizia relativa alla sua vita si trova nell’incipit del Ditié de Jehanne d’Arc, un breve poema scritto nel luglio 1429 in onore della pulzella d’Orleans; Cristina dice di vivere da ormai 11 anni nell’Abbazia di Poissy insieme alla figlia monaca in quel convento, dove si è rifugiata per sfuggire agli scontri della guerra.
Muore nel 1430 circa.
L’opera più famosa di Cristina è il Libro della città delle Dame (1405), nel quale stila un elenco di tutte le donne che, nel passato, si sono distinte nelle scienze, nella filosofia o sono state esempi di onestà, coraggio, rettitudine. Immagina quindi di costruire una città ideale, dove le donne possano vivere esprimendosi liberamente. Il tema che sta più a cuore a Cristina infatti è sempre la donna. Sente come una profonda ingiustizia la misoginia e la volontà da parte del sesso maschile di sminuire l’intelligenza e l’acume delle donne. Desidera più di ogni altra cosa che le donne del suo tempo prendano coscienza del loro valore e le sprona a risollevarsi da una condizione di inferiorità. Inferiorità che non è data dalla natura ma dalla mancata possibilità di accedere, come gli uomini, al sapere e allo studio.
Nel Livre de la mutacion de la Fortune (1403) Cristina scrive che il destino le aveva riservato tante sventure, ma le aveva anche dato la forza di non cedere alle avversità e di reagire con piglio virile. Lei era “diventata uomo”. Facendo della sua intelligenza e del suo sapere i soli mezzi per sopravvivere, scardinando con caparbietà e sicurezza le regole del suo tempo.
Concludiamo con un video del professor Alessandro Barbero che include la biografia di Cristina da Pizzano nel suo libro “Donne, madonne, mercanti e cavalieri. Sei storie medievali” e ce la racconta durante la conferenza del Festival della Mente 2012 di Sarzana
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