Donne del mistero, tra Letteratura Nordica, Leggende e Realtà Medievale

Un articolo di Erica Innocenzi.

La donna nei tempi antichi veniva considerata il ponte tra gli uomini e gli dèi, fu sibilla, veggente, sacerdotessa e nel Medioevo venne additata come strega. Questo articolo si propone di dar voce a tutte quelle figure femminili che sono rimaste nell’ombra, cercando di analizzare testi della letteratura norrena, antiche leggende ed alcuni importanti documenti altomedievali.

Già Tacito nella sua  “Germania” (I secolo d.C.), prima di riferire della profetessa Veleda della tribù germanica dei Bructeri, narra che:“Inesse quin etiam sanctum aliquid et providum putant, nec aut consilia earum aspernantur aut responsa neglegunt” (Ritengono anche che nelle donne vi sia qualcosa di sacro e profetico e non disprezzano i loro consigli né trascurano i loro responsi).

Veleda era venerata quasi come una dèa per le sue grandi doti divinatorie, famosa presso i germani e i romani per essere stata implicata politicamente nella rivolta dei Batavi nel 69 d.C., come ricorda anche Tacito, nel capitolo VIII. La sollevazione era stata fomentata dal prefetto Giulio Civile, il quale voleva impedire che le truppe stanziate sul Reno giungessero verso l’Italia unendosi alle milizie di Vitellio per scontrarsi con quelle di Vespasiano. Allora il prefetto Civile, già sostenuto da molti germani, inviò presso l’alta torre dove dimorava Veleda, in segno d’onore,  un legato di una legione ed altri doni. Il tumulto venne domato e nel 77-78 d.C. la donna venne catturata e forse condotta a Roma. In un’iscrizione greca in forma di oracolo, rinvenuta ad Ardea, in Grecia nel 1926 si legge di una vergine: “onorata da coloro che bevono l’acqua del Reno”.

Il nome di Veleda evoca l’antico nordico völva “profetessa”, questo ci permette di fare un altro salto temporale, esattamente nel XIII secolo, epoca a cui si fa risalire la redazione del manoscritto contenente la Ljóða Edda o Edda Poetica, il Codex Regius. Questo antico testo è costituito da una raccolta di ventinove carmi, “La Profezia della Veggente” (Vǫluspá) è il primo di essi. Questa straordinaria profetessa viene risvegliata da Odino, affinché riveli tutta la sapienza nordica, i segreti passati e i destini del mondo.

Odino e Brunilde-757148Un’altra figura femminile di grandi doti profetiche è senza dubbio Sigrdrifa “colei che elargisce la vittoria”,  a lei si deve il nome del diciottesimo carme dell’Edda Antica, il Sigrdrífumál. Questo poema si apre proprio con il risveglio della donna, più esattamente della valchiria, punita da Odino per non aver eseguito i suoi ordini, condannata al sonno e al matrimonio, risvegliata da Sigurd (Sigfrido).

Ella, dopo essersi presentata, porge all’uomo un corno potorio, in cui vi è posto dell’idromele, la bevanda della memoria ed egli attende con impazienza che gli trasmetta la sua immensa saggezza. La valchiria inizia ad elencare una serie di consigli che il guerriero dovrà seguire, ma alla fine lo avverte che la sua vita presto si spegnerà ed inevitabilmente l’amaro destino si compirà. Il carme è mutilo ma secondo la Saga dei Völsunghi, Sigurd verrà ucciso per mano di Gothorm, fratellastro di Gunnar, Högni e Gudrun, figli di re Gjuki e Grimilde, meglio conosciuti come i Nibelunghi.

Anche Grimilde è un personaggio intriso di magia, infatti per legare Sigurd alla stirpe dei figli di Gjuki gli fece bere una bevanda incantata per far sì che perdesse la memoria e sposasse sua figlia Gudrun. Sigurd, secondo questa saga, era innamorato di Brunilde, confusa spesso con Sigrdrifa. Anche Brunilde viene descritta come abile nelle arti divinatorie, infatti Gudrun preoccupata per i suoi strani sogni si recherà presso di lei per chiedere consiglio.

Ma vi è traccia di donne dotate di arti magiche anche in leggende a noi più vicine?

La risposta è sì. Basti pensare alle sibille o alla leggenda legata alle origini del popolo longobardo, ma andiamo per gradi.

Tra le sibille le più popolari sono la sibilla Cumana, tramandata nell’Eneide, nel Paradiso di Dante e nel “Satyricon” di Petronio, il cui celeberrimo passo XLVIII viene addirittura inserito come epigrafe al “The Wasteland” di T. S.  Eliot :“…Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meisvidi in ampullapendere, et cum illi pueri dicerent:Σίβυλλα τί θέλεις; respondebat illa: ἀποθανεῖν θέλω” (…del resto io stesso ho visto con i miei occhi la Sibilla di Cuma che pendeva da un’ampolla, e i ragazzi le chiedevano: “Sibilla, che cosa vuoi?” e lei rispondeva: “Voglio morire”) e la sibilla Picena. E’ alla sibilla Picena o di Norcia, “la sapientissima sibilla” a cui si deve il nome dei Monti Sibillini (Appennino Umbro-Marchigiano). Spesso dotata dell’appellativo Regina, si diceva che chi riusciva a penetrare nella sua grotta sarebbe stato accolto in un mondo di immensi piaceri. Fin dall’antichità, risultano notizie di pellegrinaggi verso la sua caverna.

Sebbene non rientri nella lista delle dieci sibille di Varrone (Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia, Tiburtina), il primo a fare il suo nome fu Svetonio nella sua“De vita Caesarum”asserendo che presso la grotta della sibilla avvenne una veglia in onore di Vitellio Aulo (“In Appennini quidem iugis etiam pervigilium egit”). Inoltre anche Tibellio Pollione ricorda nella sua “Historia Augusta” che nel 268 Claudio il Gotico consultò l’oracolo degli Appennini (“item cum Appennino de se consuleret, responsum huius modi accepit”).

sibillaIl termine sibilla, secondo Varrone ha origine greco-eolica “σιος ( Θεός) e Βούλλα (Βουλή), cioè “manifestazione della volontà divina”, altri, invece sostengono venga dal latino Sibilus, la sua radice viene da  Sib Sif ,di probabile origine onomatopeica, indicava probabilmente il soffio, la voce o il suono che fuoriesce da una cavità, ma potrebbe anche essere attribuito al verso del serpente.

Per quanto riguarda la leggenda delle origini dei Longobardi, essa è riportata nella “Historia Langobardorum” dello storico Paolo Diacono. Nel mito, tramandato prima nell’ “Origo Gentis Langobardorum”,  sebbene  considerato da Diacono come  una “ridiculam fabulam”, spicca la figura della Regina e profetessa Gambara. Questo personaggio svolge un ruolo molto importante nel mito grazie alla sua interazione con la dea Frea (Frigg per il pantheon norreno). Il popolo longobardo era in guerra contro i Vandali, i quali pregarono Wotan (Godan, Odino) di donargli la vittoria, ma egli disse che avrebbe reso vincitori solamente chi al sorgere del sole avesse visto per primo. Allora Gambara, si recò presso la dea Frea per chiederle consiglio, ella le disse di riunire all’alba sul campo di battaglia tutti gli uomini e le donne con i capelli aggiustati come fossero lunghe barbe. Prima che il dio si svegliasse, la dea, come narra l’ “Origo Gentis Langobardorum”, particolare che invece viene tralasciato da Diacono, ruotò il letto verso est a favore dei Winili.

Quando si destò vide schierata quella moltitudine esclamò “chi sono questi dalle lunghe barbe?” la dea gli rispose “così come hai loro imposto un nome, concedigli anche la vittoria” ed è da questo momento, secondo la leggenda, che i Winili assunsero il nome di Longobardi.

Profetesse o streghe, leggenda o realtà? Il re dei Longobardi Rotari, definisce nel suo Editto, promulgato nel 643, l’origine del termine strega (> striga > strix) indicandola come “colei che divora gli uomini”. E’ un dato di non poca importanza il fatto che Rotari, inserisca nel suo Editto un riferimento alla pratica stregonesca. Anche Liutprando nelle sue Leggi (713-735) interviene sulla figura della strega o in long. masca. Ancora oggi la masca  è parte delle leggende italiane di area ligure e piemontese, ma in tutta Italia vi si possono ritrovare leggende tramandate fin dai secoli antichi riconducibili alla presenza di queste donne sapienti nelle arti “magiche”.

Chiudiamo il cerchio, come ha ricordato la medievalista Elena Percivaldi nel suo libro “La vita segreta nel Medioevo” : “il terrore per le streghe si diffuse a macchia d’olio a partire dalla seconda metà del Trecento, con la grande crisi seguita alla Peste Nera. Soprattutto nelle campagne ma anche nelle città le  streghe (il latino erano dette strigae o lamie) furono accusate in molti casi di scatenare le tempeste, di provocare la moria di uomini e di animali, di distruggere i raccolti e utilizzate come capri espiatori delle frequenti carestie o epidemie che imperversarono in quegli anni. Le streghe (salvo nei casi di accusa di eresia o stregoneria politica attribuita agli uomini) erano per la grande maggioranza donne, e i motivi erano vari […] a renderle tali contribuiva il fatto che nella società tradizionale, le donne erano di solito depositarie di “segreti” medici in grado di guarire dalle malattie e sapevano far nascere i bambini”.

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