Fiction e Storia: nemiche-amiche

di Federico Marangoni

Giovanni di Pietro Falloppi detto Giovanni da Modena, affresco dalla Cappella Bolognini a San Petronio, Bologna (ca.1410)
Giovanni di Pietro Falloppi detto Giovanni da Modena, affresco dalla Cappella Bolognini a San Petronio, Bologna (ca.1410)

Normandia, 6 giugno 1944.
Primissimo piano di un soldato americano…schizzi d’acqua in faccia…è su un mezzo da sbarco, stretto tra altri…si apre il portello e lui scende, e inizia a scaricare addosso ai nazisti tutti i proiettili del suo fucile mitragliatore rotante Vulcan…intanto squadriglie di droni teleguidati sorvolano la spiaggia bombardando le postazioni tedesche…i soldati sbarcati cadono a terra colpiti dai nemici, per poi rialzarsi perché il loro giubbetto antiproiettile di ultima generazione ha bloccato il colpo dei fucili tedeschi…

C’è qualcosa che non va in questa scena, no?
Non era così lo sbarco in “Salvate il soldato Ryan”, niente droni, né uniformi moderne, né armi differenti da quelle usate durante la seconda guerra mondiale. Eppure era un’opera di fantasia, teniamolo a mente, non un documentario, molto liberamente ispirata alle vicende di un sergente americano rimpatriato alla notizia della morte di tre suoi fratelli (non c’è mai stata alcuna missione di recupero, però!).
Ebbene, la sensazione che ho provato guardando i primi due episodi della fiction di Rai 1 “I Medici” è stata la stessa che avete probabilmente provato voi leggendo queste mie prime righe: stupore, via via unito ad un fondo crescente di disappunto.

Non ho intenzione di cimentarmi in una critica della sceneggiatura della fiction, anche perché sono dell’idea che, dal punto di vista della resa narrativa, sia meglio considerare la stagione nella sua interezza. Anzi, non mi è dispiaciuta in fondo. Certo è, però, che già dalla sua anteprima a Firenze a inizio ottobre voci autorevoli del calibro del professor Franco Cardini, avevano espresso perplessità per l’uso decisamente disinvolto delle vicende storiche che, lecitamente, ci si aspettava fossero più vicine al vero, di questo nuovo prodotto Rai, lodato, decantato e venduto in giro per il mondo.

Ottaviano Nelli (1410-1420) Chiesa di sant'Agostino a Gubbio. Agostino sbarca a Ostia
Ottaviano Nelli (1410-1420) Chiesa di sant’Agostino a Gubbio.
Agostino sbarca a Ostia

Ma io mi occupo di storia del costume (attraverso i documenti e le iconografie) e lascio ad altri l’onere di elencare l’incoerenza delle date o delle scelte narrative, che spostano concilii da Pisa a Roma o fanno passar a miglior vita con uva avvelenata colta in una piacevole giornata di fine estate, personaggi storicamente morti in febbraio.

Ebbene, inutile tenere alta la suspense: le scelte costumistiche operate da chi si è occupato di questa fiction mi hanno deluso, e non poco. E non parlo della realizzazione tecnica, ma della loro progettazione.
Facile dire il perché.
Gli eventi descritti si svolgono su due filoni narrativi, uno ambientato nei mesi successivi la morte di Giovanni di Bicci de’ Medici, capostipite della famiglia che legherà il suo nome a Firenze, avvenuta nel 1429, e l’altro vent’anni prima, all’epoca dell’elezione a papa di Giovanni XXIII, al secolo Baldassarre Cossa, sostenuto da Giovanni alla cui causa mette al lavoro i due figli Cosimo e Lorenzo (non il Magnifico, però).

Siamo quindi entro la prima metà del ‘400, appena trascorso il primo quarto del secolo, ma dopo che le didascalie scompaiono tutti lo dimenticano: autori, costumisti e sceneggiatori. I personaggi principali, Cosimo, suo fratello Lorenzo, lo stesso Giovanni, indossano abiti e sopravvesti tipiche del secondo Quattrocento, peraltro approssimate e appiattite da un uso del colore che, a mio parere, penalizza non solo l’epoca ma gli stessi attori.

Particolare della Predella di Quarate: Adorazione dei Magi (1426-32 ca.), Paolo Uccello, Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte a Firenze
Particolare della Predella di Quarate: Adorazione dei Magi (1426-32 ca.), Paolo Uccello, Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte a Firenze

Gli indumenti che subiscono le maggiori variazioni sono quelli dei due fratelli de’ Medici, che cambiano leggermente di foggia tra il 1410 e il 1430: negli anni giovanili (Cosimo è nato nel 1389, quindi ha 21 anni) indossano farsetti alla moda della metà del ‘400, con sbuffi non particolarmente ampi sulle spalle e lunghezza appena alla vita.

Non mancano anche in questo caso imprecisioni notevoli: l’uso di modernissimi pantaloni invece delle calze separate è quello più evidente, un serio problema che nessuno nel cinema affronta mai, ma non ci si spiega perché nella scena di Cosimo nel Pantheon (ambientata nel 1409-10) il farsetto indossato segua improvvisamente le forme dell’ultimo ventennio del secolo, con manica aderente e abbondanti aperture alla spalla e al gomito. 60 anni di differenza anche nel ‘400 contano qualcosa sul piano della moda! E comunque perché cambiare stile all’interno dello stesso filone cronologico?

Cosimo, interpretato da Richard Madden, al Pantheon nella prima puntata de I Medici, indossa un farsetto di stile molto più tardo.
Cosimo, interpretato da Richard Madden, al Pantheon nella prima puntata de I Medici, indossa un farsetto di stile molto più tardo.

Quando poi si passa al 1430, dopo la morte di Giovanni, il costumista sceglie di connotare con abiti pienamente cinquecenteschi tutti i personaggi, mostrando Cosimo e il fratello, ma anche l’antagonista Albizzi, in sontuosi abiti foderati di pelliccia (sempre foderati di pelliccia, anche nella stagione estiva!!! dimenticando che anche nel medioevo-rinascimento, nonostante la pelliccia fosse uno status symbol, si soffriva il caldo, e quindi in estate si usava la seta per foderare le sopravvesti) che riproducono i volumi non del primo Quattrocento, umanista ed esuberante, ma del pieno ‘500, tronfio e mascolino: l’Albizzi con la sua sopravveste gonfia di pelo pare Enrico VIII ritratto dall’Holbein un secolo (diconsi anni cento!!!) dopo.

Rinaldo degli Albizzi (interpretato da Lex Shrapnel) in una scena dalla prima puntata della serie tv "I Medici".
Rinaldo degli Albizzi (interpretato da Lex Shrapnel) in una scena dalla prima puntata della serie tv “I Medici”.

Immaginate di guardare un film su Garibaldi e di trovarlo vestito da soldato della seconda guerra mondiale…

Ma il diavolo è nei dettagli: e così si notano maniche montate al contrario (quelle del figlio di Cosimo), lattughe da collo (quelle increspature che da fine ‘400 arricchiscono i colli e i polsi delle camicie) che spuntano dalle vesti, o ancora peggio dalle sopravvesti, queste ultime spesso indossate senza strato intermedio – un errore grave se si mostra un personaggio ricco in pubblico (addirittura a consiglio cittadino!) che avrebbe sempre indossato camicia+veste+sopravveste. Immaginate di vedere il Presidente del Consiglio in Parlamento in canottiera cravatta e giacca, senza camicia…ridicolo!

Lorenzo a sinistra e Cosimo a destra durante una seduta del consiglio nella prima puntata de I Medici. La sopravveste indossata sopra la camicia.
Lorenzo a sinistra e Cosimo a destra durante una seduta del consiglio nella prima puntata de I Medici. La sopravveste indossata sopra la camicia.

E poi si notano, impossibile tacerlo, spade rinascimentali portate sulla schiena come Conan il Barbaro, e guardie cittadine con armature di piastra malamente indossate, ma strutturalmente migliori di quelle dei grandi nobili Albizzi, che portano qualche misera pettorina di cuoio borchiato, nell’epoca in cui stava fiorendo l’armatura di piastra metallica a copertura di tutto il corpo del cavaliere.

Insomma, come l’insigne costumista Alessandro Lai afferma in una intervista, lo scopo della rappresentazione costumistica di questa fiction NON è il realismo.
Obiettivo centrato, senza dubbio, però secondo me è un peccato!

E ne do ragione: per quanto il cinema sia una forma d’arte, e come tale vada presa, ci sono dei sottintesi, delle tacite relazioni che si creano tra lo spettatore e chi realizza l’opera.
Lo spettatore comune, di fronte ad un’opera che tratta di personaggi storici si aspetta una rappresentazione, non certo fedele al 100% (di per sé impossibile, sono il primo ad ammetterlo) ma almeno verosimile e corretta nelle sue forme essenziali.

In questo caso c’è, invece una confusione (almeno mi auguro che sia tale, altrimenti dovrebbe essere definita semplicemente ignoranza, anche se alcune frasi rilasciate nelle interviste mi fanno titubare) evidente e voluta tra due epoche: il Medioevo in cui storicamente si sono svolti gli eventi – perché tale è l’inizio del ‘400 soprattutto dal punto di vista del costume – e il Rinascimento stereotipato che viene mostrato ai turisti giapponesi cinesi ed americani che affollano Ponte Vecchio e Piazza della Signoria ogni anno..
Il Rinascimento delle arti, quello di Lorenzo il Magnifico, di Botticelli e Michelangelo; il Rinascimento che è tanto piaciuto al pubblico dei Borgia a cui questa fiction strizza spesso l’occhio.

Scena negli studi privati dei Medici. Alla parete "Storie di Amore e Psiche", Giulio Romano e aiuti (1527-28), Mantova, Palazzo Tè, Sala di Psiche
Scena negli studi privati dei Medici. Alla parete “Storie di Amore e Psiche”, Giulio Romano e aiuti (1527-28), Mantova, Palazzo Tè, Sala di Psiche

Ma perché ingannare lo spettatore in maniera così irrispettosa? Perché allestire stanze private e sale del consiglio con affreschi che saranno realizzati un secolo dopo, e in alcuni casi nemmeno a Firenze?
Si vedano gli affreschi del Perugino nel Collegio del Cambio a Perugia datati al 1496 circa e di Giulio Romano del 1528 a Mantova inquadrati nelle stanze private dei Medici, e quelli del Vasari del 1560 (!!!) raffigurati sulle pareti della sala del consiglio nella fiction. Proprio questi ultimi possono ancora essere ammirati nel Salone del Cinquecento in Palazzo Vecchio, ma vennero realizzati per Cosimo I duca di Toscana…non è che qualcuno si è confuso i Cosimi?

Non trovo sia una giustificazione sufficiente la licenza artistica, né mi pare corretto assolvere la produzione sulla base dello share, perché tale risultato è derivato dall’attesa di un pubblico ingannato dai trailer, che avevano persuaso perfino il sottoscritto si trattasse di una fiction dedicata a Lorenzo il Magnifico. La presenza di Dustin Hoffman, la sigla di Skin, i mezzi di una produzione internazionale potevano essere trasformati in un prodotto (perché tale è e così va considerato, senza polemiche) che unisse il rendimento materiale ad un arricchimento culturale (tant’è che l’opera vanta anche patrocinii se non contributi pubblici).

Bastava fare qualche ricerca in più, e nemmeno negli archivi, ma su wikipedia, per correggere gli errori più pacchiani, tra cui, concedetemi questa ultima stoccata, la facciata di Santa Maria del Fiore mostrata nella sigla e nella fiction nel suo aspetto attuale che è di fine Ottocento (a me fu spiegato in quarta superiore e non credo che il mio professore avesse fatto molte variazioni al programma ministeriale!) e per fornire allo spettatore un mezzo piacevole e meno accademico di apprendimento.

Alla fine è stato creato l’ennesimo spot turistico, che rinsalda, invece di scalzare, i vecchi luoghi comuni e non è concettualmente diverso da quelli della Mulino Bianco: c’è forse qualcuno che pensa che Banderas impasti personalmente tutti i biscotti che troviamo al supermercato? Forse alla fine le fiction storiche vanno guardate con lo stesso filtro.

E probabilmente è vero quello che è riportato nei titoli in chiusura di puntata, una flebile scusante di chi ha forse un po’ la coda di paglia:  “Seppur ispirata a fatti realmente accaduti, nomi eventi e personaggi presenti nella fiction sono di fantasia, frutto delle libera espressione artistica degli autori e pertanto ogni riferimento a fatti luoghi e persone realmente esistenti è del tutto casuale.”

Così è, se vi pare!

Federico Marangoni si occupa di costume storico dal punto di vista ricostruttivo, documentale e iconografico. È autore ed ideatore della Collana “I Quaderni di Rievocazione” editi dalla casa editrice Il Cerchio di Rimini, dedicati alla storia del costume maschile e femminile in Italia tra il XIII e il XVI secolo.
È consulente di enti ed associazioni storiche per l’organizzazione di manifestazioni di ricostruzione storica, organizza stage e seminari sulla storia del costume ed ha collaborato con alcuni programmi televisivi andati in onda per Rai e History Channel. È Responsabile Nazionale per i settori della Scherma Storica e della Rievocazione Storica dell’Associazione Italiana Cultura e Sport, e presidente dell’associazione storico-culturale “Società dei Vai” con la quale ha vinto nel 2015 il Premio Italia Medievale

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