“Santa Lucia il giorno più corto che ci sia” – ovvero la festa della Luce

Il vecchio proverbio è, come sappiamo, inesatto, poiché il giorno più corto nel nostro emisfero non è il 13 dicembre (S. Lucia), ma il 21 o 22 dicembre Solstizio d’Inverno.

Siccome i proverbi sono però la sapienza dei popoli, e hanno perciò origini molto antiche, anche il detto di S. Lucia ha delle buone ragioni dalla sua parte.

Infatti fino a 600 anni fa il 13 dicembre era proprio il solstizio invernale, e quindi il giorno più corto dell’anno.
Come ben noto, Giulio Cesare, celebre per le imprese belliche, introdusse nel 46 a. C. anche un’importantissima riforma del calendario. L’anno solare, con buona approssimazione secondo i calcoli degli astronomi alessandrini, venne fissato in 365 giorni e 6 ore. Poiché il calendario considera solo i giorni, le 6 ore venivano recuperate ogni 4 anni con l’aggiunta del giorno bisestile. Come ancor oggi avviene.

Nel corso dei secoli ci si accorse però che gli equinozi non erano giusti: infatti il 21 marzo, in cui la luce del giorno doveva essere di 12 ore, come il buio della notte (aequa nox, cioè notte uguale al giorno da cui Equinozio), le ore di sole erano superiori di molto; in pratica il calendario segnava 21 marzo, ma le giornate erano quelle di aprile. Il calendario rimaneva indietro rispetto al moto terrestre.

Ecco perché intorno al 1450 il giorno di S. Lucia era “il giorno più corto che ci sia”. Si credeva di essere al 13 dicembre, ma in realtà si era già al 22 dicembre.

Per volontà di Papa Gregorio XIII nel 1582, dietro studi più accurati, si decise di riformare il calendario giuliano. L’anno risultava in effetti più corto di una decina di minuti (365 giorni, 5 ore, 48 minuti, 45 secondi) di quello che pensavano gli antichi alessandrini, per cui mentre la terra faceva il suo giro velocemente, il calendario rimaneva indietro, ogni anno di 11 minuti e 15 secondi.

Pochi in un anno, ma molti nello scorrere dei secoli; ogni 400 anni si restava indietro di circa 3 giorni.

calendario-gregoriano
Calendario-gregoriano

Per prima cosa si corresse l’errore del passato, cancellando 10 giorni dal calendario, per raggiungere così anche sulla carta il corso del sole (della terra in realtà).

Così nel 1582 dal 4 ottobre (festa di S. Francesco) si passò subito al 15 ottobre; per cui i giorni 5, 6, 7 … 14 ottobre 1582 non sono mai esistiti.

Ogni 4 anni rimase il giorno bisestile; ma per evitare di rimanere di nuovo indietro, tra gli anni centenari (1600, 1700, 1800, 1900, 2000, etc.), di per sé tutti bisestili perché tutti divisibili per 4, dovevano essere bisestili solo quelli le cui due prime cifre erano divisibili per 4, e cioè il 16 (il 1600 fu un anno bisestile) e il 20 (il 2000 è stato un anno bisestile); non furono bisestili invece il 17 (1700), il 18 (1800) e il 19 (1900).

Incredibile a dirsi, ma non tutti accolsero subito il calendario gregoriano. I protestanti e gli ortodossi, per opposizione alla chiesa cattolica, continuarono col calendario giuliano. Ma poi i protestanti lo accettarono nel XVIII secolo. Gli ortodossi invece ancora nelle loro festività seguono il calendario giuliano, indietro ormai di 12 giorni.

È interessante notare che la Rivoluzione d’ottobre in Russia avvenne il 24/25 ottobre 1917; ma con Lenin, che adottò il calendario gregoriano, venne a cadere il 7 novembre. Per cui è rimasto il nome di Rivoluzione d’ottobre, ma festeggiata fino alla caduta dell’URSS, di novembre.

Per un motivo analogo, S. Lucia non è il giorno più corto che ci sia. Ma lo è stato.

Rimane comunque il fatto che, sebbene non sia effettivamente il giorno di illuminazione solare più breve, tra il 9 e il 16 dicembre in tutta Italia, vi è il tramonto più anticipato.

A Roma il sole il 13 dicembre tramonta alle 16:39 e a Milano alle 16:40.

Rimane la magia del Sole, che sembra morire e che ogni anno rinasce alzandosi sempre più alto nell’arco del cielo.

Tutte le tradizioni ne portano traccia e non potrebbe essere altrimenti. Santa Lucia, a cui nella tradizione cristiana è stato dedicato il 13 dicembre, non è certo stata scelta a caso. Nel suo nome rimane la parola Luce a nascondere, ma anche svelare, il vero senso di questo giorno, soprattutto per i popoli del nord.

La Santa e la Luce

Francesco del Cossa, Santa Lucia, 1473-74, tempera su tavola
Francesco del Cossa, Santa Lucia, 1473-74, tempera su tavola

Santa Lucia fu martire cristiana sotto Diocleziano, nel 304, nella città di Siracusa. La prima e fondamentale testimonianza sull’esistenza di Lucia ci è data da un’iscrizione greca scoperta nel giugno del 1894 dal professor Paolo Orsi nella catacomba di San Giovanni, la più importante di Siracusa: essa ci mostra che, già alla fine del quarto secolo o all’inizio del quinto, un siracusano, come si deduce dall’epigrafe alla moglie Euschia, nutriva una forte e tenerissima devozione per la “sua” santa Lucia, il cui anniversario era già commemorato da una festa liturgica. Tale iscrizione è stata trovata su una sepoltura del pavimento, incisa su una lapide quadrata di marmo, misurante cm 24×22 e avente uno spessore di cm 3, tagliata irregolarmente. Ne riportiamo il testo.

« Euschia, irreprensibile, vissuta buona e pura per circa 25 anni, morì nella festa della mia santa Lucia, per la quale non vi è elogio come conviene. Cristiana, fedele, perfetta, riconoscente a suo marito di una viva gratitudine. »

Di santa Lucia sembra esistere a Siracusa il «loculo», cioè la tomba primitiva, sulla quale sorse una chiesa, rifatta poi nel Seicento. Inoltre esistono iscrizioni, che testimoniano una remota e fervida devozione per la Martire e un culto liturgico già stabilito dai primi secoli. Infine, esiste una di quelle “Passioni“, molto tarde, con le quali la devozione dei fedeli ha ricamato di fantasia, sopra un canovaccio certamente storico.

I racconti, che risalgono al periodo normanno e non hanno riscontri storici, narrano di una giovane, orfana di padre, appartenente ad una ricca famiglia di Syracusæ, che era stata promessa in sposa a un pagano. La madre di Lucia, Eutichia, da anni ammalata di emorragie, aveva speso ingenti somme per curarsi, ma nulla le era giovato. Fu così che Lucia ed Eutichia, unendosi ad un pellegrinaggio di siracusani al sepolcro di sant’Agata, pregarono la martire catanese affinché intercedesse per la guarigione della donna. Durante la preghiera Lucia si assopì e vide in sogno Agata dirle: Lucia, perché chiedi a me ciò che puoi ottenere tu per tua madre? Nella visione Agata le preannunciava anche il martirio e il suo patronato sulla città. Ritornata a Syracusæ e costatata la guarigione di Eutichia, Lucia comunicò alla madre la sua ferma decisione di consacrarsi a Cristo e di donare tutti i suoi averi ai poveri. Il pretendente, insospettito e preoccupato nel vedere la desiderata sposa donare tutto il suo patrimonio, verificato il rifiuto di Lucia, la denunciò come cristiana. Erano infatti in vigore i decreti di persecuzione dei cristiani emanati dall’imperatore Diocleziano. Lucia sostenne un processo dinanzi all’arconte Pascasio, il racconto del quale attesta la fede e la fierezza di questa giovane donna nel proclamarsi cristiana. Minacciata di essere esposta tra le prostitute, Lucia rispose: “Il corpo si contamina solo se l’anima acconsente”. Il dialogo serrato tra lei ed il magistrato vide piuttosto ribaltarsi le posizioni, tanto da vedere Lucia quasi mettere in difficoltà l’Arconte. Pascasio dunque ordinò che la giovane fosse costretta con la forza, ma lei diventò miracolosamente così pesante, che né decine di uomini né la forza di buoi riuscirono a spostarla. Lucia allora fu sottoposta al supplizio del fuoco, ma ne rimase totalmente illesa, sicché infine, piegate le ginocchia, fu decapitata, o secondo le fonti latine, le fu infisso un pugnale in gola (jugulatio). Morì solo dopo aver ricevuto la Comunione e profetizzato la caduta di Diocleziano e la pace per la Chiesa.

Privo di ogni fondamento, e assente nelle molteplici narrazioni e tradizioni, almeno fino al secolo XV, pare anche l’episodio in cui Lucia si strappa o le vengono cavati gli occhi. L’emblema degli occhi sulla coppa, o sul piatto, sarebbe da ricollegarsi alla devozione popolare che l’ha sempre invocata protettrice della vista a motivo del suo nome Lucia (da Lux, luce).

Il martirio della santa è riportato anche nella celebre Legenda Aurea, scritta dal domenicano Jacopo da Varazze nel XIII secolo, un’agiografia riportante le storie dei 150 maggiori santi e martiri dell’epoca, e nelle Cronache di Norimberga un’opera compilatoria di Hartmann Schedel del 1493.

Santa Lucia in un corteo di sante, dal mosaico di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.
Santa Lucia in un corteo di sante, dal mosaico di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.

Santa Lucia nella Divina Commedia

La Luce evocata dal nome, il simbolismo degli occhi come organo di vista fisica, ma anche mistica, ne fanno non solo la protettrice della vista invocata contro cecità e malattie, ma anche allegoria dell'”illuminazione” dell’anima.

Nella Divina Commedia, Dante le riserva un ruolo molto importante.

Lo stesso Dante afferma nel suo Convivio (III-IX, 15) di aver subìto in gioventù una lunga e pericolosa alterazione agli occhi a causa delle prolungate letture, ottenendo poi guarigione per intercessione della santa siracusana. Gratitudine, speranza e ammirazione indussero quindi il sommo poeta ad attribuirle un ruolo fondamentale non soltanto nella sua vicenda personale, ma anche, allegoricamente e simbolicamente, in quella dell’umanità intera nel suo viaggio oltremondano descritto nella Divina Commedia.

Secondo Salvatore Greco Santa Lucia, nelle tre cantiche, diventa il simbolo della “grazia illuminante”, per la sua adesione al Vangelo sino al sacrificio di sé, dunque “via”, strumento per la salvezza eterna di ogni uomo, oltre che del Dante personaggio e uomo.

Santa Lucia porta Dante sulla soglia del Purgatorio. Acquerello di William Blake per la Divina Commedia
Santa Lucia porta Dante sulla soglia del Purgatorio. Acquerello di William Blake per la Divina Commedia

Questa interpretazione religiosa della personalità storica della vergine siracusana, quale santa che illumina il cammino dell’uomo nella comprensione del Vangelo e nella fede in Cristo, risale già ai primi secoli della diffusione del suo culto. Così, infatti, l’hanno esaltata, promuovendone la devozione, papa Gregorio I, Giovanni Damasceno, Aldelmo di Malmesbury e tanti altri. Ed è a questa interpretazione della figura di santa Lucia che si collega Dante, in aspra e aperta polemica con il contesto storico di decadenza morale, politica, civile del suo tempo.

Se esaminiamo con attenzione la figura della martire nella Divina Commedia, si scorge in lei un personaggio che ci appare vivo e reale nel coniugare in sé qualità celestiali e umane allo stesso tempo. Su invito di Maria scende dall’Empireo, per avvertire Beatrice dello smarrimento di Dante e del conseguente pericolo che incombe su di lui:

« Questa [e cioè la “donna gentil”, Maria] chiese Lucia in suo dimando
e disse: Or ha bisogno il tuo fedele
di te, ed io a te lo raccomando.
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse… »
(Dante Alighieri, Inferno, II, 92-96)

A questo punto la santa si rivolge a Beatrice, la donna amata dal poeta, invitandola a soccorrere Dante personaggio prima che sia troppo tardi:

« Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
ch’uscì per te de la volgare schiera?
Non odi tu pietà del suo pianto?
Non vedi tu la morte che ‘l combatte
Su la fiumana ove ‘l mar non ha vanto? »
(Inferno, II, 103-108)

E ancora, nel secondo regno oltremondano, il Purgatorio, santa Lucia è creatura umana, materna nel prendere Dante assopito, dopo un colloquio con illustri personaggi in una località amena (la “Valletta dei Principi”), ed a condurlo alla porta d’ingresso del Purgatorio:

« Venne una donna e disse: I’ son Lucia
lasciatemi pigliar costui che dorme;
sì l’agevolerò per la sua via »
(Purgatorio, IX, 55-57)

E così, dopo averlo aiutato ad intraprendere il difficile cammino di salvezza, a seguito dello smarrimento nella “selva oscura”, lo mette in condizione di intraprendere il percorso della purificazione dei propri peccati. Anche qui Dante personaggio, per influsso senz’altro del Dante autore e uomo a lei “fedele”, accenna ancora una volta alla luminosa bellezza degli occhi della martire, non senza rimandi simbolici:

« Qui ti posò ma pria mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata aperta:
poi ella e ‘l sonno ad una se n’andaro »
(Purgatorio, IX, 61-63)

Infine, la vergine siracusana è spirito celeste, quando al termine del viaggio ultraterreno, nel Paradiso, Dante, su indicazione di S. Bernardo, la rivede nel primo cerchio dell’Empireo, accanto a sant’Anna e a san Giovanni Battista, nel trionfo della Chiesa da lei profetizzato durante il martirio:

« Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna,
tanto contenta di mirar sua figlia
che non move occhio per cantare osanna.
E contro al maggior padre di famiglia
siede Lucia, che mosse la tua donna,
quando chinavi, a ruinar, le ciglia »
(Paradiso, XXXII, 133-138)

Dante, raggiunta la pienezza della sua ascesa, associa questa volta significativamente la figura di S. Lucia a quella della Madre di Maria, S. Anna, collocandola di fronte ad Adamo, il capostipite del genere umano. Maria, Beatrice, Lucia sono le tre donne che hanno permesso, per volere divino, questo cammino di redenzione al personaggio Dante, ma tra di esse, la vergine siracusana rappresenta per il sommo poeta, l’ineludibile anello di congiunzione (e quindi il superamento) fra l’esperienza terrena del peccato e il provvidenziale cammino ascetico-contemplativo dell’esperienza oltremondana.

Le tradizioni

I caratteristici frollini di Santa Lucia
I caratteristici frollini di Santa Lucia

La Santa è patrona di circa 50 comuni italiani, ma il suo culto e i festeggiamenti a lei dedicati coinvolgono moltissime altre località, dal nord al sud. In alcune città come Verona, Brescia, Bergamo, Cremona, Bologna la tradizione prevede che a partire da alcuni giorni prima fino al 13 dicembre vengano allestiti particolari mercatini, detti “Fiere di Santa Lucia”. In queste città la santa, aveva (e per chi rispetta la tradizione ha ancora) il ruolo di seguito affidato a Babbo Natale, portando doni nella notte tra il 12 e il 13 dicembre. Invece che con la slitta trainata da renne si muove con l’aiuto di un asinello e le vengono preparati biscotti e latte per ristorarsi.
Nei tempi passati, piuttosto di doni e giocattoli, Santa Lucia portava ai bambini dolcetti, caramelle e mandarini.

Verso il sud le tradizioni si concentrano piuttosto su processioni ed esposizioni dei simulacri della santa, spesso preziosissimi.
E’ ancora tradizione, al nord come al sud, far trovare al risveglio il “piatto di Santa Lucia” con le immancabili pastefrolle imbiancate di zucchero a velo.

Santa Lucia viene festeggiata anche in altre nazioni, tra cui Argentina, Austria, Brasile, Danimarca, Finlandia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Saint Lucia, Spagna (Tolosa), Malta (Santa Lucija Gozo).

In Svezia, Lucia è molto venerata, sia dalla chiesa cattolica, che da quella luterana. I bambini preparano biscotti e dolciumi (tra questi, delle focaccine allo zafferano e all’uvetta chiamate lussekatter) a partire dal 12 dicembre. La mattina del 13, la figlia maggiore della famiglia si alza ancor prima dell’alba e si veste con un lungo abito bianco legato in vita da una cintura rossa; la testa è ornata da una corona di foglie e da sette candele utili per vedere chiaramente nel buio. Le sorelle, che indossano una camicia bianca, simboleggiano le stelle. I maschi indossano cappelli di paglia e portano lunghi bastoni decorati con stelline. La bambina vestita come santa Lucia sveglia gli altri membri della famiglia e serve loro i biscotti cucinati il giorno precedente.

Nel paese scandinavo è diffusa una tradizionale canzone di santa Lucia (Luciasången) che non è altro che la celebre “Santa Lucia” napoletana adattata con un testo in lingua svedese. In diverse città alcune bambine sfilano vestite come santa Lucia intonando il Luciasången di casa in casa.

Ogni anno viene eletta la Lucia di Svezia che raggiungerà la città siciliana di Siracusa per partecipare alla processione dell’ottava, in cui il simulacro di santa Lucia viene ricondotto in Duomo.

 Bibliografia

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  • René Du Mesnil de Maricourt, Lucia, Edizioni Paoline (originale del 1858) rivisto da Ampelio Crema nel 1982
  • Elena Bergadano, Lucia: vergine e martire di Siracusa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1989
  • Cosimo Vincenzo Morleo, Il Santuario di Santa Lucia in Erchie, 1992
  • Battilana Rossana, Santa Lucia: 13 dicembre, Benedettina Editrice, Parma 1996
  • Alfio Caltabiano, Santa Luciuzza bedda Patruna di Carruntini, Casa Editrice Ma.Va. 2000
  • Sebastiano Amenta, Santa Lucia. La tradizione popolare a Siracusa e a Carlentini, Eurografica 2000.
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  • Pasquale Magnano, Lucia di Siracusa, Edizioni ASCA, Siracusa 2004.
  • Mariarita Sgarlata, La Catacomba di Santa Lucia e l’Oratorio dei Quaranta Martiri, Siracusa 2006.
  • Benito Aprile, I Manifesti dei Festeggiamenti di Santa Lucia in Italia, Siracusa 2005
  • Benito Aprile, I manifesti dei festeggiamenti di Santa Lucia nel Mondo, Siracusa 2010 e 2011
  • Diego Gimondi e Salvatore Greco,Santa Lucia. Tradizioni brembane e siracusane, Ferrari Editore (Clusone, Bergamo) 2005
  • SANTA LUCIA NELLA DIVINA COMMEDIA. LA SPERANZA, LA GRAZIA ILLUMINANTE E L’AQUILA DI GIUSTIZIA
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