E’ di pochi giorni fa la notizia di una ricerca dall‘Istituto di Archeologia ed Etnografia, presso la Sede siberiana dell’Accademia Russa delle Scienze, per determinare le tecniche chirurgiche utilizzate nella trapanazione cranica di individui vissuti tra 2300 e 2500 anni fa.
Alcuni neurochirurghi hanno lavorato in equipe con antropologi e archeologi in seguito alla scoperta di fori nei crani di tre antichi gruppi di resti nelle montagne Altai.
Tracce di taglio della (a) prima e seconda (b) fase della trapanazione sul cranio maschile Kyzyl-Dzar-V.
Foto: Alexei Krivoshapkin
Le evidenze suggerivano esempi di trapanazione – la più antica forma di neurochirurgia – inducendo l’osservazione che gli antichi nomadi conoscessero le tecniche dei più famosi centri medici del mondo antico, o che le avessero scoperte simultaneamente a medici famosi di Grecia e il Medio Oriente, come Ippocrate, vissuto tra il 460 e il 377 a.C. Il neurochirurgo Aleksei Krivoshapkin di Novosibirsk , cui è stato chiesto di esaminare i teschi, ha dichiarato: “Onestamente, sono stupito. Abbiamo il sospetto che al tempo di Ippocrate, la popolazione dell’Altai fosse capace di diagnosi molto fini e di eseguire trapanazioni e interventi chirurgici al cervello. “
Chirurgia archeologica sperimentale
Per studiare la procedura in dettaglio, un team di esperti ha eseguito l’esame dei teschi e la realizzazione di una serie di test per ricreare un ambulatorio di 2000 anni fa.
Si è constatato che la trapanazione è stata condotta in due fasi. Innanzitutto, un utensile tagliente ha rimosso lo strato superficiale di osso accuratamente, senza perforare il cranio stesso. Poi, con movimenti brevi e frequenti, è stato ritagliato un foro nel cranio.
Il Professor Krivoshapkin ha detto: “Tutte e tre le trapanazioni sono state eseguite mediante raschiatura. Dalle tracce sulla superficie dei teschi studiati, si può ricavare la sequenza di azioni dei chirurghi durante le operazioni. Si vede chiaramente che gli antichi chirurghi erano molto precisi e sicuri nei loro movimenti, senza tracce di involontarie scheggiature, che sono del tutto naturali quando si taglia l’osso.”
Gli archeologi non hanno ancora scoperto alcuno strumento medico dedicato, ma in quasi tutte le tombe di quest’epoca – a prescindere dalla condizione sociale – sono stati trovati coltelli di bronzo. L’esame dei crani rivela che un solo un strumento è stato utilizzato per tutti gli interventi e si sospetta che potrebbe essere anch’esso un coltello di bronzo.
Krivoshapkin ha provato su un cranio una lama Tagar, tipica della regione, presa in prestito dal museo Minusinsk ma è risultato essere un intervento chirurgico non idoneo. Una replica di un coltello di bronzo dell’epoca è stato in seguito prodotto con elementi moderni dall’archeologo Andrei Borodovsky, il quale afferma: “Ho scelto una lega di ottone composta di rame, stagno e zinco dopo il fallimento con il coltello Tagar, che si è rivelato essere troppo morbido per tale chirurgia. La lama a mala pena girava. La nostra copia moderna in ottone si è comportata molto bene. Penso che sia importante ricordare che qui nel V secolo a.C. Altai era un grande centro per la produzione di osso lavorato. La gente era tutta molto abile nella produzione di diversi oggetti da ossa animali. Lavorando con le ossa animali, hanno capito i principi di manipolazione di tale materiale e successivamente questo li ha aiutati ad affrontare tali interventi chirurgici complessi.”
L’articolo conclude osservando che rimane aperto ancora un interrogativo sull’uso degli analgesici utilizzati durante e dopo l’intervento, ipotizzando l’uso della Cannabis.
Commento
Il nostro commento relativamente all’articolo si basa su due considerazioni.
La prima è l’interessante approccio sperimentale, per quanto discutibile sia la riproduzione di un oggetto in materiale non conforme ai ritrovamenti. Del resto, fuori dall’Italia, l’approccio attraverso l’archeologia sperimentale per risolvere qualsivoglia dubbio di analisi e comprensione dei reperti è di routine.
Il secondo punto è di ordine più “filosofico”. Lo stupore che si avverte ancora in ogni parte del globo di fronte alle capacità degli antichi di eseguire attività alla nostra portata è a nostro avviso deprimente.
Riteniamo di essere al vertice di ogni tipo di conoscenza ed è assolutamente diffusa, in ogni classe e paese, la convinzione che i nostri progenitori siano stati sostanzialmente degli inetti.
Chi scrive è convinto che le capacità tecniche siano state semplicemente “diverse” come dimostra del resto la capacità di produrre manufatti che noi non siamo in grado di replicare: da alcune tecniche orafe etrusche alle monumentali costruzioni in pietra disseminate sul globo.
Nel caso specifico questo stupore è davvero fuori luogo.
Neurochirurgia dall’età della Pietra in poi
Chi pensasse che la Neurochirurgia, essendo essa una disciplina specialistica, derivata dalla matrice comune “chirurgia generale”, sia nata in tempi recenti, si sbaglierebbe. Infatti, essa è, forse, la più antica e praticata arte medica di cui si abbia datazione certa. Reperti archeologici, anche di recentissimo scavo, la fanno datare ai primi del Mesolitico, periodo preistorico posto alla metà della “Età della Pietra”, circa 10.000 anni prima della nascita di Cristo (12.000 anni fa!).
Come è logico attendersi, questi primi interventi di neurochirurgia endocranica (di spinale non si ha menzione) si limitarono a procedure di trapanazione (dal greco trupanon, trapano) del cranio.
In tempi più vicini a noi, la trapanazione cranica fu praticata nell’antico Egitto, presso i Greci ed i Romani, nell’Europa celtica ed in Asia, soprattutto in India e Cina. Non era sconosciuta nelle civiltà precolombiane e agli indios brasiliani, così come in tutta l’Africa del Centro-Nord.
Dal Medioevo al XVII secolo, poi, la pratica della trapanazione fu comune in tutta Europa.
Nel 1962, la studiosa francese Denise Ferembach riportava, in una pubblicazione del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) di Parigi, i risultati di una ricerca svolta, per conto dello stesso CNRS, in un paesino delle montagne del Marocco orientale: Taforalt. Qui, all’ingresso della valle di Zegzel, a 3 km dal paese, nella necropoli posta all’interno della caverna detta “del Piccione”, fu rinvenuto un cranio, databile al Mesolitico, più precisamente all’Ateriano o all’Iberomaurusiano (10.000 anni circa prima di Cristo). Il cranio presentava segni di perforazione. Trattasi, quasi certamente, del più antico riscontro di chirurgia cranica.
Durante lo studio dei resti fossili di 14 soggetti svolto presso gli scavi delle necropoli di Dnieper Rapids, nella regione di Saratov (Kiev, Ucraina), e precisamente nel campo Vasiljievska II, fu scoperto lo scheletro (n. 6285-9) il cui cranio mostrava segni evidenti di trapanazione. L’esame alradiocarbonio faceva datare il reperto tra il 7300 e il 6220 a.C.
Trattavasi di un uomo adulto, dell’apparente età di 50 anni, il cui cranio presentava una depressione sul lato sinistro con i bordi ossei in rilievo e una scalinatura nel centro, segni evidenti di cicatrizzazione durante la vita. La completa chiusura della breccia ossea era dimostrazione che l’uomo era sopravvissuto, e per lungo tempo, all’intervento.
Di poco “più giovane”, se così si può dire, è lo scheletro ritrovato negli scavi di Ensisheim nell’Alsazia (Francia). La sepoltura data 5100-4900 a.C. e contiene i resti di un uomo di circa 50 anni di età che presenta due trapanazioni craniche. La prima, in area frontale, delle dimensioni di 6.6 x 6.1 cm, completamente cicatrizzata; la seconda, posteriore alla prima, chiusa solo parzialmente, date le sue enormi dimensioni (9.40 x 9.14 cm). Entrambe le trapanazioni sembrano essere state prodotte con la medesima tecnica: perforazioni dell’osso in più punti con lame di selce, unendo poi i punti con incisioni intersecantisi. Anche in questo caso, e ancora più del precedente, la presenza di neoformazioni ossee evidenti (una addirittura produce rimarginazione completa) depongono per un completo successo dell’intervento.
Sempre in Francia, ma questa volta nel distretto Seine-Oise-Marne, il ritrovamento di camere tombali, databili 2.000 a.C. circa, contenenti un gran numero di crani trapanati fa pensare che, presso queste popolazioni, questa pratica avesse, forse, un significato rituale. Sembra che, sulla base del numero dei crani ritrovati, la Francia sia stata un importante centro di “chirurgia cranica” negli anni dal 1.900 al 1.500 a.C.
Antecedenti di mille anni (3.000 a.C.) sono, invece, i ritrovamenti nell’area danubiana, abitata da uomini della razza Carpato-danubiana.
Per restare in Europa, numerosi i ritrovamenti di inumazioni di individui sottoposti a trapanazione anche in Italia.
Nel Nord, a S. Martino (LC), la tomba di una donna, databile all’Età del Bronzo (2200-1600 a.C) Nell’abitato di Catenaso (BO), in una delle due fosse “focolari”, databili alla tarda fase del villanoviano bolognese (Età del Ferro) fu rinvenuto un raro caso di trapanazione cranica eseguita nella nuca. Nel Centro-Sud, nella Grotta Patrizi (Sasso di Furbara – Roma) è stato rinvenuto uno scheletro, risultato affetto da varie patologie, con segni di trapanazione cranica. Negli scavi del villaggio di Catignano (PE) è il rinvenimento italiano forse più antico (4400-3900 a.C.): quello di una donna sopravvissuta a ben due trapanazioni craniche.
Nelle Isole, a Stretto-Partanna (TR) è stata segnalata una trapanazione cranica effettuata con uno strumento di pietra ben affilata. Probabilmente di ossidiana o forse di rame erano, invece, gli strumenti utilizzati in Sardegna, dove la pratica della trapanazione era ampiamente diffusa, soprattutto nella zona nord dell’isola (Alghero e Sassari), come dimostrano i ritrovamenti nella grotta di Sisaia (Dorgali, NU), inquadrabili al 1600 a.C., e le sepolture di Su Crucifissu Mannu (Porto Torres, SS). L’esito deve essere stato quasi sempre fausto, come dimostrano i numerosi processi di riossificazione riscontrati.
Tra le aree archeologiche più importanti è senz’altro da porsi quella della penisola di Paracas in Peru. L’area, prevalentemente desertica, posta in un comprensorio che comprende anche l’altopiano di Nazca, famoso per le sue misteriose “Linee”, e la città di Ica, sede un museo storico dove sono conservati molti reperti, è stata ampiamente studiata da un archeologo peruviano, Julio Tello. Egli ha rinvenuto numerose sepolture della civiltà pre-Inca Paracas (databile circa 4000 anni fa), ottimamente conservate grazie al processo di mummificazione, imputabile al clima secco del deserto. Tra i reperti ritrovati numerosi crani sottoposti a trapanazione ma anche deformati in varia misura. Le deformità sono attribuibili alla pratica, presso queste popolazioni, del rimodellamento cranico. Il cranio dell’infante era, cioé, costretto a crescere in uno stampo cilindrico/conico, applicato dalla nascita. La crudele procedura esitava in un modellamento bizzarro della scatola cranica che, a ossificazione completata, assumeva un aspetto piriforme. Le forme coniche furono usate per identificare l’appartenenza tribale del soggetto, cosicché esse differivano in modo significativo da tribù a tribù.
Nel Nuovo Mondo la trapanazione era una pratica ben conosciuta non solamente presso le popolazioni del Nord (reperti sono stati ritrovati negli stati USA del Maryland, della Georgia e del New Mexico, ma anche nella British Columbia canadese e persino in Alaska) ma anche, e soprattutto, presso le civiltà precolombiane Azteca, Maya, Zapoteca e, in particolare, quella Inca.
Nell’area Maya non vi sono casi certi di trapanazione, ma vestigia di abrasioni occipitali, da semplici assotigliamenti a perforazioni complete, tutte in via di guarigione, in crani di infanti (soprattutto nella zona nord della penisola dello Yucatan). Non è chiaro il perché di tali dolorose pratiche presso i Maya. Si suppone che l’abrasione cranica facesse parte di un piano di rimodellamento del cranio, come peraltro già riscontrato in ritrovamenti peruviani.
Centinaia di crani rinvenuti nelle tombe delle altre civiltà precolombiane mostrano, invece, una o più perforazioni. Le tecniche, oltre alla abrasione (senza dubbio la prima documentata), comprendevano l’incisione, la perforazione, il taglio con la sega o l’incisione a linee rettangolari intersecantisi, che risulta quella utilizzata più frequentemente.
Se il trauma cranico era così esteso da sconsigliare la trapanazione, la parte lesionata del cranio veniva protetta da uno strato protettivo costruito in due possibili modalità: mescolando insieme piume, resina e bianco d’uovo oppure utilizzando ceneri animali, sangue e bianco d’uovo.
Gli strumenti chirurgici utilizzati dai medici Inca per la trapanazione cranica, chiamati “tumi”, consistevano in coltelli, seghe e scalpelli fatti, nei tempi più antichi, di selce od ossidiana, e poi di metallo (oro, rame, bronzo o ferro) temprato. Il tipico tumi era costituito da una lama a mezzaluna molto affilata agganciata ad un manico metallico, spesso abbellito con figure animali o umane. I margini del tumi potevano anche essere seghettati. Lo strumentario era completato da scalpelli, perforatori e piccoli trapani, preferenzialmente in bronzo. Tutti questi strumenti sono stati spesso raffigurati, incisi o dipinti, sul vasellame della civiltà Mochica nel nord del Peru (III e VI secolo d.C.).
Nella maggioranza dei casi (secondo le casistiche, dal 62,5 al 55.3% dei casi) l’intervento era efficace e consentiva al paziente una lunga sopravvivenza. Da ultimo, è noto che presso i Maya fosse in uso l’anestesia. Bevande alcooliche o varie preparazioni derivate dalla pianta della coca servivano a sopportare il dolore. Bisogna tuttavia ricordare che, nelle trapanazioni terapeutiche dopo trauma cranico, il paziente era il più delle volte anestetizzato … dal coma derivante dal trauma.
In Africa, reperti rinvenuti in Libia e Algeria e presso i Tibu del Tibesti (Etiopia), già descritti da Erodoto come i primitivi “Trogloditi Etiopi”, dimostrano come la pratica della trapanazione fosse diffusa anche in queste aree. In Kenia, poi, la trapanazione, probabilmente introdotta dagli Arabi, è ancora oggi praticata.
Nell’area che vide svilupparsi la civiltà dell’Antico Egitto, nonostante l’elevato numero di reperti, sono state trovate solo sei testimonianze di trapanazione cranica. Le più antiche sono sicuramente quella trovata a Sesebi (Sudan), datata al tempo della XVIII o XIX Dinastia (circa il 1200 a.C.) e quella di Saqqara (Egitto) datata XXV Dinastia (600 a.C.) . In quest’ultimo caso la trapanazione fu bilaterale.
Ma il contributo più importante allo sviluppo della neurochirurgia l’Antico Egitto lo diede nella persona del più grande medico Egiziano: Imhotep, che visse intorno al 2600 a.C.
Sacerdote, ufficiale, costruttore e architetto (è accreditato come l’artefice della piramide più antica, quella di Saqqara), visse alla corte del faraone Djoser della III Dinastia.
Considerato, quasi universalmente, il vero “Padre della Medicina”, Imhotep è ritenuto l’ispiratore del testo contenuto nel famoso papiro detto The Edwin Smith Surgical Papyrus. Il papiro, scritto attorno all’anno 1700 a.C., ma basato su testi più antichi di almeno 1000 anni, è considerato il primo trattato medico della storia dell’umanità. Il papiro, lungo 4.68 metri e largo 33 cm, contiene la descrizione di 48 casi clinici: 27 traumi cranici; 6 lesioni della gola e del capo; 2 della clavicola; 3 delle braccia; 8 dello sterno; 1 della spalla e 1 della colonna vertebrale. Ciascun caso è presentato in modo logico: Titolo, Esame, Diagnosi, Trattamento e Glossario.
Titolo: il tipo di lesione e la localizzazione.
Esame: il caso e il modo di esaminarlo (test del sensorio, esplorazione della ferita e del movimento della parte lesa).
Diagnosi: il medico ha tre scelte e si pronuncerà nel modo seguente: A) per le lesioni curabili – “Un disturbo che io tratterò”; B) per i casi difficili (il medico tenta la cura, ma l’esito non è certo) – “Un disturbo per il quale lotterò”; C) nei casi incurabili – “Un disturbo che non può essere trattato”.
Trattamento: bendaggi, cuciture, cauterizzazioni, gessi e steccaggi. L’occorrente chirurgico comprende, miele, grasso e garze.
Glossario
Certamente, dal momento che parte del testo è perduto – si interrompe bruscamente -, il papiro doveva essere più lungo, probabilmente almeno 5 metri. Al di là del valore storico e scientifico, questo documento è importante perché, nell’illustrare il caso n. 6 (una ferita cranica aperta, con frattura del cranio e apertura delle meningi), viene usata per la prima volta il termine “cervello” (« Brain » nell’originale traduzione inglese del dr. Breasted)
Altrettanto interessante è il caso n. 8: frattura del cranio con danni esterni non apprezzabili. Il paziente, però, lamentava emiparesi dal lato in cui era avvenuto il trauma (lesione da contraccolpo). Merito del chirurgo egizio è quello di aver individuato nel cervello l’organo di controllo del movimento. Il caso n. 22 tratta un caso di frattura cranica (osso temporale). La descrizione dell’afasia lamentata dal paziente precede di alcuni millenni quella descritta da Paul Broca nel 1861!
Infine i casi n. 31, 33 e 48 concernono la colonna vertebrale (dislocazioni, fratture, compressioni vertebrali). In papiro riporta la sintomatologia dolorosa e motoria riscontrabile in questi casi. E’ interessante notare tutti i casi citati, eccetto l’ultimo, sono descritti come “Un disturbo che non può essere trattato”.
In Asia, crani trapanati furono scoperti in Palestina (famoso quello di Gerico – 2000 a.C.) e in Siria (ma risalenti all’epoca pre-romana) e, anche se in casi molto più rari, in Afghanistan, in Pakistan, nel Kashmir e in Tibet. A fronte a questa scarsità di reperti, sta invece una ricca fioritura di racconti popolari sulla trapanazione diffusi in India nel 400 d.C. In uno di questi si narra che, nei tempi antichi, gli studenti si recavano a Taxilia (nel nord-ovest dell’India) per studiare scienze ed arti. A quel tempo viveva colà un famoso maestro _treya, luminare della medicina, che aveva come discepolo il principe J_vaka desideroso di apprendere “l’arte di aprire i crani“. Egli osservò il maestro estrarre un verme dal cranio di un paziente. Tornato in patria, praticò la trapanazione e estrasse da un cranio un centopiedi. La leggenda prosegue narrando che egli divenne poi medico personale di Siddharta (il Budda). J_vaka è certamente un personaggio celebre sia negli antichi testi che nel folklore buddisti.
La leggenda, portata ad est dai missionari buddisti, si arricchì, in Cina, di elementi (uso dell’agopuntura e dell’osservazione dei battiti del polso) che erano allora sconosciute in India.
Anche in Cina l’antica tradizione popolare narra (ma, anche in questo caso, i reperti obiettivi scarseggiano) che, nei tempi antichi (2700-110 a.C.), il medico Yü Fu fosse ritenuto maestro nell’esporre il cervello. Anche il grande chirurgo Hua Tuo, che visse durante la dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.), maestro in agopuntura, tanto da individuarne una intera linea (punti Huatuojiaji), scopritore dell’uso degli anestetici in chirurgia, fu accreditato della pratica della trapanazione. Narrano le storie che il maestro proponesse a Tshao, imperatore di Wei, la trapanazione cranica come cura delle sue ricorrenti cefalee, causate da un tumore da lui stesso diagnosticato. Purtroppo per lui i suoi nemici sparsero la voce che Hua volesse, in realtà, attentare alla vita dell’imperatore. Questi non solo rifiutò l’intervento ma, credendo alle accuse, lo fece decapitare.
Nel vicino Giappone e precisamente nell’isola di Hokkaido, si suppone che la tribù Ainu praticasse la trapanazione.
Nelle isole che costituiscono l’Oceania (maggiormente in Melanesia) la trapanazione era una pratica ben conosciuta ed utilizzata non solamente come cura della cefalea, della epilessia e della pazzia, ma anche come pratica per allungare la vita. In tempo di guerra, la trapanazione cranica era la cura per i traumi cranici, ma era utilizzata anche a scopo profilattico. Le donne, infatti, per evitare futuri danni da trauma, praticavano alcuni fori nella fronte dei bambini di 3-5 anni.
Infine, ricordiamo che segni di questa pratica si sono riscontrati anche nelle isole Canarie.
Riferimenti:
- CONOSCERE LA NEUROCHIRURGIA: LA STORIA a cura dello Staff della Clinica Neurochirurgica dell’Università di Pavia
- MISTERI E TECNICHE DELLA TRAPANAZIONE CRANICA NEL MONDO ANTICO: Intervista all’Antropologo Alejandro Ramirez
- Dunare N., 1960. La trépanation, une pratique chirurgicale empirique dans la vie pastorale
des Roumains. VI Congr. des Sc. Anthrop.et Ethnol., Roumanie. - Dunare N., 1961. Trepanation an den Schafen als Volksheilpraktikum in der Karpatiske Schäferei.
Slovensky Nàrodopis, IX, 4, Bratislava. - Germanà F., Fornaciari G., 1990. Un cranio trapanato di età moderna della Chiesa di S. Maria
della Grazia in Cosimo (Ragusa). Archivio per l’Antrop. e l’Etnol., Firenze. - Guiard E., 1930. La trépanation cranienne chez les néolithiques et les primitifs modernes. Paris.
- Lastres J.B., Cabieses F., 1960. La trepanacion del craneo en el antiquo Peru. Univ. Nac.
Mayor de San Marco, Lima. - Margetts E.L., s.d. Trapanation of the skull by medicine-men of primitive culture with particular
reference to present day native east African practice. In: Diseases antiquity, Illinois, U.S.A. - Pauluch A.,1970.Trepanacja lecznicza i magicza Europie. Archiw Wann Historii Medycyny,
XXXIII. - Schadewaldt H., 1983. Zur Geschichte der trepanation under besonderer Berucksichtigung der Scadel-Operationen bei den Kissu in Hochland Westkenias. Dusseldorfer Arbeiten zur Geschichte der Medizin, Band 57, Dusseldorfer.
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