I monti più alti della Siberia, al confine con la Russia, la Cina, la Mongolia, il Kazakistan sono gli Altaj (a circa 4.000 km da Mosca) noti anche come “montagne d’oro”. Secondo una delle tante ipotesi, il loro nome deriva dal mongolo “altan”, che significa “oro”.
Le riserve naturali Katunskij e Altajskij insieme al plateau Ukok sul territorio montuoso degli Altaj fanno parte del patrimonio mondiale dell’Unesco.
La storia dell’uomo moderno in Altaj è iniziata 3.000 anni fa. Le montagne del posto sono diventate punto di partenza della grande migrazione dei popoli: da qui provenivano le tribù note con il nome di Unni che sotto la guida di Attila presero Roma dando così inizio a una nuova era. Ai piedi delle colline dell’Altaj ha condotto le sue prime battaglie Gengis Khan. Di lì erano in seguito passate le carovane della Grande Via della Seta. Sulle “Montagne d’oro” è sempre vissuto qualcuno; anche prima di Attila, di Gengis Khan, degli imperatori russi e degli Sciti. Di recente, nella grotta Denisova sono stati ritrovati i resti di un uomo appartenente a un ceppo nuovo, mai studiato prima. L’homo di Denisova ha abitato l’Altaj circa 40.000 anni fa. Le tracce della prima civiltà nell’Altaj sono state ritrovate sul pianoro meridionale dell’Ukok. Qui, ad un’altitudine di più di 2.500 metri sul livello del mare, affondano nel permafrost i kurgan di Pazyryk.
Il termine “cultura kurgan” indica l’insieme di culture preistoriche e protostoriche dell’Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia, fino ai Monti Altaj e alla Mongolia occidentale), che usavano seppellire i morti di alto rango in tumuli funerari, edificati a partire dal 4000 a.C. circa e particolarmente nell’Età del Bronzo.
Dall’inizio del II millennio a.C. si possono riconoscere chiaramente varietà regionali derivate dalla cultura kurgan in tutta Europa; in Russia la tradizione del kurgan persistette a lungo.
Qualche volta i tumuli presentano strutture complesse con camere sotterranee. All’interno delle camere nel centro del kurgan, i membri di alto rango erano inumati con beni di lusso e offerte sacrificali, quali cavalli e carri da guerra.
Secondo il celeberrimo lavoro di Marija Gimbutas le caratteristiche della cultura kurgan propriamente detta identificano il nucleo dei Proto-indoeuropei.
I kurgan di cui ci occupiamo sono molto più tardi, sono sepolture di tipologia antica come quelle proto-europee ma si collocano tra il 600 e il 300 a.C. quindi nell’età del ferro di quest’area e sono stati rinvenuti sull’altipiano di Ukok, nel sito di Pazyryk, a sud della moderna città di Novosibirsk.
La popolazione di Pazyryk era costituita da cavalieri nomadi che intrattenevano commerci con Cina, India e Persia.
Le informazioni sulla loro cultura provengono totalmente dai ritrovamenti nei loro kurgan. Tra gli oggetti ritrovati sete cinesi, tappeti, mobili in legno, indumenti, uno specchio, una borsetta in pelliccia contenente semi di Cannabis, bruciaincensi, e resti di una tenda da fumigazione.
Questi ultimi oggetti rammentano i racconti di Erodoto relativi agli Sciti, nome utilizzato al’epoca per indicare un’ampia varietà di tribù.
Dopo i funerali gli Sciti si purificano come segue: si ungono la testa e poi se la insaponano e la lavano; per il resto del corpo procedono in questo modo: fissano a terra tre bastoni in piedi uno contro l’altro, vi stendono sopra coperte di lana, le serrano il più stretto possibile, poi in un catino piazzato in mezzo alle pertiche e sotto le coperte gettano pietre arroventate dal fuoco.
Nel loro paese cresce la canapa, pianta molto simile al lino, ma più grossa e più alta; caratteristiche che la rendono assai superiore. Cresce spontanea o coltivata e da essa i Traci ricavano anche dei tessuti molto simili a quelli di lino: e se uno non è molto esperto non riesce a distinguere se sono di lino o di canapa; chi non ha mai visto la canapa, poi, crederà senz’altro che il vestito sia di lino.
Dunque gli Sciti prendono i semi di canapa, si infilano sotto la tenda fatta di coperte e li gettano sulle pietre roventi; i semi gettati bruciano producendo un fumo che nessun bagno a vapore greco potrebbe superare.
(Erodoto, Historiae, IV, 73(2)-75)
Tra i numerosi ritrovamenti certamente il più conosciuto e intrigante è quello della cosiddetta Principessa Ukok o Principessa del Ghiaccio. Conservata nel terreno ghiacciato, la mummia della giovane donna di 25 anni permette di acquisire straordinarie informazioni sulla sua vita e sulla cultura del suo popolo.
La causa della morte
Gli scienziati siberiani che stanno esaminando la mummia hanno recentemente scoperto una delle cause probabili della prematura scomparsa. E’ stato ipotizzato che le tracce di cannabis trovate sulla mummia servivssero a permetterle di sopportare la malattia di cui soffriva, ma ci sembra più probabile, vista la descrizione erodotiana e la coincidenza con altri oggetti ritrovati (bracieri, tende da fumigazione) collegarne la presenza con le pratiche rituali funerarie.
La risonanza magnetica, effettuata a Novosibirsk dai Professori Andrey Letyagin e Andrey Savelov, ha rivelato che la giovane donna soffriva di osteomielite, un’infezione del midollo osseo che solitamente si sviluppa nel periodo infantile o durante l’adolescenza.
Ma le analisi dei ricercatori hanno evidenziato anche che all’incirca intorno ai 20 anni di età, la principessa Ukok si ammalò di cancro al seno. Si trattava di un tumore primario ad entrambi i seni, con linfonodi assiali con metastasi. Gli scienziati non sono in grado di affermare con certezza che il cancro al seno sia stata la causa principale della morte della giovane donna. La principessa Ukok aveva anche numerose lussazioni alle articolazioni e fratture al cranio compatibili con una caduta sul fianco destro. Il cranio presenta segni di traumi alla tempia destra.
La camera sepolcrale
La sepoltura della giovane donna conteneva alcuni articoli che dovevano servire a sottolinearne la bellezza, compresa una sorta di trousse. La cassa in cui giaceva era in legno con decorazioni in oro.
Il fatto che la giovane donna sia stata mummificata dopo la sua morte è un segno che, a parere degli archeologi, la principessa di Ukok doveva rivestire un ruolo molto importante nella sua comunità. E’ molto insolito trovare una sepoltura unica Pazyryk. Di solito gli uomini di questa cultura venivano sepolti con le loro donne. In questo caso, la sua sepoltura separata potrebbe significare il suo celibato, che era tipico per ministri di culto o sciamani, e stava a indicare la sua indipendenza ed eccezionalità. Molto probabilmente, possedeva una qualche conoscenza speciale ed era un guaritore o cantore di racconti popolari. Forse una sciamana. Con lei venne sepolto anche un contenitore per la cannabis, utilizzata per attutire le sue sofferenze ma anche per provocare visioni estatiche che la mettessero in contatto con l’aldilà e con gli antenati. Con lei furono seppelliti anche sei cavalli, uno specchio di fattura cinese con una cornice in legno, dei semi di coriandolo (generalmente utilizzati nelle sepolture reali).
Gli archeologi hanno trovato anche cosmetici in una specie di trousse da trucco che si trovava dentro la sua bara al suo fianco sinistro, in particolare un pennello per il viso in crine di cavallo, e un frammento di ‘matita eyeliner‘. Era composto da anelli di ferro arrotolati attorno a un frammento di vivianite, in grado di colorare in blu-verde scuro la pelle. Era presente anche polvere di vivianite, derivata da un minerale di fosfato di ferro, apparentemente da applicare sul viso.
Secondo il professor Vladislav Malakhov, del Boreskov Institute of Catalysis, Siberian Branch of Russian Academy of Sciences “Le analisi hanno dimostrato che le donne Pazyryk conoscevano e hanno usato il colorante blu minerale chiamato vivianite e producevano maschere facciali a base di grassi anche abbastanza complesse per proteggere la pelle dai climi estremi di alta montagna.”
Gli abiti
L’abito esotico della “principessa” ha “dimostrato di essere molto più insolito e unico rispetto a qualsiasi delle nostre ipotesi'” ha dichiarato la professoressa Natalya Polosmak, scopritrice della sua camera di sepoltura che ha analizzato i vestiti nei minimi dettagli.
“Era vestita con una tunica di lana lunga e larga, composta da tre strisce orizzontali di tessuto. La gonna era lunga 144 centimetri, 90 cm di larghezza nella parte superiore, e 112,5 centimetri alla base. Ogni striscia di tessuto è stata tinta separatamente: quella superiore era porpora, al centro rosa-giallastra, e la terza di un intenso colore Bordeaux.
Tutti i pezzi di tessuto sono stati colorati a mano. La tunica aveva una cintura intrecciata in lana, che avrebbe potuto modificare la lunghezza della gonna tenendola sia intorno alla vita, che più in alto, sotto il seno.
Indossata sopra la tunica un secondo indumento bianco, lungo fino al ginocchio con uno scollo rotondo, decorato con passamaneria rossa.”
“Sono state trovate anche tre camicie – due di loro erano complete, una mancava di alcune parti. Nonostante non esistessero riviste di moda per consentire ad altri di copiare i dettagli delle passamanerie, le camicie Pazyryk sono stati realizzate in maniera quasi identica a indumenti presenti nelle sepolture di un’oasi …… in quella che oggi è la provincia cinese del Xinjiang.” Il tessuto è seta.
“La seta effettivamente utilizzata (piuttosto che i disegni delle camicie) non era cinese” afferma la dottoressa Polosmak, dell’Istituto di Archeologia e Etnografia del Dipartimento Siberiano dell’Accademia Russa delle Scienze “E ‘venuta da molto più lontano. Forse Assam in India, o altrove, a sud della moderna Cina. Sopra a tutto, la principessa indossava un leggero cappotto di pelliccia elegante, stile kaftan. Questo ha maniche lunghe e strette, più corto sul davanti e con una coda sul retro ed è decorato con motivi in pelle e pelliccia
I disegni presenti sui vestiti Pazyryk rappresentavano animali che fungevano sia da guardiani che da simbolo identitario del gruppo etnico.
Calzava inoltre degli stivali in feltro bianco stretti ed alti fino sopra il ginocchio, decorati con motivi realizzati anch’essi in feltro dai colori vivaci. Questi erano caratteristici sia per gli uomini che le donne di Pazyryk e servivano come protezione contro il feroce freddo delle montagne altaiche.
L’acconciatura e il significato dei capelli
La vera rivelazione per la dottoressa Polosmak fu la particolarissima acconciatura. La “principessa”, infatti, aveva la testa rasata ma indossava una parrucca elaborata, che rimane intatta fino ad oggi, permettendone lo studio dettagliato. “E’ stata una sorpresa totale trovare una parrucca” dice “Era indossata sulla testa rasata. La base della parrucca era una sorta di cappello in feltro con due strati di capelli femminili. Tra gli strati era una sostanza nera flessibile, che ha contribuito a fissare e tenere la forma e il volume della parrucca “. La struttura forniva una sorta di base per mantenere l’elaborato copricapo.
“Un ciuffo di capelli sulla parte superiore era strettamente avvolto con un filo di lana, che contribuiva a tenere eretta la ciocca” dice. “In cima a questo ciocca era indossato un ‘nakosnik ‘ (una decorazione di fili intrecciati) di colore rosso, e in cima a questa struttura era una spilla di bronzo con un cervo, in piedi su una sfera. Il cervo è stato realizzato in legno e coperto in foglia d’oro” Ma non finisce qui “La parrucca aveva un altro dettaglio molto importante. Il suo coronamento sembrava una piuma gigante, lunga 68,5 centimetri, realizzata in feltro e rivestita in tessuto di lana nera, con un bastone al suo interno per sostenerla.
Questa piuma aveva 15 figure di uccelli a decorarla ed erano ciascuno di dimensioni più piccole rispetto al precedente. Gli uccelli avevano ali di pelle, coda, zampe e il collo lungo, molto probabilmente a riprodurre dei cigni. ” Questa piuma può essere interpretata come un simbolico Albero della Vita – un albero di guarigione che esisteva in tante culture attraverso tutto il pianeta, in base a quella spiritualità sciamanica che ancora oggi ha il suo più vivace fulcro nelle zone del ritrovamento.
Alla base dell’albero c’è una figura di legno rappresentante un cervo con corna di Capricorno. “E’ stata trovata anche una specie di custodia per la parrucca …. alta circa 84 centimetri. “
La sua bara, realizzata da un albero scavato, era sufficientemente lunga per ospitare il copricapo che indossava quando è stata sepolta.
Ci sono prove che altre donne Pazyryk – sia di rango reale che inferiore – rasassero la testa, ma non sempre completamente: sembra non essere un rituale funebre. Curiosamente, inoltre, vi sono evidenze che le donne conservassero trecce dei loro capelli tagliati allungandole con estensioni di crini di cavallo.
Questo, commenta Polosmak, “Può essere collegato a una convinzione universale sui capelli, e cioè che – specialmente quando sono lunghi, possiedano poteri magici. Quindi il taglio dei capelli simboleggia la fine della vita precedente. Alcuni popoli siberiani radevano i capelli delle donne per celebrare la fine della loro età fertile – che, per loro, equivaleva ad affermare che la donna era pronta a recarsi in un altro mondo. Le informazioni trasportate dalle acconciature Pazyryk e dalle loro parrucche è davvero impagabile. Ma per decifrarle, per essere veramente in grado di capire, avremmo dovuto vivere con loro. Un’ipotesi su cambiamenti di stile nelle acconciature legati al matrimonio o figli o la morte è plausibile, ma rimane solo una ipotesi. Ancora non vedo il bandolo della matassa di questa questione complicata “.
Sorge un’altra domanda rispetto all’acconciatura. I Pazyryk erano nomadi cavalieri, sia uomini che donne, nel periodo in cui fiorirono negli Altaj della Siberia meridionale, in particolare tra il VI e il III secolo a.C. Come era possibile per le donne cavalcare indossando queste acconciature? Secondo chi scrive è molto probabile che le acconciature “quotidiane”, sebbene potessero essere parrucche, fossero di fogge più comode e meno ingombranti. Sarebbe interessante avere dei riscontri da altre fonti o dallo studio di altri kurgan.
Abiti utilizzati intensamente
Nonostante la preziosità dei tessuti e dei decori, o forse proprio per questa preziosità, gli studiosi hanno scoperto che i corredi vestiari sia della “principessa” che di due guerrieri maschi tumulati nelle vicinanze erano stati rammendati.
Questo indica che venivano indossati quotidianamente e non soltanto per la sepoltura. La dottoressa Polosmak afferma “Indossavano tipi di tessuti abbastanza sorprendenti riguardo al tipo di vita e al clima che dovevano affrontare. Il che suggerisce che preferissero avere un bell’aspetto “alla moda” piuttosto che prediligere criteri di praticità legati al clima freddo. Quasi tutti gli indumenti ritrovati hanno tracce di usura e di rammendo. Le popolazioni che hanno abitato le montagne dell’Altaj non hanno mai sviluppato il livello di produzione dei raffinati tessuti in lana ritrovati, nemmeno i Pazyryk, però li indossavano. Non siamo in grado di individuare il luogo esatto della produzione ma possiamo indicare la regione di provenienza.
La maggior parte delle informazioni ci vengono dal tipo di sostanze usate per la colorazione. Lo stile più tipico è una colorazione a base di tre sostanze diverse, il che significa che tutte loro devono essere state disponibili nella zona in cui è stato tinto il tessuto”.
I coloranti tessili
L’analisi dei coloranti ha rivelato l’uso del pigmento ricavato da Kermes vermilio Planchon, la cocciniglia ancora oggi usata come colorante alimentare, il cui unico habitat è il Mediterraneo Orientale e i limitrofi altipiani armeni, come fonte di acido carminico e l’uso di robbia, una pianta euroasiatica di cui esistono due varietà: una tipica dei paesi mediterranei e dell’Iran e l’altra caratteristica di Cina e India. La ricerca ha dimostrato che si trattasse di Rubia Tinctorum L proveniente dall’area mediterranea.
Con questi due indicatori è certo che, nonostante la maggior vicinanza con i centri tessili molto avanzati del mondo cinese, i tessuti esaminati provenissero dal ben più lontano mondo mediterraneo orientale: a circa 3000 km di distanza!
Crogiolo culturale
“L’antica Cina ha influenzato i cosiddetti “barbari del Nord”, insegnando loro a usare cose come la seta o specchi in bronzo massiccio” spiega la Polosmak. “I contatti tra Pazyryk e gli antichi regni di Chu, e Jan Tsin sembrano essere stati ben consolidati. Quello che non erano in grado di produrre da sè possono averlo ricevuto con scambi commerciali o depredandolo dai loro vicini. In questo senso la “principessa” costituisce uno tra i primi ponti tra i grandi feudi culturali antichi. I Pazyryk hanno acquisito e miscelato esperienze e tradizioni di due grandi civiltà antiche fondendole in immagini di animali e creando segni e iconografia divenuti specifici della loro arte. La fusione di influenze, visibile negli abiti, cinesi, iraniane e mediterranee fa dei Pazyryk uno dei più antichi esempi di sintesi tra culture di Oriente e Occidente. Diverse centinaia di anni dopo Alessandro Magno divenne famoso per fondere le popolazioni cercando di unire Oriente e Occidente con metodi militari e politici.
Nel mezzo dell’ Asia, su scala incommensurabilmente più piccola, quel processo che il grande guerriero sognava era naturalmente avvenuto. Questa sintesi, su piccola scala, si è rivelata molto proficua, e ha portato alla formazione e crescita della cultura Gorniy Altai Pazyryk”.
Gli abiti del cavaliere
Ci sono anche alcune rivelazioni interessanti sulla moda maschile, provenienti soprattutto dalla camera funeraria di un uomo adiacente a quella della “principessa” che è stata esaminata dagli scienziati siberiani a Novosibirsk. “Le sepolture Pazyryk ci hanno regalato set completi di abiti, che ora, anni dopo il ritrovamento risultano ancora più interessanti. Il costume dell’uomo era da cavaliere, forse uno dei più antichi esempi nel mondo. “Prima di tutto, indossava i pantaloni che, ricordiamo, facevano parte di un guardaroba considerato “barbaro” da Greci e Romani, che non li indossavano. Eppure i pantaloni erano una parte essenziale del guardaroba per i guerrieri e mandriani eurasiatici. I pantaloni erano fatti, sorprendentemente, non di pelle, ma di un tessuto spesso di lana mista di pecora e cammello. Il pantalone era tinto di rosso e il modello molto semplice: le due gambe erano unite da un terzo pezzo a forma di quadrato. La cintura era una corda di lana intrecciata e le gambe andavano stringendosi verso il ginocchio mentre la parte sotto il ginocchio veniva infilata all’interno di stivali di feltro con una suola morbida che salivano sopra il ginocchio.
Si è trovato anche un corto cappotto senza collo, composto da una pelle di pecora indossato con la pelliccia a contatto della pelle nuda del torso. Una curiosità del cappotto è la “coda”, realizzata da una pelle di pecora di 57-49 cm di lunghezza attaccata sul retro” riferisce Polosmak. Il cappotto maschile rinvenuto rispecchia quello femminile.
E’ decorato con motivi in pelle, pellicce di zibellino, crini di cavallo neri e rossi.
Il cappotto non aveva fibbie, ma due cinture in pelle lo chiudevano: la prima reggeva anche una custodia per arco in feltro e la seconda, la principale, reggeva un’arma da taglio.
Le maniche lunghe potevano essere legate con una corda, e fungere da tasche per contenere piccoli oggetti, nel qual caso il cappotto era indossato intorno alle spalle come un mantello.
I tatuaggi
Una delle prime cose che gli scienziati notarono dopo aver sciolto il ghiaccio che avvolgeva la mummia all’interno del suo feretro furono dei tatuaggi sul polso e sulle dita che affioravano dagli indumenti.
In seguito furono rivelati altri tatuaggi su entrambe le braccia, dalle spalle ai polsi, con alcuni sulle dita. I tatuaggi incisi sulla pelle della principessa Ukok sono opera di un artista estremamente abile e dotato. Venivano praticati minuscoli fori sulla pelle che veniva poi sfregata con una mistura di nerofumo e grassi.
I disegni sono tutti di tipo naturalistico e presentano lo stile complesso e pregiato di molte altre decorazioni artistiche di questa cultura. Il meglio conservato di tutti è un tatuaggio sulla spalla sinistra, un cervo con becco da grifone e le corna di un Capricorno. Un po’ sotto vi è una pecora, con un leopardo delle nevi ai suoi piedi.
Uno degli altri corpi rinvenuti apparteneva quasi certamente a un capo, un uomo dalla corporatura possente, intorno ai 50 anni.
Sul suo corpo, disegni vari che rappresentano una varietà di creature fantastiche e non. I tatuaggi ancora riconoscibili ci mostrano un asino, un ariete, cervi stilizzati dalle lunghe corna ed un feroce predatore sul braccio destro.
Due bestie mostruose decorano il torace e sul braccio sinistro si intravedono figure che sembrano rappresentare due cervi ed una capra. Dal piede al ginocchio si dipana il disegno di un pesce, un mostro sul piede sinistro e sul polpaccio quattro figure di arieti in corsa si uniscono a formare un solo disegno.
Sul dorso piccoli cerchi in corrispondenza della colonna vertebrale.
Si pensa che, come nel caso di Otzi, la celeberrima mummia ritrovata sulle Alpi, anche queste antiche popolazioni adoperassero il tattoo a scopi lenitivi, ma in questo caso ottenendo allo stesso tempo risultati dalla grande valenza artistica.
Secondo Polosmak “I tatuaggi sono stati utilizzati come mezzo di identificazione personale al pari di un moderno passaporto. I Pazyryk credevano anche che i tatuaggi sarebbero stati utili in un’altra vita, rendendo più facile, per le persone della stessa famiglia e cultura, ritrovarsi dopo la morte. Si trovano nei tatuaggi le stesse immagini di animali utilizzate in altri tipi di arte e lo consideriamo un linguaggio per immagini di animali, che rappresentava i loro pensieri.
Lo stesso era per i tatuaggi: un linguaggio per immagini animali, utilizzato per esprimere pensieri e definire la propria posizione sia nella società sia nel mondo. Più tatuaggi erano presenti sul corpo, più tempo la persona aveva vissuto e più alta era la sua posizione. Per esempio il corpo di un uomo, che è stato trovato in precedenza nel XX secolo, aveva tutto il corpo ricoperto di tatuaggi. La nostra giovane donna ha solo le braccia tatuate. Così indicavano sia l’età che lo stato.
I tatuaggi sulla spalla sinistra della ‘principessa’ mostrano un fantastico animale mitologico: un cervo con il becco di un grifone e corna di Capricorno. Le corna sono decorate con teste di grifoni. E ancora una testa dello stesso grifone viene visualizzato sul dorso dell’animale.
Sull’uomo trovato vicino alla “principessa”, i tatuaggi raffigurano la stessa creatura fantastica, questa volta copre il lato destro del corpo, tutta la spalla destra per estendersi dal petto alla schiena. I modelli rispecchiano i tatuaggi su un corpo maschile tatuato in modo molto più elaborato, estratto dal ghiaccio nel 1929. Il suo petto, braccia, parte della schiena e una gamba sono coperte di tatuaggi. C’è un argali – una pecora di montagna – insieme allo stesso cervo con il becco di grifone.
Possiamo dire che molto probabilmente vi era un posto sul corpo da cui tutti iniziavano a tatuarsi ed è la spalla sinistra. Lo si suppone dall’evidenza che tutte le mummie con un solo tatuaggio l’avevano sulla spalla sinistra.
E’ abbastanza comune anche oggi che le persone vi collochino il primo tatuaggio, migliaia di anni dopo.
Penso che nulla sia cambiato da allora, continua Polosmak, il tatuaggio significa ancora il desiderio di rendersi più belli e comunicare qualcosa.
L’Arpa
Singolarmente dimenticato dagli articoli sull’argomento è un altro rinvenimento dai meravigliosi kurgan Pazyryk. Si tratta di uno strumento musicale tipo arpa.
Trovata in parti scomposte all’interno della tomba 2, è stata successivamente ricostruita e si trova ora esposta all’Hermitage di San Pietroburgo. Il corpo ligneo è composto di due parti ora perfettamente ricongiunte e ha una lunghezza di 83 cm, con la superficie superiore lievemente incurvata e ricoperta da una pelle ritenuta di maiale.
Un bastone a forma di T rovesciata è fissato con lacci di cuoio a una delle estremità a tendere delle corde in tendine che in origine dovevano essere in numero di 5, dello spessore di 0,8 mm.
Secondo Rudenko, che rinvenne lo strumento, si tratta di un’arpa angolare, simile a quelle in uso presso gli egizi e gli assiri.
Sciti o Samoiedi?
La scoperta della “Principessa” suscitò nella popolazione locale la voce del ritrovamento della madre dei popoli dell’Altai. Ci fu molto malcontento riguardo al suo trasferimento a Novosibirsk. Le comunità locali, attraverso i loro anziani, sostenevano che a causa dello scarso rispetto dimostrato nei confronti della mummia e della sua sepoltura, si fossero scatenati una serie di fenomeni naturali come la sequenza di terremoti durata circa sei mesi e lo stesso incidente che colpì l’elicottero che la trasportava alla sede del museo di Novosibirsk per le ricerche.
Vani furono i tentativi di Vyacheslav Molodin, vice direttore dell’Istituto di Archeologia ed Etnografia del ramo siberiano dell’Accademia Russa delle Scienze, per convincere, dati scientifici alla mano, le popolazioni locali.
“Ci fu un momento di grave malinteso, quando si diffuse una leggenda su questa mummia che la riteneva un’antenata della popolazione altaica” ha detto Molodin.
“La gente di Pazyryk apparteneva a un gruppo etnico differente, in alcun modo collegato agli Altaici. Studi genetici hanno dimostrato che i Pazyryk erano un ramo della famiglia samoieda, con elementi di substrato iraniano-caucasica. Quindi la “principessa” è forse più Samoiedi che Scita.”
Ma nemmeno le prove del DNA calmarono il malcontento.
Il ritorno a “casa”
Gli attivisti hanno sostenuto che la recente inondazione in Altai – la peggiore degli ultimi 50 anni – è il risultato della rabbia scatenata dalla principessa per essere stata disturbata nel suo sonno. In una decisione storica, un Consiglio degli Anziani in sessione il 18 agosto 2014 nella capitale regionale Gorno-Altaisk, alla presenza del responsabile regionale Alexander Berdnikov, ha votato di riseppellire la mummia. C’era solo un dissidente.
“Poichè il consiglio degli anziani ha preso la decisione, la mummia di questa importante donna sarà finalmente seppellita” ha detto Akai Kine, un Zaisan – o capo del kin – del gruppo etnico Teles, partecipante al consiglio. “Il passo successivo sarà l’adozione di una legge locale, sulla base del quale avverrà l’inumazione. Un altro passo importante sarà la preparazione di abbigliamento, utensili, e l’approvazione per la sepoltura rituale”
Al momento la situazione non è ancora risolta e nel mondo occidentale si sono espressi pareri cinici e irrispettosi.
Il parere di chi scrive è che il ritrovamento di questo corpo, e di tutti quelli appartenenti alla cultura Pazyryk, e gli studi che si sono potuti eseguire su di loro, abbiano donato straordinarie conoscenze agli studiosi e appassionati. Tuttavia tra gli elementi di fascino nelle popolazioni nostre progenitrici non può essere dimenticata la componente spirituale, come troppo spesso avviene nella nostra civiltà tecnocratica e iperscientifica. Le culture che ci affascinano, in particolare questa dell’area altaica, hanno restituito in ogni loro oggetto e persino nei celebratissimi tatuaggi, simbolismi e valori superiori a qualsiasi materialità. Ci chiediamo quindi: perché non rispettare qualcosa che nella nostra pragmatica modernità rifuggiamo ma che pure percepiamo nostalgicamente e apprezziamo nei nostri antenati?
Ci auguriamo che a breve la Principessa-sciamana possa continuare il suo viaggio nell’altro mondo, con i suoi sei cavalli guida e i suoi due guerrieri, con la dignità che per quasi tre millenni le era stata riconosciuta.
Riferimenti e bibliografia:
- Erodoto, Historiae Versione online tradotta
- Siberian Times: primo , secondo , terzo e quarto articolo
- Ricostruzione del volto della Principessa in 3D
- BARKOVA, Ludmila; PANKOVA Svetlana 2005. Tattooed mummies from the large Pazyrykmounds: new findings Archaeology, Ethnology & Anthropology of Eurasia, 2., Novosibirsk, 2005
- GOLOMSHTOK, Eugene 1993. The Pazirik Burial of Altai, Philadelphia: Archaeological Institute of America.
- RUDENKO, Sergei 1970. Frozen Tombs of Siberia: The Pazyryk Burials of Iron-Age Horsemen , Berkley: University of California Press
- “Animals and Decorative Arts: Zoomorphic imagery and biographical objects among the Pazyryk of the Altai” in M. Gervers & G. Long (eds) Material Culture, Language and Religion of Central and Inner Asia (Toronto Studies in Central and Inner Asia 10), 2013, University of Toronto, Toronto
- Β. Lawergren, The Ancient Harp from Pazyryk, in Beiträge zur allgemeinen und vergleichenden Archäologie, IX-X, 1990, pp. 111-118
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