Ha suscitato un discreto scalpore anche in Italia l’apertura ad Hólmavik in Islanda di Strandagaldur, il Museo della Stregoneria. Come molti articoli ci raccontano si tratta di un curioso museo, a forte richiamo turistico, in cui sono esposti oggetti e figure “magiche” che non sono affatto reperti, ma ricostruzioni basate, ci tiene a sottolinearlo il direttore e fondatore Sigurður Atlason, su numerosi testi e leggende tramandati dai tempi passati. Quello di cui gli articoli sensazionalistici non ci parlano sono le basi storiche che giustificherebbero, o meno, l’esistenza di questo museo, ma per fortuna noi siamo curiosi.
Questioni religiose
Nell’Islanda colonizzata da popolazioni scandinave pagane nel corso del IX secolo, giunse a breve anche il Cristianesimo. Nell’anno 1000 l’Althing affidò allo stimato capo clan Þorgeirr Ljósvetningagoði l’arbitraggio sulle questioni religiose che minacciavano di sfociare in faide sanguinose. Egli stabilì che la religione ufficiale fosse il Cristianesimo, ma ai pagani fu permesso professare la propria fede in privato. Il primo vescovo islandese fu insediato nel 1056.
Nel XIII secolo l’Islanda perse la propria indipendenza divenendo vassalla del regno norvegese, e in seguito, quando Danimarca e Norvegia furono unificate sotto la stessa corona, di quello danese. Nel 1537 il re danese Cristiano III estese all’Islanda la fede luterana, ma la sua ordinanza divenne realmente effettiva nel 1550 quando entrambi i vescovi delle diocesi di Skálholt e di Hólar furono catturati e decapitati.
La caccia alle streghe in Europa
Contrariamente a quanto comunemente ritenuto, la caccia alle streghe non fu un fenomeno medievale, ma successivo e, per sfatare un altro equivoco, fu compiuta anche in ambienti riformati. Nell’alto e buona parte del basso Medioevo le accuse di stregoneria venivano considerate dalla Chiesa Romana come fandonie da sradicare ed espressione della superstizione dell’accusatore, ne è un buon esempio la missiva indirizzata da Gregorio VII ( 1076-80) al re danese Harald, per invitarlo a far cessare l’odio contro le donne accusate di modificare il clima.
La caccia alle streghe fino agli inizi del XV secolo ebbe carattere episodico e la sua diffusione esponenziale partì dal ‘400 con il diffondersi della credenza del patto stretto tra le streghe e il diavolo. E’ da questo presupposto che la caccia alle streghe assume completa copertura legale da parte della Chiesa, che fino a quel momento, con il suo organismo noto come Inquisizione si era occupata prevalentemente di combattere le eresie catare e valdesi. La Congregazione per la dottrina della fede, nota anche come Sant’Uffizio o Santa Inquisizione, fu istituita soltanto nell’anno 1542 da papa Paolo III.
Fino a quel momento era stato il potere temporale ad essersi occupato prevalentemente di questo tipo di accuse. In particolare erano stati attivi numerosi monarchi del nord Europa, come dimostrano vari testi legislativi.
Anche in Italia la sovrapposizione di eresia, magia e credenza nelle streghe comincia a registrarsi nei processi che diventano sempre più numerosi in Piemonte e in Savoia tra XIV e XV secolo.
La codificazione del reato di stregoneria
Nel trattato demonologico Formicarius scritto dal domenicano tedesco Johann Nider tra il 1435 e 1437, anche se non viene fatto esplicito riferimento alla stregoneria, il fenomeno descritto le somiglia molto. Un contributo importante alla costruzione teorica del reato di stregoneria fu dato dall’inquisitore alsaziano Heinrich Kramer, un domenicano noto anche come Institoris, che assieme al collega Jacop Sprenger scrisse nel 1487 il Malleus Malleficarum, un vero manuale per inquisitori su come arginare l’eresia e contrastare l’opera del demonio. Il volume ebbe notevole diffusione e fu destinato a dare avvio a una vasta pubblicistica su questi argomenti.
Ma nonostante l’avanzare di questo clima, è solo dopo la Riforma, a partire dagli anni 60 del XVI secolo che si ebbe la caccia alle streghe vera e propria. Le persecuzioni si diffusero in tutto il continente europeo. Alcuni studiosi hanno messo in relazione la propagazione di questa isteria in contesti molto diversi tra loro con il peggioramento del clima : dopo il caldo del medioevo si ebbe una “piccola era glaciale” che incise negativamente sulla qualità della vita in una società legata a un’economia di sussistenza; le streghe divenivano l’ideale capro espiatorio cui imputare le avversità meteorologiche. I reati per riti magici andarono a soppiantare quelli per eresia e a venire condannate erano sopratutto le donne più esperte in settori tradizionalmente preclusi agli uomini come levatrici o erboriste, le cui conoscenze tramandate oralmente instauravano timori e sospetti. Dai documenti processuali risulta che nel cantone di Berna vennero bruciate 970 persone fra il 1581 e il 1620; in Lorena, la regione francese a più alta incidenza di persecuzioni, fra il 1552 e il 1624 si ebbero 3000 processi e 2700 condanne.
Mentre nell’Europa centrale la caccia alle streghe cominciò a declinare dopo il 1600, si incrementò nell’Europa settentrionale, con una punta tra il 1626 e il 1630 in corrispondenza di una nuova ondata di gelo e della carestia prodotta dalla guerra dei Trent’anni: in Germania da parte della Lega cattolica vennero bruciate sul rogo 3500 streghe, ma nel violento scontro confessionale anche luterani e calvinisti si resero protagonisti di un migliaio di condanne.
Inghilterra e Danimarca
Proprio in questo periodo di furiose lotte di religione salì al trono inglese Giacomo I, succedendo nel 1603 a Elisabetta I. Già re di Scozia come Giacomo VI, nel 1590 si era alleato con la Danimarca luterana, tramite matrimonio con Anna, figlia del re danese Federico II. Si occupò in prima persona della stregoneria: al suo rientro dalla Danimarca dopo il matrimonio con Anna presenziò a North Berwick ad un processo contro alcune streghe che avrebbero operato per provocare una tempesta che affondasse la nave della coppia reale.
Colpito da questo episodio scrisse personalmente il trattato Daemonologie, pubblicato nel 1597, che influenzò molto l’atmosfera culturale e religiosa dell’epoca. Alcuni studiosi ritengono che fornì le basi per la produzione del Macbeth, dramma shakespeariano del 1606 ambientato in Scozia e fu largamente utilizzato durante i processi di Salem, nel New England puritano del 1692.
Il clima dunque, anche negli ambienti protestanti, era quello descritto e la Danimarca, cui l’Islanda apparteneva, non fece eccezione.
Islanda
Due caratteristiche distinguono l’ambiente islandese in materia di caccia alle streghe. La prima particolarità è che dagli atti risultano invertiti i rapporti di genere: il 92% delle persone condannate per stregoneria in Islanda furono uomini.
La vittima forse più famosa e fra le prime fu Jón Rögnvaldsson, condannato a morte per stregoneria nel 1625 dall’ufficiale giudiziario Magnus Björnsson che lo aveva trovato in possesso di fogli su cui erano tracciate delle rune. Nonostante il fratello dell’imputato, il poeta Thorvald Rögnvaldsson, avesse testimoniato a suo favore sostenendo che Jon non avesse le capacità per eseguire un galdr l’imputato fu giustiziato. Nei successivi 50 anni furono 120 i processi per stregoneria e dei 22 islandesi bruciati sui roghi 21 erano uomini. A differenza di altri luoghi europei le pire erano costituite dai beni del condannato: gli alberi erano troppo rari e preziosi in Islanda per sprecarli nelle pire funebri.
Un altro famoso perseguitato per stregoneria fu Jón lærði Guðmundsson, vissuto tra il 1574 e il 1658, poeta e presunto stregone, fu processato svariate volte, riuscendo sempre ad evitare la condanna.
La seconda particolarità è il legame con i caratteri runici: nel XVII secolo la presenza di simboli antichi come le rune, non più compresi e riconosciuti dalla maggior parte delle persone, veniva direttamente associato a “segni” arcani di maleficio e stregoneria.
In effetti proprio a partire dalla persecuzione del XVII secolo si rese necessario scrivere tentando di mettere al sicuro ogni conoscenza di questo tipo, fino ad allora tramandata oralmente. Mentre in Europa si cercavano sulle donne i “segni del diavolo” come per esempio innocenti nei in particolari parti del corpo, in Islanda si cercavano i caratteri runici come prove inconfutabili di relazione col demonio.
E’ molto probabilmente questo legame tra caratteri scritti in un alfabeto ormai poco conosciuto e gli antichi tempi pagani a far sì che le vittime della persecuzione fossero prevalentemente uomini: la scrittura e la lettura delle rune non erano solo affari da uomini, ma erano affari per uomini istruiti.
Galdrabok, il grimorio medievale islandese
Galdrabok, un “libro di magia” islandese, è uno dei documenti superstiti più importanti per le pratiche e la comprensione delle pratiche occulte in Islanda nel tardo Medioevo. Offre una visione unica dei vari elementi che hanno contribuito a una tradizione magica nazionale in Islanda al momento della sua compilazione.
Il Galdrabrok fu scritto durante l’era della riforma in Islanda (1550-1650) e fu tradotto per la prima volta in inglese da Stephen Flowers nel 1989. Secondo Flowers, nessun altro documento di età comparabile fornisce così tanti dettagli sugli Dei germanici arcaici, sulla cosmologia e sulle pratiche magiche, come questo manoscritto.
Rune e segni magici
Il Galdrabok mostra due caratteristiche grafiche principali nei suoi incantesimi: rune (o segni simili alle rune) e galdramyndir, segni magici che possono o meno avere origini runiche. Sebbene fossero comunemente usati nei sigilli magici islandesi, altre variazioni runiche codificate, chiamate “villuletur” o “villurunir”, erano anche usate per confondere o nascondere i segreti invece di rivelare il vero significato.
“Un’altra caratteristica apparentemente ereditata dall’antica pratica runica magica è la stessa terminologia utilizzata per descrivere le figure e i modi di usarle. La maggior parte delle figure sono citate in islandese come “stafir”, che può essere tradotto come l’inglese “stave”, ovvero sia staffa, piolo che rigo, come il rigo musicale. Si ritiene che il nome derivi dall’uso che se ne faceva, incidendo rune su staffe o bastoni di legno per scopi apotropaici” descrive Flowers.
Una caratteristica sorprendente dei libri magici islandesi è il loro uso di complessi segni magici. Molti tentativi di classificazione di questi segni provengono dallo sforzo di interpretare la loro relazione con le rune e le loro funzioni magiche. Esistono tre tipi principali di segni: i bandrúnir o rune legate, che sono costituite da combinazioni di rune; i galdrastafir , che erano forse rune legate ma così stilizzate da assumere un loro significato; e galdramyndir , o segni magici, che sembrano essere sempre stati segni astratti, non legati all’alfabeto runico.
Il testo del Galdrabok
Il manoscritto non rappresenta una composizione unitaria, ma è piuttosto una raccolta di incantesimi che sembrano essere assemblati casualmente. L’attuale versione conosciuta di Galdrabok è stata scritta da quattro diversi scrivani, che lavorarono nell’arco di circa cento anni.
Secondo Flowers il primo mago, lavorò in Islanda durante la seconda metà del XVI secolo e annotò gli incantesimi da 1 a 10. Poco dopo il testo è stato trasmesso ad un altro islandese che ha aggiunto gli incantesimi da 11 a 39. Forse qualche tempo dopo un terzo scriba islandese è entrato in possesso del libro e ha aggiunto incantesimi dal 40 al 44. Quest’ultimo “galdramadhur” ha scritto nello stile corsivo del XVII secolo. Il ragguardevole dettaglio di quest’ultimo scrittore fu la sua aggiunta di una ricca serie di riferimenti agli dei più antichi e alla tradizione germanica. Non molto tempo dopo le aggiunte del terzo autore al Galdrabok, il lavoro giunse in Danimarca, tra le mani di un mago danese che aggiunse l’ultima sezione, dall’incantesimo 44 al 47.
Flowers aggiunge che nel 1682 il libro fu acquistato dal filologo danese J.G.Sparfvenfelt e in seguito dagli svedesi (tra il 1689 e il 1694) per la loro grande collezione di monumenti e manoscritti “gotici”. Alla fine è arrivato all’Accademia delle Scienze (State Historical Museum) di Stoccolma, dove si trova tuttora.
Il Galdrabok è essenzialmente composto da due tipi di incantesimi. Un primo gruppo di incantesimi funziona per mezzo di una formula di preghiera, che invoca poteri più alti e con i quali il fine magico viene raggiunto indirettamente. Solo un piccolo numero di incantesimi nel Galdrabok (otto in totale) rientrano in questa categoria.
Il secondo gruppo consiste in incantesimi più comunemente usati che presumibilmente funzionavano come espressione diretta della volontà del mago, attraverso segni, formule scritte o parlate. Tre degli incantesimi in Galdrabok non implicano né preghiere né segni, ma somigliano più che altro a una ricetta, o una pozione a base di sostanze naturali che doveva funzionare con effetti magici. Questo tipo di magia naturale si trova spesso nei testi di erboristeria o nei manuali medici.
Stephen Flowers ha mostrato grande interesse per gli elementi religiosi espressi negli incantesimi. “Ventuno degli incantesimi hanno un punto di vista prevalentemente non cristiano o apertamente pagano (o persino diabolico). Questo non è sorprendente, poiché dal momento dell’introduzione del cristianesimo l’intera pratica della magia venne associata al passato pagano e alle fonti demoniache”. Nonostante questo, ci sono nove incantesimi che sono puramente di ispirazione cristiana, citando figure o usando formule cristiane. Ci sono anche alcuni incantesimi con radici giudeo-gnostiche.
Gli incantesimi del Galdrabok possono essere collocati approssimativamente in sei categorie di intenzioni e motivazioni magiche, i più comuni dei quali sono formule protettive per il mago o incantesimi generici per portare fortuna. Ci sono anche incantesimi dedicati a forme di magia più aggressive.
La magia contenuta nel Galdrabook è basata su un background pagano e successivamente cattolico, e solo durante il periodo di persecuzione da parte protestante è stato necessario affidarla alla pergamena.
Rauðskinna, il libro di Magia Nera
A differenza del Galdrabok che ci è pervenuto ed è stato ampiamente tradotto e studiato, esiste un libro del tutto leggendario, sebbene legato a personaggi realmente esistiti: il Rauðskinna, che sarebbe tra i più terrificanti documenti di magia nera mai prodotti. Era così oscuro che molte persone non potevano credere fosse stato scritto da un vescovo cristiano.
Conosciuto anche come The Book of Power, Rauðskinna (che equivale a ‘Red Skin’ in islandese) prese il nome dalla copertina in pelle rossa scritta in rune ricoperte d’oro. Era una raccolta delle regole e degli incantesimi più oscuri creati da un uomo che adorava ufficialmente il Dio cristiano. Tuttavia, sembra che il suo autore, Gottskalk Nikulausson, volesse molto più nella vita che servire la sua religione.
Il vescovo e il suo libro
Gottskalk Nikulausson nacque nel 1469 in Islanda, e tra il 1496 e la sua morte l’8 dicembre 1520, fu vescovo di Holar.
Era nato in una buona famiglia cristiana. Suo zio, Olaf Rognvaldsson, era un vescovo e Gottskalk fu il suo successore. Tuttavia, come vedremo, le azioni di Gottskalk erano ben lontane dai valori che predicava nel suo ruolo ufficiale.
Gottskalk ebbe una relazione stabile con una donna di nome Gurdun e da essa ebbe due figli: Odd Gottskalksson e Gurdun Gottskalksdottir. In parallelo condusse anche una relazione con una donna conosciuta come Jonsdottir, dalla quale ebbe una figlia di nome Kristin. I documenti storici si riferiscono a lui come un uomo manipolatore, ambizioso e crudele, più interessato al proprio status sociale che a svolgere il suo ruolo pastorale. Inoltre iniziò a esplorare la conoscenza dell’antica stregoneria nelle forme più oscure e questa divenne la sua più grande ossessione.
Gottskalk si impegnò per molti anni nel compito di scrivere il Rauðskinna. L’obiettivo principale del libro era creare e padroneggiare una magia così potente da avere il controllo su Satana e con il suo aiuto ottenere un potere assoluto nel mondo.
La sua fama era quella di uomo pericoloso e potente, conoscitore di magia nera meglio di chiunque fosse vissuto in Islanda fino a quel momento, tanto da meritare il nome di Gottskalk il Crudele. Quando morì nell’inverno del 1520, Rauðskinna fu sepolto con lui assieme ai suoi oscuri segreti.
Ma la sua storia si lega a quella di Loftur, un chierico vissuto nel XVIII secolo alla ricerca degli stessi poteri.
Sebbene si tratti di un personaggio realmente esistito, la sua vicenda assume i toni della leggenda, narrata nella tragedia di stampo faustiano Galdra-Loftur del poeta e scrittore islandese Jóhann Sigurjónsson. Due secoli dopo la morte di Gottskalk, Loftur arrivò alla scuola cattedrale di Holar, dove Gottskalk era stato vescovo e aveva condotto i suoi studi arcani. Quando padroneggiò il libro noto come Graskinna (“Pelle grigia”), anch’esso contenente incantesimi di magia nera, decise di mettersi alla ricerca del testo di Gottskalk. Chiese aiuto ad un altro studente per resuscitare tutti i vescovi di Holar sepolti nella cattedrale per riuscire a scovarlo, ma quando lo studente rifiutò, Loftur lo uccise.
In rete circola una storia folcloristica attribuita a Shaun D. L. Brassfield-Thorpe, di cui però non troviamo la fonte originale né notizie biografiche dell’autore. Il testo recita :
“Nonostante tutto, Gottskalk non era ancora uscito dalla sua tomba – così Loftur iniziò a cantare come non mai. Trasformò le parole dei Salmi in lodi per il Diavolo e fece una addolorata confessione di tutte le sue buone azioni. I tre vescovi coronati si tenevano il più lontano possibile da Loftur e lo fronteggiavano con le mani alzate – gli altri vescovi morti li guardavano distogliendo lo sguardo da Loftur. Alla fine si sentì un forte suono, un morto si avvicinò con un bastone nella mano sinistra e un libro rosso sotto il braccio destro. Non portava un crocifisso sul petto e guardava male gli altri vescovi morti. Loftur cantava ancora più forte. Gottskalk si avvicinò di più a Loftur e disse sprezzantemente: “Canti bene, figlio mio, e meglio di quanto mi sarei aspettato, ma non avrai il mio Rauðskinna.” Loftur allora cantò come non aveva mai fatto prima. Cambiava le preghiere del Signore in lodi per il diavolo, e la chiesa parve scossa come una canna nel vento. Lo studente, guardando tremare il campanile, pensò di aver visto Gottskalk consegnare il libro a Loftur e fu scosso dal terrore. Così tirò la corda della campana più forte che poteva e tutto ciò che era apparso svanì nel pavimento con un sussurro.
La leggenda si conclude con la morte di Loftur in mare, preso dal diavolo nella barca degli inferi.
Cosa ne sia stato della tomba del vescovo crudele e del suo infame libro non è dato sapere. Alcuni sostengono che sia stato distrutto in segreto, mentre altri credono che sia ancora in Islanda, ma la storia del vescovo divenuto un maestro della magia nera è rimasta ben nota in Islanda, di generazione in generazione.
Riferimenti
- Gregorio VII, Registrum, Monumenta Germaniae Historica
- A.M. di Nola, Stregoneria , in Enciclopedia delle religioni , Vallecchi, Firenze 1973
- Brian P. Levack, La caccia alle streghe: In Europa agli inizi dell’età moderna, Roma ; Bari, Laterza, 1997
- Carlo Ginzburg, Storia notturna : una decifrazione del sabba, Torino, Einaudi, 1989
- Michael D. Bailey, Magia e superstizione in Europa dall’Antichità ai nostri giorni, Torino, Lindau, 2008
- Franco Cardini e Marina Montesano, La lunga storia dell’inquisizione. Luci e ombre della «leggenda nera», Città Nuova, 2005
- Marina Romanello, La stregoneria in Europa (1450-1650), Bologna, Soc. Ed. il Mulino, 1975
- Stephen E. Flowers, Icelandic Magic: Practical Secrets of the Northern Grimoires, Inner Traditions, 2016
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