I lavori di scavo che partiranno a Cosenza coordinati da un comitato tecnico scientifico, alla ricerca del tesoro di Alarico saranno presentati alla stampa, mercoledi 21 ottobre alle 11,30, a Roma presso la sala Aldo Moro della Camera dei Deputati, dal sindaco e presidente della Provincia di Cosenza Mario Occhiuto.
Stanno per essere dunque gettate ufficialmente le basi per la ricerca del tesoro del primo sacco dell’antica Roma imperiale, seppellito secondo fonti storiche nel territorio cittadino. Si tratterebbe di una decina di carri colmi di ori e argenti e forse anche del candelabro sacro della religione ebraica, la Menorah. Roma era la capitale del più grande impero dell’antichità, colma di oggetti preziosi raccolti in oltre sette secoli di guerre e conquiste in mezzo mondo. Il saccheggio di Roma da parte di Alarico segna la fine dell’Impero romano di Occidente e l’ inizio dell’Altomedioevo in Europa. Fu per la gente del tempo la fine del mondo, l’apocalisse, che vedeva una nave in fuga colma di refurtiva.
Il progetto del sindaco Occhiuto di far diventare Alarico un brand a fini turistico-culturali, e relative ricerche ha suscitato l’attenzione dei media nazionali e internazionali. Dopo la vetrina di “Sette”, inserto del Corriere della Sera che nell’ultima edizione ha dedicato la copertina e un ampio reportage alla città di Cosenza, ieri è stata l’autorevole testata britannica The Telegraph a pubblicare un articolo sull’ipotesi, fra storia e leggenda, del tesoro di re Alarico seppellito nel fiume Busento.
La leggenda di Alarico
Alla caduta dell’impero romano seguirono numerose le invasioni dei popoli barbari e, tra questi primeggiò per efferatezza il popolo dei Goti che, al comando del re Alarico nell’anno 409, valicate le Alpi Giulie discese il Veneto, attraversò il Po e passando per Bologna seminando ovunque miseria e fame giunse a Roma: era l’anno 410.
L’esercito barbaro entró in Roma il 24 agosto 410. Furono rispettati gli edifici e le chiese cristiane per un preciso ordine di Alarico, ma saccheggiò tutto il resto.
Dopo di che il re condusse il suo esercito, carico di bottino, verso sud, attraversò la Campania e penetrò in Calabria in direzione di Reggio, ma presso Cosenza, Alarico fu colto da violenta e improvvisa febbre che in pochi giorni lo condusse a morte. Narra la leggenda che prima di spirare ordinasse di essere sepolto nel letto del fiume Busento che scende dalla Sila e si riversa nel Tirreno e le cui rive gli ricordavano le natìe sponde del Danubio.
I suoi soldati mediante il lavoro di migliaia di schiavi, in pochi giorni deviarono un tratto del fiume e nel suo letto naturale scavarono una profonda fossa ove posero Alarico, a cavallo, con tutte le sue armi. Quindi ricoprirono la fossa e riportate le acque del fiume nel suo percorso originario, affinché mai nessuno, in futuro, individuato il luogo ne violasse la tomba, trucidarono tutti gli schiavi.
Queste notizie si desumono da alcuni passaggi delle opere di Jordane che, a sua volta, aveva tratto ispirazione dalla Historia Gothica di Cassiodoro di Squillace, consigliere di Teodorico. Le stesse fonti furono probabilmente utilizzate, molti secoli dopo, dal conte von Platen che nel 1820 scrisse Das Grab im Busento (La tomba nel Busento), opera tradotta nel 1872 da Giosuè Carducci.
LA TOMBA NEL BUSENTO
Cupi a notte canti suonano
Da Cosenza su ‘l Busento,
Cupo il fiume gli rimormora
Dal suo gorgo sonnolento.
Su e giú pe ‘l fiume passano
E ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono,
Il gran morto di lor gente.
Ahi sí presto e da la patria
Cosí lungi avrá il riposo,
Mentre ancor bionda per gli omeri
Va la chioma al poderoso !
Del Busento ecco si schierano
Su le sponde i Goti a pruova,
E dal corso usato il piegano
Dischiudendo un via nuova.
Dove l’onde pria muggivano,
Cavan, cavano la terra;
E profondo il corpo calano.
A cavallo, armato in guerra.
Lui di terra anche ricoprono
E gli arnesi d’or lucenti:
De l’eroe crescan su l’umida
Fossa l’erbe de i torrenti !
Poi, ridotto a i noti tramiti,
Il Busento lasciò l’onde
Per l’antico letto valide
Spumeggiar tra le due sponde.
Cantó allora un coro d’uomini:
– Dormi, o re, ne la tua gloria !
Man romana mai non víoli
La tua tomba e la memoria ! –
Cantó, e a lungo il canto udivasi
Per le schiere gote errare:
Recal tu, Busento rapido,
Recal tu da mare a mare.
La ricerca della tomba
La vicenda della sepoltura di Alarico rimase nell’oblio per molti secoli, finchè nella prima metà del Settecento si tornò a parlare della leggenda e monsignor Capecelatro finanziò una campagna di ricerche alla confluenza dei fiumi Busento e Crati che, però, non ebbe alcun esito.
A distanza di quasi due secoli, la ballata di von Platen risvegliò improvvisamente l’interesse dei tedeschi. Nel periodo che precedette la Seconda guerra mondiale. Hitler organizzò una spedizione scientifica in Calabria alla ricerca della tomba del re tedesco che aveva, per primo, umiliato l’Impero romano.
Il Fuhrer spedì il fido Heinrich Himmler in Italia, ma nonostante le consulenze degli storici tedeschi, gli scavi alla periferia di Cosenza non diedero alcun risultato.
Si deve a due fratelli appassionati di archeologia, Natale e Francesco Bosco, l’ultimo tentativo di chiarire il mistero. Da anni i due, partendo dalla convinzione che la deviazione del Busento non sarebbe mai potuta passare inosservata, nemmeno nel 410 d.C., hanno individuato un sito poco distante da quello nel quale si sono svolte le ricerche. L’elemento della confluenza dei fiumi c’è, ma si tratta del Caronte all’altezza della confluenza con il Canalicchio. Il luogo è quello ideale perchè si tratta di una vallata deserta che anticamente si trovava nella stessa direzione di un collegamento con il mare. In più Francesco e Natale Bosco hanno individuato una enorme croce scolpita sulla roccia in una località il cui toponimo di origine gotica, “Rigardi”, significa, appunto, “osservare con rispetto”.
Dall’altro lato della vallata, all’interno di due grotte naturali a strapiombo nella roccia, hanno trovato un altare di probabile origine gotica scolpito un pò rozzamente. Ma l’elemento ancora più interessante, che ha convinto i due appassionati di archeologia di aver scoperto davvero la tomba di Alarico, è che l’altare poggia su uno strato di sabbia identificata come sabbia di fiume in base ad analisi geologiche. La cosa è del tutto innaturale all’interno di una grotta calcarea di origine vulcanica. Stessa particolarità all’interno della grotta più piccola, dove ci si accorge di camminare su sabbia “riportata”.
Il luogo è quello ideale perchè si tratta di una vallata deserta che anticamente si trovava nella stessa direzione di un collegamento con il mare. Nel corso degli anni, Natale e Francesco Bosco hanno tentato tutte le strade possibili e, ovviamente, legali per ottenere il permesso di scavare ma non sono mai stati autorizzati. Ora il pericolo che lo scavo sia condotto da tombaroli senza scrupoli a caccia delle 25 tonnellate di oro e 150 d’argento di che si favoleggia siano sepolte insieme ad Alarico sembra scongiurato dalla notizia dell’apertura dello scavo ufficiale.
Restiamo in attesa di notizie su Alarico!
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