Ötzi: lo sentiremo parlare?

L'attore Mark Noble interpreta Ötzi nel programma televisivo del 2005 prodotto da BBC 'The Iceman Murder'
L’attore Mark Noble interpreta Ötzi nel programma televisivo del 2005 prodotto da BBC ‘The Iceman Murder’

Leggiamo dal Corriere del Trentino l’ultima notizia sulla Mummia delle AlpiÖtzi come ormai è universalmente noto: alcuni studiosi tenteranno di ricostruirne la voce. In effetti la curiosità sulla voce è legittima e una ricostruzione perfino possibile, dal momento che la comunità scientifica dispone di una mummia eccezionale, che, per le condizioni di mummificazione, ha conservato i tessuti molli in modo incredibile. Grazie quindi alla tomografia computerizzata è possibile ricostruire gli organi vocali e tentare la sintesi vocale del famoso cacciatore dell’Età del Rame.
La ricerca è promossa dall’Ambulatorio di foniatria dell’ospedale San Maurizio di Bolzano, coordinato dal dottor Francesco Avanzini e dal primario del reparto di Otorinolaringoiatria Rolando Füstös. «Quella che potrebbe sembrare un’idea stravagante – spiega il primario – diventerà realtà grazie alla collaborazione con il professor Piero Cosi, coordinatore dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione dell’Istituto nazionale delle ricerche (Cnr) presso l’università di Padova. Il ricercatore è da anni impegnato nell’elaborazione di segnali acustici vocali».

Così una volta acquisite le caratteristiche fisiche dell’apparato vocale si passerà allo studio via software dell’ipotetica voce. Il vero problema è in quale lingua farlo esprimere: questa sarà una scelta veramente ardua.

La storia di Ötzi

Il corpo durante le operazioni di recupero
Il corpo durante le operazioni di recupero

Venerdì 20 settembre 1991, una giornata di sole, Erika ed Helmut Simon, due turisti di Norimberga (Germania) stanno facendo un’escursione in quota sulle Alpi Venoste. Durante la discesa dalla Punta di Finale, nei pressi del Giogo di Tisa, prendono una scorciatoia e perdono il sentiero. Mentre costeggiano una conca piena di acqua di fusione, notano sul fondo qualcosa di scuro. Lì per lì pensano a dei rifiuti, ma quando arrivano più vicini si accorgono, spaventati, di aver trovato il corpo di un uomo.

Dall’acqua che deriva dallo scioglimento dei ghiacci, emergono la nuca, le spalle nude e parte della schiena. Il corpo giace prono, con il torace riverso su una lastra di pietra, il volto è nascosto. I due escursionisti vedono accanto al corpo della corteccia di betulla arrotolata.
Prima di andarsene, sconvolti, scattano una fotografia per documentare il ritrovamento, convinti di aver trovato i resti di un alpinista scomparso qualche anno prima.

In quel momento nessuno può immaginare che il corpo e i resti ritrovati accanto a lui presto diventeranno famosi in tutto il mondo. Così ha inizio la storia della maggiore scoperta archeologica del secolo scorso.

I due alpinisti Hans Kammerlander e Reinhold Messner sul luogo del ritrovamento
I due alpinisti Hans Kammerlander e Reinhold Messner sul luogo del ritrovamento

Il luogo del ritrovamento si trova a 3210 m s.l.m. nei pressi del sentiero che dal rifugio Similaun porta al Giogo di Tisa. È una conca naturale che misura circa 40 m di lunghezza, 2,5-3 m di profondità e 5–8 m di larghezza.
Il giorno dopo il ritrovamento del corpo una squadra di soccorso austriaca avvia i primi tentativi di recupero. Il tempo è peggiorato molto; servendosi di un martello pneumatico, il gendarme austriaco Anton Koler e il gestore di rifugio Markus Pirpamer, cercano di dissotterrare il corpo. Il flusso continuo dell’acqua di fusione, però, li costringe a lavorare in pessime condizioni. Durante l’intervento l’anca sinistra del corpo viene danneggiata. Frattanto il tempo continua a peggiorare e il martello pneumatico si rompe, obbligando la squadra a interrompere i lavori. Il giorno successivo non è possibile riprendere l’intervento di recupero, perché non ci sono elicotteri disponibili. Questo stesso giorno, casualmente, i due alpinisti Hans Kammerlander e Reinhold Messner raggiungono il luogo del ritrovamento e sono i primi a osservare alcuni particolari del vestiario e dell’equipaggiamento del corpo.
Nei giorni successivi vengono recuperati i reperti sparsi attorno al corpo, ma si dovrà attendere lunedì. Il recupero è condotto sotto la guida di Rainer Henn, dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Innsbruck e ripreso con la telecamera. Ancora oggi quelle riprese costituiscono un documento importante, perché non era presente alcun archeologo.
Dall’acqua di scioglimento dei ghiacciai emergono molti resti di cuoio e pelliccia, cordini, lacci e ciuffi d’erba, che giacevano ammucchiati accanto al cadavere, il tutto viene raccolto assieme a quanto prelevato il giorno precedente.

La mummia viene trasportata in elicottero a Vent, nell’Ötztal (Austria) e da lì con un carro funebre all’Istituto di Medicina Legale di Innsbruck.

A chi appartiene Ötzi?

La mummia come si presenta ora
La mummia come si presenta ora

Poco dopo il recupero, si è sparsa la voce che la mummia era stata trovata in territorio italiano, anziché austriaco come si era pensato in principio.
Secondo il trattato di St. Germain-en-Laye, stipulato nel 1919 fra la Repubblica austriaca, le Potenze Centrali e quelle vincitrici della 1° Guerra Mondiale, il confine correva lungo lo spartiacque che separa le valli dell’Adige e dell’Inn. All’epoca, però, nell’area del Giogo di Tisa lo spartiacque era coperto di ghiaccio e quindi non era stato possibile stabilire esattamente dove passasse. Il nuovo rilevamento del confine disposto dalle autorità il 2 ottobre 1991 ha decretato che il luogo del ritrovamento si trova esattamente a 92,56 m entro il confine di Stato italiano, su territorio altoatesino.

Anche se nel luogo del ritrovamento della mummia l’Inn defluisce verso nord, il diritto internazionale riconosce la validità del confine tracciato dopo la 1° Guerra Mondiale. L’amministrazione dell’Alto Adige, quindi, ha rivendicato la proprietà della mummia e degli oggetti ritrovati, che però da contratto dovevano rimanere presso l’Università di Innsbruck fino alla fine delle ricerche scientifiche. Le autorità altoatesine, inoltre, hanno autorizzato l’Istituto di preistoria e protostoria dell’Università di Innsbruck a condurre subito le ricerche archeologiche successive alla scoperta che avvengono nell’ottobre 1991 e dell’estate 1992 e permettono di recuperare altri oggetti: resti di pelle e pelliccia, ciuffi d’erba e corde, frammenti di pelle umana, fibre muscolari, capelli e perfino un’unghia. È stato anche possibile recuperare il pezzo dell’arco che si era spezzato ed era rimasto nel ghiaccio. Vicino al blocco di pietra su cui giaceva Ötzi è stato trovato il suo berretto in pelliccia di orso.
Il 16 gennaio 1998 la mummia è stata trasferita nel Nuovo Museo Archeologico dell’Alto Adige.

L’eccezionalità

L’eccezionalità della mummia è dovuta sia alla sua antichità che alle incredibili condizioni di conservazione in cui è stata rinvenuta. Vari campioni di tessuto del corpo e dei reperti sono stati datati al carbonio14 in ben quattro istituti diversi, con risultati identici: l’Uomo venuto dal ghiaccio è vissuto fra il 3350 e il 3100 a.C. quindi più di 5000 anni fa, nell’epoca in cui il rame viene introdotto in Europa come nuovo materiale di lavorazione e trasforma radicalmente l’economia e la società.
Come sia avvenuta la mummificazione è ancora oggetto di studio. Alcuni sostengono che il corpo e il suo equipaggiamento siano stati ricoperti da un manto nevoso, rimanendo per anni permeabili all’aria.
Ciò avrebbe consentito un processo di mummificazione dato da un’azione combinata di essiccazione e congelamento in atmosfera asciutta e areata. Secondo questa teoria il ghiacciaio avrebbe ricoperto la mummia solo anni più tardi, concludendo così il processo di mummificazione. Conosciamo numerosissime mummie artificiali, ovvero volontariamente mummificate per la conservazione, in Egitto, Cile e Perù, mentre abbiamo mummie naturali provenienti dalle torbiere in Nord Europa, Gran Bretagna e Irlanda, ma in genere non antecedenti il I secolo a.C.

Quello che rende Ötzi veramente eccezionale è la sua incredibile antichità, unita allo stato di conservazione e al fatto che si tratti di una mummia naturale. La sua scoperta ci ha consentito studi su un’era umana che non avremmo mai potuto compiere senza di lui.

Aspetto, salute e alimentazione

La ricostruzione di Ötzi esposta al Museo Archeologico dell'Alto Adige, Bolzano
La ricostruzione di Ötzi esposta al Museo Archeologico dell’Alto Adige, Bolzano

Di Ötzi abbiamo scoperto veramente molto. In vita era alto circa 1,60 m, una misura in linea con l’altezza media della popolazione del Neolitico. Era snello e il suo peso doveva essere di circa 50 kg. Al momento della sua morte doveva avere circa 45 anni.
I capelli, caduti nel processo di mummificazione, erano scuri, ondulati e lunghi almeno fino alle spalle. Molto probabilmente Ötzi li portava sciolti.
Sul luogo del ritrovamento sono stati rinvenuti, inoltre, peli più corti e crespi, verosimilmente i peli della barba di Ötzi.
Le analisi del DNA hanno determinato che aveva gli occhi marroni. Le parti molli del viso sono state deformate dalla pressione del ghiaccio ma tramite l’uso delle più recenti tecniche, gli olandesi Adrie e Alfons Kennis hanno prodotto la nuovissima ricostruzione del volto, esposta al Museo Archeologico dell’Alto Adige. Si sono basati su immagini radiografiche e tomografiche della mummia e sui più recenti dati scientifici,che hanno consentito loro di dare a Ötzi un aspetto diverso da quello ipotizzato finora. Fondamentale per la ricostruzione una replica tridimensionale del cranio, realizzata sulla base dei dati delle ultime tomografie computerizzate.

Una rara anomalia, evidentemente non invalidante per lui, è la mancanza della dodicesima coppia di costole.
Alcune costole sul lato sinistro riportavano fratture rimarginate, quindi esito di un “incidente” avvenuto durante il corso della sua vita, mentre sulla parte destra ci sono fratture alle costole non rimarginate, da cui si può dedurre che siano avvenute poco prima della sua morte o addirittura successivamente, a causa del peso del ghiaccio che lo ha ricoperto. Fratture sono presenti anche sul naso. Le ossa mostrano segni di artrosi e il dito mignolo del piede sinistro riporta una lesione probabilmente dovuta a congelamento.
Non ha denti del giudizio e presenta una forte usura sia dei molari, per il consumo di cereali macinati nella pietra, sia incisivi, dovuto all’uso dei denti come strumento di lavorazione di materiali come pelle e tendini. Era affetto da carie e da paradentosi, causata dal batterio Treponema denticola, di cui i ricercatori hanno trovato tracce nel 2014.

Tracce di carbone nei polmoni e una quantità di arsenico superiore alla media indicano il lungo tempo trascorso accanto a focolari e la probabile presenza in luoghi dove si estraevano e lavoravano metalli, probabilmente il rame.

Secondo una ricerca pubblicata dal National Geographic nel 2011, negli ultimi momenti di vita ha mangiato carne di stambecco e di cervo, accompagnata da un cibo simile al pane e da verdure. Nel suo stomaco è stato rinvenuto il batterio Elycobacter pylori, causa di gastrite e ulcera.

I tatuaggi

Alcuni dei tatuaggi presenti sulla mummia (Foto: www.iceman.it)
Alcuni dei tatuaggi presenti sulla mummia (Foto: www.iceman.it)

Il corpo dell’Uomo venuto dal ghiaccio presenta 61 tatuaggi.
Essi raffigurano fasci di linee e croci. Diversamente dalle moderne tecniche di tatuaggio, i segni non sono stati prodotti con degli aghi, ma mediante minuscoli tagli, nei quali poi è stato sfregato del carbone di legna.

I tatuaggi si trovano in gran parte in luoghi del corpo che durante la vita dell’Uomo venuto dal ghiaccio devono avergli provocato dolori a causa di fenomeni di usura e di malattie. Si tratta quindi primariamente di misure terapeutiche e non di simboli. L’Uomo venuto dal ghiaccio si è sottoposto sicuramente più volte a trattamenti analgesici.

Uno o più fasci di linee verticali si trovano a sinistra e a destra della parte lombare della colonna vertebrale, sul polpaccio sinistro, sul dorso del piede destro, sulla caviglia interna e esterna così come sul torace all’altezza della costola destra più bassa. Due linee corrono sul polso sinistro. Un segno a forma di croce si trova rispettivamente sulla parte interna del ginocchio destro e nella zona vicino al tendine d’Achille sinistro.
Spicca il fatto che molte delle zone tatuate corrispondono alle principali linee dell’agopuntura. Finora si era supposto che questa pratica terapeutica si fosse sviluppata in Asia solo due millenni dopo.

Posizione dei tatuaggi sulla mummia (foto: www.iceman.it)
Posizione dei tatuaggi sulla mummia (foto: www.iceman.it)

La genetica

Il volto di Ötzi ricostruito con tecniche forensi (Foto: http://news.nationalgeographic.com/)
Il volto di Ötzi ricostruito con tecniche forensi (Foto: http://news.nationalgeographic.com/)

Dall’analisi genetica non abbiamo conosciuto soltanto il colore dei suoi occhi, ma anche la sua predisposizione all’arteriosclerosi. Inoltre, trovando l’impronta genetica dei batteri noti come Borrelia burgdorferi, abbiamo saputo che soffriva della malattia di Lyme o borreliosi. Il batterio Borrelia infesta le zecche, le quali possono trasmetterlo all’uomo e agli animali. I luoghi nei quali è più facile contrarre la malattia sono le zone boscose e ricche di cervi, dal momento che queste rappresentano l’habitat ideale per le zecche e che probabilmente era piuttosto comune e frequentato da Ötzi “ai suoi tempi”. L’Elicobacter pylori del suo stomaco, il cui DNA è stato a sua volta sequenziato, si è dimostrato essere appartenente a un ceppo di origine indiana, e non nord africana come quello che ha infettato la popolazione Europea in tempi più recenti.
Questi dati preziosissimi contribuiscono a scrivere la storia degli spostamenti umani nel corso dei millenni.
Ancora dall’analisi genetica apprendiamo che era intollerante al lattosio, il che lo pone in relazione con popolazioni del sud Europa e del Medio Oriente, avvallando l’ipotesi delle migrazioni neolitiche verso ovest.

Ulteriori ricerche hanno dimostrato che il suo patrimonio genetico mitocondriale è andato perduto, ovvero il DNA mitocondriale, trasmesso esclusivamente per via materna, non è attualmente presente in alcun discendente. Mentre almeno diciannove discendenti maschili viventi in Tirolo condividono con l’uomo venuto dal ghiaccio un antenato vissuto tra i 10.000 e i 12.000 anni fa, poiché hanno in comune una rara mutazione genetica nota come G-L91 presente sul cromosoma sessuale Y.

La morte

Il punto di ingresso della freccia e sotto la pelle la punta ancora all'interno del corpo (Foto: http://antiquity.ac.uk/)
Il punto di ingresso della freccia e sotto la pelle la punta ancora all’interno del corpo (Foto: http://antiquity.ac.uk/)

I ricercatori hanno individuato un corpo estraneo nella spalla sinistra della mummia. Si tratta di una freccia che per qualche tempo è stata considerata la causa della morte.
La punta di freccia, che non è mai stata estratta, è stata esaminata ai raggi X. Non ha colpito alcun organo vitale, ma ha raggiunto i fasci vasomotori del braccio sinistro e molti vasi sanguigni. La loro lesione deve aver causato una forte emorragia e, probabilmente, la paralisi del braccio. L’ipotesi quindi fu che l’Uomo venuto dal ghiaccio fosse morto dissanguato in pochi minuti.

Su una mano è stata rilevata inoltre una ferita profonda non ancora guarita, la cui interpretazione è che sia stata provocata da una lotta corpo a corpo risalente però a qualche giorno prima della morte. La recente scoperta di un trauma cranico con forte emorragia nella zona posteriore del cervello e una frattura del cranio fanno ipotizzare una caduta o un’aggressione poco prima della morte, che potrebbe aver costituito la vera causa di morte.

Un’opinione completamente diversa è quella pubblicata dall’archeologo sperimentale veronese Renato Fasolo, sulla rivista inglese “Antiquity” (volume 85, numero 327, marzo 2011). In base alle caratteristiche del foro di ingresso della freccia, alla mancanza di sangue sui reperti e a studi balistici, nonchè alla distribuzione degli oggetti attorno al corpo, Fasolo sostiene la tesi di una sepoltura rituale nel luogo di ritrovamento, smentendo quindi l’ipotesi dell’incidente di caccia o dell’aggressione sul luogo.

Una curiosità è la provenienza della punta di selce della freccia: secondo il geoarcheologo austriaco, Alexander Binsteiner, che ha confrontato la punta di selce con migliaia di altre ritrovate in varie zone d’Europa,  la freccia sarebbe stata prodotta sui Monti Lessini, vicino Verona. Lunga 2,8 centimetri, secondo lo studioso è stata lavorata con una tecnica usata cinquemila anni fa sui Monti Lessini appunto e attribuibile alla cultura di Remedello. Lo stesso Ötzi possedeva un pugnale di selce proveniente dalla medesima zona.

In base all’analisi dei pollini ingeriti da Ötzi si è stabilito che sia morto tra fine primavera e inizio estate.

L’abbigliamento

Ötzi in una ricostruzione antecedente: l'intreccio di fibre vegetali interpretato come mantello oggi si ritiene potesse essere parte della gerla.
Ötzi in una ricostruzione antecedente: l’intreccio di fibre vegetali interpretato come mantello oggi si ritiene potesse essere parte della gerla.

Durante gli scavi archeologici svolti sul luogo del ritrovamento sono stati recuperati tre grossi frammenti di graticcio di erbe, realizzato con una graminacea alpina. All’inizio il graticcio è stato interpretato come una mantella senza maniche, da portare sopra la sopraveste di pelliccia e spesso troviamo disegni ricostruttivi con questa interpretazione.
Questa spiegazione tuttavia è stata ridiscussa nel tempo, perché la forma di questo oggetto non si adatta al corpo.
La sopraveste è realizzata con strisce di pelliccia di capra domestica conciate con grasso e poi affumicate.
Il filo con cui le strisce sono state unite è stato ricavato da fibre di tendini animali.
La sopraveste era indossata con il pelo rivolto all’esterno. L’alternanza di strisce di pelliccia scure e chiare donava a questo indumento un particolare effetto ottico.
Il perizoma è un pezzo rettangolare di pelle largo ca. 33 cm, originariamente raggiungeva circa il metro, confezionato con sottili strisce di pelle di capra cucite insieme con filo ricavato da tendini animali.  Veniva passato fra le gambe e fissato in vita con una cintura.
Non lontano dalla testa della mummia è stato ritrovato un berretto in pelliccia di orso, in ottimo stato di conservazione. Come quasi tutti gli indumenti di Ötzi, anche questo è stato realizzato cucendo insieme diverse strisce di pelliccia.

Ricostruzione delle scarpe di Ötzi a opera di Rolf Barth
Ricostruzione delle scarpe di Ötzi a opera di Rolf Barth

Al momento del ritrovamento Ötzi indossava ancora i suoi gambali, realizzati con strisce di pelliccia di capra domestica cucite con tendine animale.
Si tratta dei più antichi gambali del mondo, una specie di “leggings” che coprivano solo cosce e polpacci. Il bordo superiore era rinforzato con una stringa in pelle che correva parallela ad esso in una serie di fori. Al bordo erano fissati, inoltre, due lacci doppi da annodare alla cintura, per reggere i gambali come in una giarrettiera. Al margine inferiore era cucita una linguetta di pelle di cervo che veniva fissata alle calzature.
Anche le scarpe di Ötzi sono le più antiche del mondo nel loro genere. Queste calzature, formate da una scarpa interna e da una esterna, sono il frutto di una raffinata lavorazione. La scarpa interna tiene ferma l’imbottitura di fieno, che isolava il piede dal freddo. La tomaia è in pelle di cervo e una rete vegetale è fissata con lacci di cuoio ai bordi della suola ovale in pelle d’orso. La pelle è stata impiegata in modo diverso per tomaia  e suola: nel primo caso il pelame è rivolto all’esterno, nel secondo all’interno.
La cintura è costituita da una striscia in cuoio di vitello alta 4-5 cm. Dai frammenti ritrovati è possibile dire che avesse una lunghezza di circa 2 m per cui era possibile avvolgerla a doppio giro intorno alla vita e poi fermarla con un nodo. Sopra la cintura è applicato un lembo di cuoio, che forma una specie di marsupio richiudibile con un sottile laccetto, in cui erano conservati diversi oggetti in selce: un raschiatoio, un perforatore e il frammento di una lama.

L’equipaggiamento

L'ascia di Ötzi
L’ascia di Ötzi

L’oggetto più significativo dell’equipaggiamento dell’Uomo venuto dal ghiaccio è senz’altro l’ascia.
Il manico con testata a gomito, accuratamente levigato, è lungo circa 60 cm ed è in legno di tasso. Dalla testata a gomito si diparte la forcella per fissare la lama costituita al 99,7% di rame: per ottenere un fissaggio ottimale questa è stata incollata dapprima con catrame di betulla e poi ulteriormente assicurata all’immanicatura avvolgendola con sottili stringhe di pelle.  La lama mostra evidenti segni di usura e prove di archeologia sperimentale hanno dimostrato che con questo tipo di ascia si poteva abbattere una pianta di tasso in circa 35 minuti, senza dover ribattere la lama per riaffilarla. L’ascia non può dunque essere interpretata solo come segno distintivo di rango sebbene nel periodo attorno al 3000 a.C. le asce di rame fossero anche uno status symbol.

Il pugnale, lungo circa 13 cm, è composto di una lama in selce triangolare lavorata sull’intera superficie e da un manico in legno di frassino. La lama è incastrata profondamente nel manico di legno e fissata con tendini animali.
La selce proviene dai Monti Lessini, a nord di Verona, dove si trova in giacimenti naturali. Grazie alla sua eccellente qualità, questa selce era una merce di scambio molto richiesta in Europa durante il Neolitico. Il pugnale era custodito in un fodero ad astuccio di forma triangolare, lungo 12 cm, probabilmente portato agganciandolo alla cintura per mezzo di un’asola di cuoio laterale.

Alcuni degli oggetti ritrovati assieme a Ötzi
Alcuni degli oggetti ritrovati assieme a Ötzi

Il ritoccatore è un piccolo strumento a forma di matita che veniva usato per lavorare la selce.
La sua lunghezza è di circa 20 cm ed è formato da un manico in legno di tiglio appuntito all’estremità  e da una punta in corno di cervo temprato a fuoco lunga circa 6 cm che sporge di pochi millimetri dall’impugnatura.
Per fabbricare utensili in selce, la pietra viene lavorata dapprima per scheggiatura: picchiando sulla superficie del nucleo di selce con un percussore si ottengono, infatti, schegge e lame grezze. Il ritoccatore permette poi di dare alle schegge la forma desiderata, staccando dai loro margini piccoli frammenti di pietra.

Ötzi portava con sé un arco in legno lungo 1,82 m. Una volta arrivato alla conca, l’uomo deve aver appoggiato l’arco sulla roccia: lì è stato ritrovato, ancora in posizione verticale, migliaia di anni più tardi. Realizzato in legno di tasso, l’arco non era del tutto finito.

La faretra di Ötzi (www.iceman.it)
La faretra di Ötzi (www.iceman.it)

La faretra è in pelliccia di camoscio a forma di sacca rettangolare sul cui lato lungo è stato applicato come rinforzo un’asticciola in legno di nocciolo lunga 92 cm. La patta di chiusura è decorata con cordoncini di pelle. Al suo interno oltre alle frecce e alle asticciole grezze, furono trovate quattro schegge di corno di cervo tenute insieme con strisce di  rafia,  una punta di corno ricurva, una specie di “attrezzo multiuso” che, tra l’altro, si poteva usare per scuoiare le prede, due tendini animali, un gomitolo di circa 2 m di corda irregolare fatta di libro di tiglio, non adatta per tendere l’arco.

Nella faretra sono state ritrovate solo due frecce complete e altre dodici in fase di lavorazione. Le due frecce finite sono munite di una punta in selce, fissata con catrame di betulla e alcuni giri di filo. Una delle due ha una asticciola divisa in due parti: quella anteriore, più corta, è realizzata in legno di corniolo ed è fissata a incastro nella parte più lunga. All’estremità inferiore delle frecce si trovano resti di piume incollate con catrame di betulla e avvolte con sottili fili di ortica. secondo l’archeologo sperimentale Harm Paulsen, le due frecce non possono essere state costruite dalla stessa persona. Il filo che fissa le penne all’asta delle frecce è stato avvolto, infatti, in un caso da un mancino, nell’altro da un destrorso. Inoltre, la freccia composta non è stata fatta per entrare nella faretra di Ötzi: essa è infatti troppo lunga per permettere alla patta di chiudersi.

recipienti in corteccia di betulla. La parete interna di uno dei recipienti è annerita. Al suo interno sono state trovate foglie di acero riccio raccolte di fresco, in cui erano avvolti diversi resti di piante e frammenti di carbone vegetale. Il contenitore era usato, dunque, come portabraci: le foglie fungevano da materiale isolante, così le braci potevano conservarsi accese per alcune ore. (Foto: www.iceman.it)
recipienti in corteccia di betulla. La parete interna di uno dei recipienti è annerita. Al suo interno sono state trovate foglie di acero riccio raccolte di fresco, in cui erano avvolti diversi resti di piante e frammenti di carbone vegetale. Il contenitore era usato, dunque, come portabraci: le foglie fungevano da materiale isolante, così le braci potevano conservarsi accese per alcune ore. (Foto: www.iceman.it)

Alcuni frammenti rinvenuti sul luogo di ritrovamento, vicino all’ascia e all’arco, sono stati interpretati come appartenenti a una gerla: un bastone di nocciolo piegato a U lungo circa 2 metri avrebbe formato una sorta di supporto da appoggiare alla schiena e due sottili assicelle di legno di larice, che presentano tacche alle estremità, lunghe rispettivamente 38 e 40,3 cm avrebbero costituito gli elementi di congiunzione orizzontali. In origine i pezzi di legno erano fissati tra loro da corde vegetali, di cui sono stati, infatti, trovati dei resti proprio vicino ai frammenti di legno.

Particolari e interessanti due recipienti in corteccia di betulla hanno forma di lattine cilindriche. Il fondo è leggermente ovale e ha un diametro di 15–18 cm. La parete laterale, un unico pezzo di corteccia di betulla rettangolare arrotolato su se stesso, è alta circa 20 cm. I margini del rettangolo sono stati forati e poi cuciti insieme con corda di libro di tiglio.
Rispetto ai recipienti di ceramica, i contenitori in corteccia di betulla erano molto più leggeri e meno fragili, si potrebbe dire quasi fatti apposta per salire in montagna.

Il disco di marmo dolomitico e le cordicelle
Il disco di marmo dolomitico e le cordicelle

L’uomo portava con sé un disco forato di marmo bianco delle Dolomiti, annodato ad una stringa di pelle. A quest’ultima è fissato a sua volta un ciuffo di strisce di pelle attorcigliate a spirale, che forma una sorta di nappa.Nappe simili, chiamate “Hühnergalgen”, vengono utilizzate ancora oggi per la caccia agli uccelli; si fissano alla cintura con la perla discoidale, semplicemente facendo passare il disco sotto la cintura stessa. I cordoncini servono a legare gli uccelli catturati.

Nel complesso l’equipaggiamento dell’Uomo venuto dal ghiaccio è fabbricato con 18 tipi di legno diversi: per ogni oggetto il legno più adatto. Anche gli altri materiali corteccia, rafia, erbe, pelle e selce sono stati sapientemente lavorati per farne oggetti e abiti funzionali. Non è possibile determinare se Ötzi abbia fabbricato personalmente tutti gli oggetti è’ comunque evidente che Ötzi e gli uomini del suo tempo possedevano un’ottima conoscenza delle materie disponibili in natura. Una chiave di sopravvivenza importante.

L’Uomo venuto dal ghiaccio possedeva forse anche un discreto equipaggiamento medicinale.
Tra gli oggetti che portava con sé ci sono due strisce di pelle sulle quali erano infilati due oggetti tondeggianti.
Le analisi hanno dimostrato che si tratta di poliporo di betulla. Il Polyporus umbellatus è un fungo con proprietà antibiotiche ed emostatiche utilizzate in medicina occidentale e cinese per lungo tempo, ancora oggi in uso nella medicina naturale in caso di infezioni.

Insomma Ötzi ha veramente tante cose ancora da raccontarci se in 25 anni dal ritrovamento è stato oggetto di studio continuato. Vorremmo davvero che potesse raccontarcele con la sua voce 🙂

Il sito ufficiale dedicato del Museo archeologico dell’Alto Adige

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