King Arthur , 2004: contesto storico e divagazioni

locandinaKing Arthur è un film  di Antoine Fuqua interpretato, tra gli altri, da Clive Owen e Keira Knightley. Il film è uscito nelle sale negli Stati Uniti il 7 luglio 2004 con anteprima a Los Angeles il 28 giugno 2004, mentre in Italia il film è uscito nelle sale il 1º ottobre 2004.

Introduzione

Il film riprende i temi del ciclo arturiano inquadrandoli però in una cornice storica insolita, in cui lo stesso Artù viene descritto come un romano-britannico ingenuamente convinto del ruolo civilizzatore di Roma.
L’incontro con la realtà di un popolo fatto “schiavo” dalla stessa civilizzazione cristiana lo libera da questa illusione convincendolo ad assumere la guida dei britanni come re/signore della guerra in quella che è diventata ormai la sua patria.
Dichiara nell’incipit di basarsi su recenti scoperte archeologiche.  Analizziamo un pò quindi la fedeltà storica della pellicola.

 

Contesto storico: Costantino III l’usurpatore

Britannia Romana

Britannia Romana

Il racconto si svolge nella Britannia del V secolo, periodo del ritiro delle truppe romane, richiamate per fronteggiare il pericolo del Visigoto Alarico che raggiunse e saccheggiò Roma nell’agosto del 410.

Sin dalla fine del IV secolo la Britannia subiva un crescente numero di attacchi barbarici da ogni parte, mentre sempre meno truppe imperiali venivano impiegate nella sua effettiva difesa.

Migrazioni barbariche del IV-V secolo

Migrazioni barbariche del IV-V secolo

Anche nel continente infatti nel 406 Vandali, Burgundi, Alani e Suebi attraversarono il Reno gelato vicino Magonza e invasero l’impero.
Le popolazioni Britanniche sentendosi abbandonate dall’imperatore di occidente Onorio, nel 407 acclamarono come imperatore d’Occidente il soldato Flavio Claudio Costantino, che si diede il nome di Costantino III. Questi attraversò la Manica ed ebbe un primo scontro sfavorevole con Saro, luogotenente del magister militum di Onorio, Stilicone. Ma non si diede per vinto e inviò nuovi contingenti, affrontando contemporaneamente Saro e Stilicone in Francia e i cugini di Onorio, Didimo e Veriniano, in Spagna. Risultò vittorioso, grazie anche alle vicende interne della corte di Onorio, che nell’agosto del 408 portarono alla condanna a morte del suo valoroso generale Stilicone. Onorio era indebolito e incapace di reagire all’usurpatore, soprattutto dopo l’abbandono da parte di Saro e si trincerò a Ravenna.

Solido di Costantino, coniato a Lugdunum (Lione)

Solido di Costantino, coniato a Lugdunum (Lione)

Nel frattempo Costantino III vide la Britannia rivoltarsi anche contro di lui, che di fatto, da subito, aveva lasciato l’isola a se stessa sotto i continui attacchi dei Sassoni.
Fu così che Costantino III si rivolse ad Onorio offrendogli aiuto contro Alarico che compiva le sue scorribande in Etruria. Onorio accettò e e gli concesse il titolo di co-imperatore e la condivisione del consolato per il 409.
In uno scenario di continui cambi di campo, il magister equitum di Onorio, Allobico,  lo allettò con la proposta di scendere in Italia per sostituire Onorio, considerato troppo debole. Nel frattempo il suo magister militum Geronzio in Spagna si ribellò e nominò imperatore un suo uomo. In breve Costantino III si trova tradito dal suo magister militum che lo assedia ad Arles e privato dell’appoggio di Allobico gustiziato per tradimento da Onorio. Un altro generale di Onorio,  Flavio Costanzo (il futuro imperatore Costanzo III) giunto ad Arles mette in fuga Geronzio e cattura Costantino III.
Solo la sua testa raggiungerà la corte imperiale di Ravenna il 18 settembre 411.

Fine del controllo romano della Britannia tra il 383 e il 410

Fine del controllo romano della Britannia tra il 383 e il 410 (clicca per ingrandire)

Nel frattempo la Britannia era in balia dei Sassoni provenienti da est, dei Caledoni/Pitti da nord e degli Irlandesi/Scoti da ovest, in un totale isolamento rispetto al resto dell’Impero e con sole tre legioni a difenderla. Dal 407 la zecca di Londinium (Londra) cessò la coniazione di monete per la paga dei legionari. Le rivolte e gli ammutinamenti erano frequenti e sebbene nel 408 un’incursione sassone fu apparentemente respinta dai Britanni appoggiati da pochi contingenti romani rimasti nell’isola in quanto sposati con donne indigene, la situazione doveva consistere in un’anarchia pressoché assoluta:  truppe romane si ritiravano a partire dai territori settentrionali per concentrarsi nei porti meridionali in vista dell’imbarco, i mercenari in parte seguivano i romani, in parte rimanevano liberi sull’isola, i Britanni inquadrati nelle truppe romane in gran parte seguivano i loro commilitoni sul continente, molti legionari sposati a donne locali disertavano per rimanere in loco.
A questo punto sembra che i Romano-Britanni siano stati lasciati soli a pensare alla propria difesa, così come sembrerebbe confermare appunto il rescritto di Onorio, citato dallo storico bizantino del VI secolo Zosimo, in cui l’imperatore inviterebbe la popolazione dell’isola a provvedere autonomamente alla propria difesa. I rapporti tra Britanni e Romani erano stati caratterizzati da una sorta di amore-odio nei secoli precedenti, con frequenti insurrezioni della popolazione celtica contro Roma. Con la partenza dei Romani dall’isola in pochi anni si ritornò alla situazione di instabilità e di guerra continua che aveva caratterizzato la Britannia preromana e che rese così debole e vulnerabile l’isola. Le guerre intestine sconvolsero l’isola per un trentennio, fino a quando un capo-clan, Vortigern, assoldò dei mercenari anglosassoni e juti per combattere e sconfiggere i capi rivali e respingere Scoti e Pitti.  La scelta di servirsi di barbari come mercenari, anziché di far ricorso a Roma, può esser stata obbligata dal fatto che dal 440 il reale potere di Roma era praticamente confinato alla sola Italia.

Vortigern e i Sassoni

Migrazioni di Angli, Sassoni e Juti nella Britannia del V secolo

Migrazioni di Angli, Sassoni e Juti nella Britannia del V secolo

Alcuni studiosi sostengono che “Vortigern” non sia un nome proprio di persona, ma piuttosto un titolo che significa “despota”. Viene anche identificato come colui che, nel 449, chiamò i Sassoni, insieme agli Juti e agli Angli, per servire come mercenari, aprendo così a costoro la conquista dell’isola.
Sebbene gli storici concordino nel considerare Vortigern come un personaggio realmente esistito, gran parte della tradizione che lo riguarda è costituita da leggende e racconti epici. Anche a causa di un’incerta etimologia, sono diffuse numerose trascrizioni del suo nome, tra cui Vortiger, Vortigen, Vortingen, Vortingern, Gwrtheyrn in gallese e Urtigernus in latino.
Egli appare in tutti racconti tradizionali della storia britannica a partire da Gildas, seguito da Beda e da Nennio, fino a Goffredo di Monmouth. In tutti i testi, differenti per particolari, Vortigern è disegnato come un uomo malvagio e prepotente, infido e sleale. E tutti concordano sulla sua responsabilità nell’aver invitato i mercenari Sassoni su suolo britannico.
Di fatto la presenza germanica in Britannia sarebbe iniziata molto prima, visto che truppe ausiliarie germaniche erano presenti nell’isola già nel I e II secolo, come archeologicamente provato da ritrovamenti di villaggi di stile germanico sulle rive del Tamigi e datate al II secolo. Nel 446 i Britanni si rivolsero al generale Ezio perché li aiutasse contro i Sassoni e nel 577 fu combattuta la battaglia di Dyrham, dopo la quale città come Bath, Cirencester e Gloucester caddero in mano ai Sassoni, che giunsero così a occupare la costa occidentale della Britanna. Fu proprio tra la fine del V e l’inizio del VI secolo che molti Britanni fuggirono in Armorica, che da loro prese il nome di Bretagna. È proprio in questo periodo, inoltre, che da molti studiosi viene collocata la figura di Re Artù.

Merlino spiega a Vortigern il mistero della demolizione della torre: la presenza dei due draghi nel lago sotterraneo sotto di essa.

Merlino spiega a Vortigern il mistero della demolizione della torre: la presenza dei due draghi nel lago sotterraneo sotto di essa.

E’ sempre tra i miti di Vortigern, inoltre, che viene introdotta la figura di Merlino. Lo fa Goffredo di Monmouth nella sua Historia Regum Britanniae narrando l’episodio dei due draghi, uno bianco e uno rosso, che lottano all’interno del monte su cui Vortigern tenta invano di erigere una torre; questa viene demolita ogni notte da scosse costanti del suolo. Merlino svela l’esistenza dei draghi, spiegando a Vortigern il motivo dei suoni e dei terremoti.

 

Il popolo Woad

Una Ginevra dipinta col guado (woad)

Una Ginevra dipinta col guado (woad)

Il popolo Woad che nel film viene guidato da Merlino e Ginevra è un popolo che, con questo nome, non esiste sui libri di storia, ma ci pare di intendere che derivi da una commistione di diversi elementi che cercheremo di dipanare.
Woad è il termine inglese per la pianta del guado (Isatis tinctoria), che fa parte delle cosiddette piante da blu
insieme al guado cinese e la persicaria dei tintori. E’ stata a lungo utilizzata per tingere filati naturali, dando un colore indaco molto persistente.
Secondo Cesare, gli abitanti della Britannia, i Britanni appunto, erano soliti colorarsi il volto e il corpo proprio con l’estratto blu di questa pianta.

Tra tutti i popoli della Britannia, i più civili in assoluto sono gli abitanti del Canzio, una regione completamente marittima non molto dissimile per usi e costumi dalla Gallia. Gli abitanti dell’interno, per la maggior parte, non seminano grano, ma si nutrono di latte e carne e si vestono di pelli. Tutti i Britanni, poi, si tingono col guado, che produce un colore turchino, e perciò in battaglia il loro aspetto è ancor più terrificante.
De Bello Gallico (libro V,14)

Lana tinta con il guado

Lana tinta con il guado

Pianta di guado in fiore, il colore si estrae dalle foglie "mature" come quelle violacee in foto

Pianta di guado in fiore: il colore si estrae dalle foglie “mature”, violacee nella foto

Guado (inglese Woad) Isatis tinctoria

Guado (inglese Woad) Isatis tinctoria

Ma Cesare nelle sue due brevi spedizioni del 55 e 54 a.C. ebbe  modo di conoscere solo la parte meridionale dell’isola, dopo essere approdato sulla costa dell’attuale Kent (Canzio).

In seguito, nel I secolo d.C., i romani, raggiunsero anche il nord, dove trovarono alcune tribù di indomiti, molto meno civilizzati dei Britanni del sud. Esse erano verosimilmente costituite sia da Caledoni, ovvero tribù autoctone discendenti dagli abitanti neolitici della zona, sia da Britanni in senso stretto, ovvero popolazioni celtiche sopraggiunte nel corso del I millennio a.C. Apparentemente questi due popoli vennero indicati genericamente, con un termine latino piuttosto tardo, come Pitti. Il primo a usare questo termine è il retore di origine gallica Eumenio in un panegirico del 297 d.C. in cui li associa agli Irlandesi come nemici dei Britanni.
Ammiano Marcellino, che scrive nel IV secolo i suoi  Rerum Gestarum Libri, ci dice che i Pitti sono formati da Dycalidones (una storpiatura del nome di Caledoni) e Verturiones, ma senza darci ulteriori informazioni. Potremmo intenderli come Pitti del Nord e Pitti del Sud?

Sembra quindi che il termine Pitti sia un generico per “popolazioni del nord della Britannia”
Lo stesso nome Pitti viene fatto derivare secondo la più antica teoria dal latino pictus (plurale: picti) e significa dipinti, colorati. Ma potrebbe essere una traduzione dei termini  Prydyn ( usato dai Britanni) o  pryd dei primi gallesi del sud.  I termini cruth in antico inglese e pryd in gallese deriverebbero dal celtico e significherebbero “forma” intesi quindi come ulteriori riferimenti alla pratica dei Pitti di tatuare i propri corpi.
Nel IV secolo la Caledonia fu inoltre invasa dal popolo celtico degli Scoti, proveniente dalla celtica Irlanda, e dopo alcuni scontri e battaglie sembra che questi ultimi si siano mescolati ai Pitti, rendendo difficile una identificazione delle due etnie originarie.

Ci sembra quindi che, non volendo addentrarsi in questioni etnologiche, il regista abbia pensato di indicare genericamente le popolazioni del nord della Britannia con un termine che evocasse quello dei Pitti nel significato di “colorati”, data l’abbondanza di colorazione di attori e comparse, senza dover definire se fossero di fatto i Pitti autoctoni, in guerra contro i Britanni, i Britanni stessi dipinti di guado come racconta Cesare, o gli irlandesi Scoti. Usare il nome della pianta per evocare l’usanza di colorarsi in battaglia è sufficientemente vago ma allo stesso tempo abbastanza efficace per indurci nell’immaginario già acquisito tramite le letture classiche, di una popolazione estremamente vigorosa e riottosa alla romanizzazione, vagamente celtica, ma molto più “selvaggia” e indubbiamente e indiscutibilmente “dipinta di blu“.

I Sarmati e Lucius Artorius Castus

Epigrafe del II secolo rinvenuta a Podstana in Croazia

Epigrafe del II secolo rinvenuta a Podstana in Croazia

Vi fu effettivamente un comandante romano-britanno a capo di una forza di cavalieri Sarmati di nome Lucius Artorius Castus. Ne abbiamo notizia da un’epigrafe trovata in due frammenti a Podstrana, sulla costa della Croazia che lo definisce “Dux”, ovvero un
comandante di elevato grado, di solito distintosi in particolari azioni. E’ a questo ritrovamento che fa apertamente riferimento il film.
La datazione dell’iscrizione, risalente a prima del 200, e la definizione di Casto come “dux” suggeriscono che si potrebbe trattare di un comandante militare al seguito di Ulpio Marcello, il quale nel 185 fu inviato, come ricorda Cassio Dione, a capo di una spedizione militare in Armorica (odierna Bretagna) e Normandia. Se Casto partecipò alla vittoriosa campagna guidata da Ulpio Marcello, forse un suo parente dato che la gens Ulpia era imparentata con la gens Artoria, contro i Caledoni e poi al pattugliamento e alla difesa del Vallo di Adriano, doveva essere stanziato, secondo alcuni studiosi, a Bremetenacum con un contingente di cavalieri sarmati. Quando la VI Vincitrice si ammutinò, Casto potrebbe essere rimasto fedele all’imperatore; quello che è certo, in base all’epigrafe, è che Casto, dopo essere stato alto ufficiale nella legione VI Vincitrice, ebbe il prestigioso titolo di “dux”. Peccato sia vissuto nel II secolo d.C.
Ma sebbene Casto non visse al tempo delle invasioni sassoni in Britannia, si potrebbe pensare che il ricordo delle gesta di Casto, tramandate nelle tradizioni locali, andarono crescendo col tempo fino a formare le prime tradizioni arturiane. La prima apparizione del personaggio “Arthur”, qualificato “dux” così come Artorius nell’epigrafe, nella Historia Brittonum del IX secolo, secondo lo storico Leslie Alcock, era tratta da un poema gallese, originariamente privo di un riferimento cronologico preciso, come pure di una indicazione degli avversari contro cui combatté le sue dodici vittoriose battaglie.

Recenti studi (Xavier Loriot e altri) tendono tuttavia a leggere nell’epigrafe “Armenios” in luogo di “Armoricos”, modificando il quadro spaziale e temporale della vita e delle gesta di Lucius Artorius Castus.

Chi era allora il condottiero che ha sconfitto i Sassoni a Badon Hill, presso il Vallo di Adriano?

Historia Brittonum da British Library

Pagina da Historia Brittonum  British Library

Oltre al fatto che neppure la collocazione del campo di battaglia è realmente certa, pare si trattasse di un altro romano-britanno, tale Ambrosio Aureliano. Nell’Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth è erroneamente riportato come Aurelio Ambrosio. Fu un capo semi-leggendario romano-britannico, che vinse importanti battaglie contro gli anglosassoni nel V secolo, secondo Gildas e leggende conservate nell’Historia Brittonum di Nennio.
Stando ai Chronica Maiora, importante manoscritto medievale in latino di Matteo Paris, Ambrosio prese il potere nel 479. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che fosse il leader dei romano-britannici nella battaglia del Monte Badon. 

Gildas risulta essere l’unico testimone vissuto negli anni in cui Ambrosio Aureliano sconfisse gli invasori anglo-sassoni, mentre tutti i successivi letterati che scrissero in merito lo fecero basandosi su fonti altrui (come Nennio e Beda): questo fatto conferma, secondo lo storico Morris , che Ambrosio Aureliano potrebbe essere il mitico Re Artù, in quanto Gildas esplicitamente lo ritiene il capo dei britannici romanizzati nella battaglia di Monte Badon.

Secondo Gildas, Ambrosio organizzò i superstiti in un esercito e ottenne la prima vittoria militare contro gli invasori sassoni. Tuttavia, questo successo non fu decisivo: “A volte i sassoni e a volte i cittadini furono vittoriosi”. 

Un punto di questa breve descrizione ha attratto l’attenzione degli studiosi, sollevando una domanda. Il fatto che Gildas dica che i parenti di Ambrosio “portarono la porpora” indicherebbe che egli era collegato con uno degli imperatori romani, forse con la casata di Teodosio o con un usurpatore come Costantino III? La mancanza di informazioni per questo periodo, però, non permette di dare una risposta sicura a questo quesito.

E come mai avrebbero dovuto trovarsi dei cavalieri Sarmati all’estremo nord dell’impero nel V secolo d.C.?

Artù e i "suoi" cavalieri sarmati dal film King Arthur

Artù e i “suoi” cavalieri sarmati dal film King Arthur

In questo contingente così fortemente dislocato spazialmente invece non c’è nulla di sospetto: l’esercito imperiale si servì sempre più spesso di ausiliari barbari che fossero essi mercenari o soggetti a coscrizione per accordo, come nel caso dei popoli foederati dell’Impero, o per pagamento, come nel caso dei popoli sconfitti e sottomessi. In particolare i Sarmati, provenienti dall’attuale Ucraina, erano formidabili cavalieri molto apprezzati per questa loro abilità e certamente portarono nell’arte del combattimento a cavallo svariate evoluzioni nello stesso esercito imperiale, oltre che presso i popoli a loro limitrofi, come ad esempio i Goti. A partire dal 350 l’impero inviò un numero via via inferiore di truppe in Britannia e gli ultimi contingenti erano composti da mercenari barbari di stirpe iranica, gli Alani ed i Sarmati.

In sostanza Artorius Castus non poteva trovarsi a Badon Hill nel V secolo e Ambrosio Aureliano molto probabilmente non comandava cavalieri sarmati.

Sicuramente, in quei primi anni dopo il ritiro delle legioni, nei cosiddetti “anni bui” della storia inglese, altri condottieri si saranno distinti per valore e forza in battaglia, ma chi di essi era davvero Artù o ne ha ispirato la figura? Probabilmente tutti e nessuno. Storici e appassionati sono arrivati alla conclusione che re Artù sia una figura leggendaria, probabilmente il simbolo della nuova indipendenza, della resistenza contro gli invasori e dell’affermazione di un’identità nazionale fino a quel momento assente.

Concludiamo con uno stralcio della recensione dall’almanacco di Archeologia tardoantica e altomedievale a Siena a firma di Marco Valenti sui luoghi della tradizione arturiana

“Archeologia Arturiana”

(seguono alcune note tratte dal corso di Archeologia dell’Alto Medio Evo, da me tenuto nell’anno 2011-2012 ed incentrato sulla storia insediativa ed economica del Barbaricum e delle province sul Limes, dal titolo: “L’archeologia arturiana e gli insediamenti fortificati bretoni”).
Buona lettura (spero….)

Alcuni ipotizzano che Arthur fosse stato un comandante delle forze romano-bretoni che sconfissero gli anglo-sassoni nella battaglia di Badon Hill intorno all’anno 493; uno dei più importanti leader nella salvaguardia dello stile di vita romano-britannico negli odierni territori di Inghilterra e Galles.
Un guerriero che ebbe successo per un periodo più o meno lungo e che morì tragicamente in una guerra civile dopo una misteriosa battaglia del 537 a Camlann.
La sua figura non è però provata storicamente da fonti più o meno contemporanee; i primi testi scritti che parlano di Arthur datano 600 anni dopo la sua presunta esistenza (Historia Regum Britanniae del 1135 di Geoffrey of Monmouth) e non trovano menzione nel lavoro di Gilda del 545 sul declino dell’autorità romana in Britannia e gli eventi che seguirono.
Quest’assenza nelle prime fonti documentarie suggerisce tre ipotesi:

  • esiste un documento che gli storici non hanno trovato o al quale non hanno accesso
  • la storia di King Arthur era solo orale e tramandata di generazione in generazione è poi stata registrata in forma scritta
  • il personaggio è solo una creazione della letteratura medievale romantica: nel 1160, lo scrittore francese Chretien de Troyes individuò Arthur come un soggetto affascinante (introducendo nel racconto cavalleria medievale, inventando personaggi ed atmosfere cortesi) e nel 1485Sir Thomas Malory in “The Death of Arthur”, lo trasformò in un eroe del XV secolo.

Il fascino e le polemiche sulla veridicità della figura di Arthur hanno generato una copiosa letteratura specifica e recentemente un vasto movimento di “web ring” in Internet. Non solo, l’archeologia stessa è stata utilizzata per dare risposte agli interrogativi che, in definitiva, rimangono per certi aspetti aperti.
Una sintesi ben fatta sulla storia dell’archeologia arturiana è di Michelle Biehl dell’Università del Minnesota (A Short History of Arthurian Archaeology, written for Archaeology of Europe, University of Minnesota, 1991).
Ciò che dobbiamo sottolineare è comunque la necessità di tenere nettamente distinte l’archeologia dei siti arturiani (che ha una sua dimensione scientifica) e la letteratura arturiana. L’archeologia arturiana paga questa accomunazione che trova origine anche in ragioni di ordine psicologico e sociologico. Esiste una tendenza nella nostra società a romanticizzare il passato, a mistificarlo seguendo la nostra immaginazione ed adattandolo alla nostra idea (o speranza) di come doveva essere.
David Lowenthal teorizza, nel trattare i meccanismi alla base delle modellizzazioni archeologiche, che cerchiamo di aggrapparci così disperatamente alle presunte certezze del passato in parte per esorcizzare l’incertezza del nostro futuro; qualunque siano i motivi, dobbiamo però sottolineare che si tratta di una nostra colpa e King Arthur è una delle nostre vittime.
L’evidenza archeologica non conferma completamente ma neppure contraddice l’esistenza di una figura storica di Arthur; la localizzazione topografica, la portata e la cronologia dei rinvenimenti convergono infatti sull’immediato periodo post romano e confermano la frequentazione dei principali luoghi della saga arturiana.
Ciò che non esiste e non è esistito mai è il King Arthur di Camelot, glorificato dalla letteratura popolare a tal punto da non essere umano, bensì un mito, un eroe deificato che un giorno potrebbe resuscitare per salvare l’Inghilterra.

Due sono gli scavi principali su siti arturiani: Tintanghl (nella saga popolare castello di nascita di Arthur) e Cadbury (il castello di Camelot).
Tintagel, sulla costa sud ovest della Britannia, in Cornovaglia, circondato per tre lati da acqua, è un rilievo collegato alla terraferma da una stretta lingua. La prima menzione di un castello ed il suo legame con Arthur è nel testo di Geoffry of Monmouth del 1149, che nella presentazione afferma di essersi basato su una grande raccolta di vecchi documenti messi a disposizione da Walter Arcidiacono di Oxford (raccolta che tuttavia non è mai stata trovata).
C. A. Raleigh Radford fu interpellato dal British Ministry of Works nel 1930 per verificare la storia arturiana del sito. Il suo scavo durò, anche se non continuativamente, per 30 anni ed i risultati più importanti si sono avuti sul cosiddetto “sito A”, un’area caratterizzata da una serie di strutture ascrivibili sulla base delle tecniche murarie in quattro periodi. Al periodo I è riconducibile solo una struttura completa, la “Room 9” che la ceramica datava tra gli anni 450-700. Il periodo II, letto come di passaggio al successivo e non circoscrivibile con precisione, ha comunque inizio dall’VIII secolo. Il periodo III propone gli stessi problemi cronologici ed è stato datato in un lasso temporale indefinito post VIII secolo e XII secolo. Il periodo IV venne invece ascritto tra post XII secolo sino all’occupazione normanna.
Rispetto ai problemi legati alla presenza arturiana le possibili risposte erano nel periodo I.
Radford propose un’interpretazione del sito come antico monastero celtico ma nel proseguio dello scavo non trovò nessuna sepoltura, che sono invece un normale accompagnamento di questi complessi religiosi.
Nell’estate del 1983, una serie di incendi sulla collina di Tintagel portarono alla luce un’insospettata quantità di nuovi edifici di forma rettangolare e non circolare come tipico dei monasteri irlandesi di IV-V secolo, che, a seguito di nuovi scavi, rivelarono un’articolazione più complessa dell’abitato: dal controllo romano del III secolo sino alla caduta del castello causata dall’attacco anglo-sassone.
La nuova periodizzazione elaborata da Charles Thomas anticipa il Periodo I in età romana, III-IV secolo. Il periodo II, metà V-VII secolo, caratterizzato dalla presenza di molta ceramica d’importazione tra cui anfore sigillate dal Nord Africa, dal Mediterraneo dell’est, dalla Gallia, vede la nascita di una “cittadella” probabilmente di grande importanza, in parte fortificata naturalmente in parte attraverso opere difensive minori. Il sito doveva funzionare come “trading station”, un approdo del nord ovest per imbarcazioni in navigazione verso il fiume Carmel.
La cittadella doveva sia fungere da luogo di smistamento delle ceramiche d’importazione per la Cornovaglia, sia detenere una sorta di ruolo fiscale su questa rotta. La scelta di questo sito, invece della vicina zona di Port Williams che per il periodo metà V-VII secolo doveva essere più comoda per la costituzione di una “trading station”, trova spiegazione in alcuni fattori tra i quali la tendenza accertata per questo periodo di costituire fortificazioni reali o di alto rango in altura.
Nel 1981O.J.Padel, iniziò una ricerca sul “Cornish background” delle storie di Tristano e si interessò al ruolo di Tintagel nella letteratura medievale scoprendo che nel folklore della Cornovaglia pre normanna la località era riferita ad un “royal palace”. Questi dati si accordano bene ai risultati archeologici.
In conclusione possiamo affermare che: il periodo di occupazione e fioritura del sito è coerente con le cronologie della saga arturiana; fu un insediamento di un certo spessore delle British Isles; presenta le condizioni per lo sviluppo di un fiorente dominio locale; i risultati archeologici né confermano né smentiscono l’inizio della saga di Arthur su questo sito, cioè il racconto di Geoffrey of Monmouth.

La collina di South Cadbury, nel 1965, dopo un’aratura profonda mostrò la presenza di frammenti ceramici tra i quali alcune importazioni simili a quelle scoperte a Tintagel. La coincidenza fu sufficiente per fare costituire un’organizzazione, il Camelot Research Committee, composto da storici e da archeologi: C.A. Raleigh Radford, Geoffrey Ashe e Phillip Rahtz, sotto la direzione di Leslie Alcock.
Iniziò nel 1966 uno breve scavo conoscitivo per capire se esistevano depositi tali da giustificare l’investimento di fondi destinati ad un intervento su larga scala. I risultati furono immediatamente soddisfacenti. Vennero aperte tre aree (A, B, C) sui 18 acri della collina e riconosciuti strati di vita che coprivano un lasso cronologico comprendente il Neolitico, l’età del bronzo, l’età del ferro pre romana caratterizzata da un ricco orizzonte culturale, una violenta distruzione collocabile intorno al 45 d.C., ed un periodo di occupazione stabile ascrivibile al III-IV secolo; infine venne individuata un’occupazione del sito molto marcata durante il primo altomedioevo.
Lo scavo continuò sino all’estate 1970 evidenziando una roccaforte militare ascrivibile al “dark age”. Il comitato decise quindi di effettuare prospezioni geofisiche per individuare le aree di proseguimento dello scavo e venne selezionata un’area di oltre 1000 mq. Qui i depositi hanno mostrato più di cinque fasi in successione ed almeno due di età post romana. Si comprese che la collina era stata rioccupata nella seconda metà del V secolo e, poco più tardi, le difese esistenti vennero ricostruite e potenziate edificando un “stone-and-timber-system”.
Questa rifortificazione consisteva in muri di pietre a secco dallo spessore di sedici piedi con blocchi di murature romane riutilizzate nella parte alta su cui poggiava una sovrastruttura in legno, con un terrapieno esterno ulteriormente rafforzato da un muro in pietra, una torre con ponte e doppio ingresso; inoltre un’area di buche di palo rivelava la presenza di un grande edificio, una “timber hall” costruita tra gli anni 460-500 e con misure di poco superiori ai 60 x 30 piedi (circa 180 metri per 90 N.d.E.) Cadbury era quindi un complesso distintivo e senza confronti nelle British Isles, con ogni probabilità non un castello bensì una sorta di quartier generale poderosamente fortificato, attribuibile ad un re e capace di accogliere non solo il re e la sua guardia personale bensì un intero esercito. Esistono infatti altri esempi di hill-forts rioccupati nel periodo post romano, ma nessuno presenta rifortificazioni di questa scala ed estese per 18 acri; a Cadbury sono accostabili solo le ben più piccole fortificazioni di Aldeed, in Scozia, capitale dell’antico regno di Clyde. La fortezza di Cadbury doveva anche essere inserita nella rete commerciale che faceva capo a Tintagel, come provano le ceramiche rinvenute.

Segnaliamo infine la recente evoluzione delle indagini a Tintagel. Nel 1998, l’università di Glasgow, nella persona di Chris Morris, è tornata sul sito per una breve investigazione dell’area che si era iniziata ad indagare nel 1930. Tra i risultati ottenuti elenchiamo l’apporto al riconoscimento di una Britannia romanizzata che continua ancora nel periodo oscuro del “dark age” con tracce di collegamenti diretti con la Spagna, la conferma di trovarsi di fronte non ad un insediamento del tipo di “alto rango” e infine il ritrovamento di una lastra iscritta che copriva un canale di scolo la quale ha aperto molti interrogativi.
La lastra, rotta sul lato destro, riportava varie lettere incise; alcune delle frasi non sono ben identificabili ma si tratta di lettere latine con alcuni elementi del primitivo alfabeto irlandese e bretone e con confronti in pietre iscritte in alfabeto britannico rinvenute sia in Scozia che in Cornovaglia dopo il VI secolo.
Una parte dell’iscrizione riporta PATER / COLI AVI FICIT / ARTOGNOV tradotto dal professor Charles ThomasArtognou padre di un discendente di Coll ha fatto.
La commemorazione conferma il perdurare di uno stile di vita romano e la continuità dello scrivere e leggere in latino nell’entourage del governante di Dumnonia. Il nome bretone rappresentato dal latino Artognov è “Arthnou“. Il primo elemento usa il celtico “art-os”, in irlandese “art” ed in gaelico “arth” con il significato di “orso”. Questo è come in molti altri nomi antico gaelici tipo Arthmail e Arthien.
Sebbene Tintagel venga associato al misterioso e mitico periodo arturiano, i ricercatori hanno preso le distanze dall’associare il nome a king Arthur e Thomas afferma che ci troviamo in realtà di fronte solamente alla prova che il nome “ARTOGNOU” era usato da elementi celtici. Mentre questa spiegazione può deludere i romantici, è chiaro che il rinvenimento di questo nome, peraltro effettuato solo a Tintangel, ha aperto nuove prospettive. L’iscrizione, in ultima analisi, dimostra la capacità del sito di sorprendere anche dopo decenni di indagini.

Marco Valenti

 

King_Arthur

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Bibliografia

Wikipedia su King Arthur

  • Isaac Taylor, The Names of Nations in Words and places, or, etymological illustrations of history, ethnology, and geography, 2ª ed., Macmillan, 1864
  •  Hector Munro Chadwick, Cruithentuath in Early Scotland: the Picts, the Scots & the Welsh of southern Scotland, CUP Archive, 1949
  • Historia Regum Britanniae. Traduzione dal latino, introduzione e note di Italo Pin. Treves Editore, Roma 2005
  • Elton, Hugh, “Constantine III (407-411 A.D.)”, De Imperatoribus Romanis
  • Peter Heather “La caduta dell’Impero Romano. Garzanti Editore; 2007
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2 risposte a King Arthur , 2004: contesto storico e divagazioni

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