Sono reduce dalla visione del film documentario “I longobardi in Italia” che permette di compiere un viaggio tra i luoghi appartenenti al sito seriale dell’UNESCO “Italia Langobardorum”. Ripensando a quanto visto e ascoltato mi viene fatto di pensare come i libri scolastici di storia maltrattino ancora molto i regni instaurati in Europa dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
La nostra storia, quella Europea e soprattutto italiana, non sono rimaste certo sospese e in apnea nell’attesa del Rinascimento. Nel lungo e complicato periodo durato ben mille anni, definito banalmente Medio Evo, età di mezzo tra la grandiosità dell’impero Romano e la Rinascita, si sono succeduti in Italia una serie di popoli e vicende che hanno lasciato il segno: nell’architettura, nell’arte, nella lingua. E poiché con il linguaggio si trasmettono le idee, non temiamo di dire che hanno lasciato il segno nel nostro pensiero.
Senza scadere nelle irrisolvibili diàtribe tra nostalgici eredi dell’Impero Romano e altrettanto nostalgici eredi di tutte le altre etnie che hanno popolato la penisola, mi sembra il caso di dare giusto risalto a quanto della cultura cosiddetta barbarica il nostro paese possiede. Conosco già un paio di obiezioni: Poggiarono sulla struttura giuridico-amministrativa romana! Impararono a costruire dai Romani! Tutto vero, sarebbe stato del resto una scelta insensata e irresponsabile gettare quanto di buono e ancora perfettamente funzionante e funzionale rimaneva dell’Impero. Un segno di intelligenza farne buon uso e ampliarne le potenzialità in un’era diversa e nuova. Facciamo una rapida carrellata, in puro stile Bignami di Storia.
Quando finisce l’impero romano d’Occidente?
Come tutti sanno la caduta dell’Impero romano d’Occidente viene fatta ufficialmente coincidere con la presa del potere da parte di Odoacre, nel 476. E’ questa una data del tutto convenzionale dal momento che, anche negli anni precedenti, il comando non era più di fatto in mano agli imperatori, ma ai loro magistri militum, generali di stirpe barbarica che in tempi di grandi pressioni militari in tutta la parte occidentale dell’impero, detenevano il potere attraverso il controllo delle legioni. Ma secondo me il cosiddetto “inizio della fine” fu segnato con certezza dalla Battaglia di Adrianopoli nel 378, in cui lo stesso imperatore Valente perse la vita e che vide la sconfitta schiacciante dell’esercito romano ad opera dei Goti.
Sull’argomento ho scovato una meravigliosa conferenza tenuta recentemente dal Professor Alessandro Barbero che presenta un’affascinante descrizione di come si arrivò ad Adrianopoli e cosa significò e che, con mio enorme conforto, condivide la mia opinione. Con la sua consueta capacità descrittiva e divulgativa rende il periodo in questione veramente “vivo”. Vi propongo il video con estremo piacere, ci sentiamo poi.
Come Barbero ha esaustivamente dimostrato quindi si può iniziare a parlare di declino già circa un secolo prima della data scolasticamente appresa e convenzionalmente stabilita. Si tratta di un secolo incredibilmente movimentato per l’Impero e per la nostra penisola. Le motivazioni del declino e tutte le sue manifestazioni non sono argomento da poco e non è il caso di trattarle in questo veloce articolo da blog, ma in appendice troverete dei testi di vario genere su cui approfondire. Per quanto mi riguarda non mi piace il termine “Caduta dell’Impero” si tratta di una trasformazione dall’impero ai regni successivi, definiti Romano-Barbarici e non vi è, culturalmente, una soluzione di continuità. A dirla tutta è il periodo della storia che personalmente preferisco per la ricchezza di rimandi tra la cultura classica e la nuova linfa barbarica. Mi piacciono i contrasti e l’ibridazione.
In buona sostanza la presenza di questo elemento “barbarico” in Italia ha una storia ben più complessa e sfumata di quello che i libri di storia scolastici possano far trasparire.
Riprendendo gli Atti del Convegno internazionale di studi (Cimitile-Santa Maria Capua Vetere, 17-18 giugno 2010)
“L’avanzata unna a metà del IV secolo, l’attraversamento del Danubio da parte dei Goti nel 376 e il successivo disastro di Adrianopoli fanno sì che aumenti anche in Occidente la presenza di nuclei barbarici originariamente stanziati nell’Europa centro-orientale. Si incrementa sensibilmente l’arruolamento di Goti, Eruli, Sarmati, Alani e Unni nell’esercito imperiale sia che si tratti di singoli individui o di bande più consistenti, tali da costituire reparti regolari con forte caratterizzazione etnica o di buccelarii a disposizione di un potente generale. La presenza di Goti e Alani in Italia si fa particolarmente significativa a partire dall’ultimo ventennio del IV secolo, a seguito delle campagne degli eserciti occidentali nelle province danubiane. Già nel 377 il generale di Graziano Frigerido sconfigge un gruppo di Greutungi guidato da Farnobio, che si era unito ad una banda di Taifali, parte dei quali verranno deportati a coltivare i campi tra Reggio, Parma e Modena. Probabilmente a seguito degli accordi di pace del 380, Graziano arruola nell’esercito occidentale bande di Alani, che poterono godere di un trattamento economico migliore rispetto a quello riservato ai soldati
regolari. Contingenti di Alani, ma anche di Unni, vennero utilizzati da Valentiniano II nel 383-384 contro gli Iutungi che avevano invaso la Rezia. Da questi arruolamenti paiono derivare i comites Alani, reparto di cavalleria inserito nelle vexillationes palatinae e a disposizione del Magister equitum praesentalis che sono ricordati nella Notitia Dignitatum Occidentis agli inizi del V secolo. A Milano la presenza di Goti è frequentemente segnalata da Ambrogio in occasione della disputa delle basiliche del 385-386, dato che l’arianesimo di queste milizie favoriva l’atteggiamento anticattolico della corte: il vescovo fa anche riferimento a un carro utilizzato dai Goti come chiesa mobile.
Nuove bande alane e gote giungono in Italia nel 394 al seguito di Teodosio che al Frigido sconfigge l’usurpatore Eugenio. L’esercito dell’imperatore orientale, assai variegato per composizione, comprende anche contingenti barbarici guidati da capi tribali, ma sotto il controllo di alti ufficiali romani di origine barbarica: all’armeno Bacario erano subordinati gli orientali; a Gainas i Goti, tra i quali anche quelli di Alarico, a Saulo gli Alani (probabilmente foederati pannonici). I Goti di Alarico vennero congedati e rimandati in Oriente subito dopo la battaglia, gli Alani restarono invece in Italia, se, com’è probabile, il Saulo che li guida al Frigido è lo stesso che li comanda nella battaglia di Pollenzo del 402, morendo nello scontro. Alani al servizio dei Romani saranno presenti anche nella successiva battaglia di Verona e verranno utilizzati anche nel 405-406 contro Radagaiso, insieme a bande unne e ai Goti di Saro. Paolino di Nola ricorda invece gruppi alani al seguito di Alarico che si avvicinano minacciosamente a Nola.La Notitia Dignitatum ricorda molti stanziamenti di Sarmatae in Italia settentrionale, segnalati anche in un rescritto imperiale del 400 indirizzato a Stilicone; molte testimonianze toponomastiche rimandano a queste presenze, una delle quali, Salmour, non lontano da Pollenzo, trova conferma in un’epigrafe frammentaria che ricorda un praefectus Sarmatarum. È questo anche il periodo che inaugura la stagione delle invasioni barbariche: Alarico, che nel 401- 402 attraversa tutta l’Italia settentrionale, assedia Milano, è sconfitto a Pollenzo e, nel corso della sua ritirata, a Verona; Radagaiso, rex Gothorum, che nel 405-406 scende dal Brennero ed è fermato da Stilicone a Fiesole e ancora Alarico nel 408-412, che il 24 agosto del 410 prende Roma e la saccheggia per tre giorni, evento sentito come epocale dai contemporanei.
La presenza di barbari orientali nella penisola in quegli anni dunque è ampiamente segnalata dalle fonti storiche, letterarie e epigrafiche; difetta gravemente invece la documentazione archeologica. Il manufatto più noto è costituito dalla coppia di fibule ad arco in lamina d’argento rinvenute nel 1888 a Villafontana, nel Veronese, entro un contesto funerario di cui non è possibile ricostruire i dettagli. Le due fibule sono assegnabili ad una tipologia tipica del costume femminile nelle culture germanico-orientali Černjachov-Sîntana de Mureş tra la metà del IV secolo e gli inizi del V; Volker Bierbrauer, assegnando particolare importanza a questo ritrovamento, ha definito come ‘orizzonte Villafontana’ l’arco cronologico che va dalla diaspora dellegenti gotiche, determinata dall’arrivo degli Unni in Europa orientale, al passaggio dei Goti di Alarico in Italia (370-380/400-410; Periodo D1, nelle vicende complessive di queste genti). In effetti queste fibule sono generalmente ritenute pertinenti il corredo di una donna giunta in Italia proprio nel corso delle incursioni di Alarico del 401-402 (le truppe del capo visigoto, in ritirata, vengono sconfitte proprio presso Verona) o del 408-412; va tenuto però in considerazione che in quegli anni altre circostanze potevano giustificare la presenza di questi oggetti: il passaggio dei Goti di Radagaiso, discesi dal Brennero, o più genericamente la presenza di un reparto dell’esercito romano con qualche effettivo barbarico.
Di poco posteriori sono altre fibule in lamina argentea: una sporadica da Brescia o dintorni, le coppie rinvenute in una sepoltura di Castelbolognese e recentemente in un’altra di Pollenzo.”
I “barbari” quindi erano tra i romani molto prima che l’Impero, per così dire, crollasse. E dati i ritrovamenti di oggetti funerari femminili non si trattava soltanto di isolati gruppi armati e bande di passaggio, ma, sebbene non si abbiano dati certi, è anche chiaro che in qualche modo la presenza di gruppi familiari e il probabile stanziamento di individui o di piccoli gruppi non sono da escludere. Senza quindi dimenticare che la Storia è fatta di singole vite originali torniamo agli eventi macroscopici.
A mio modesto avviso l’ultimo “vero” imperatore fu Valentiniano III, figlio della nota patrizia Galla Placidia, importante figura di questo periodo di “transizione”. Sebbene anch’egli fosse di fatto dominato dalla figura di un generale barbaro, Flavio Ezio di origini scite o gotiche a seconda che si dia credito a Gibbon o Jordane, discendeva dalla dinastia di Teodosio I e Valentiniano I… non propriamente un parvenu. Sedette sul trono per un trentennio, fronteggiando la minaccia dei Vandali e degli Unni e mantenendo quanto meno il controllo di tutta la penisola e di buona parte della Gallia, sebbene la rimanente Gallia e la Spagna fossero ormai sotto il regno dei Visigoti, mentre il nord-Africa era in mano ai Vandali. Fu proprio il potere derivato da queste vittorie su Vandali e Unni a determinare l’enorme influenza del generale Ezio sulla corte imperiale. Quando le minacce d’invasione della penisola sembrarono meno pesanti anche Ezio perse il suo peso politico e Valentiniano se ne sbarazzò uccidendolo. Secondo tradizione, ci fu chi affermò che l’imperatore avesse in qualche modo tagliato la sua mano destra con la sinistra. Ma evidentemente era tradizione di famiglia: Onorio, zio di Valentiniano e suo predecessore, fece lo stesso con il proprio magister militum, di padre vandalo e madre romana, Stilicone.
Questo scherzetto permise ai Visigoti di Alarico di scorrazzare per l’Italia praticamente indisturbati nel 408-410 mentre Onorio restava barricato a Ravenna difeso più dalle circostanti paludi che da un valido esercito.
Del resto non era facile fare l’imperatore in quei tempi: obiettivamente le forze militari erano appannaggio di uomini “nuovi”, capi clan delle popolazioni limitrofe sottomesse o federate, oppure figli di militari romani e nobili donne di stirpe barbara. Qualcuno sottolinea che l’esercito si fosse modificato virando al barbarico, è molto più corretto pensare che l’Impero stesso si fosse modificato, integrando e facilitando l’incontro, oltre che lo scontro, di diverse etnie e popolazioni. Di fatto un imperatore dell’epoca, posizione piuttosto scomoda da ricoprire, doveva scegliere tra l’essere manovrato da un generale o privarsene. Ci sarebbe voluta una personalità molto forte e un totale sostegno senatoriale per contrastare con la politica la preponderante influenza militare e la volontà di affermazione di personaggi come i magistri militum di quel periodo, ma questo miracolo non accadde. Così Valentiniano fece come poté fare nel periodo caotico e pericoloso in cui visse. Durò trent’anni e questo fu di per sé un gran successo.
Gli ultimi imperatori e i generali “barbari”
Dopo Valentiniano si sono succeduti una serie di imperatori, per così dire, fantoccio, proclamati dai loro generali al solo scopo di “mantenere le apparenze”: tralasciando Petronio Massimo, coinvolto nell’assassinio di Ezio prima e di Valentiniano poi, che fu imperatore per soli settanta giorni e Avito, proclamato dai Visigoti di Spagna, che regnò per quindici mesi, vediamo prendere il potere il generale suebo-goto Ricimero che insediò e liquidò ben tre imperatori: Maggioriano assassinato da Ricimero dopo quattro anni, Libio Severo, che dopo altri quattro anni morì in circostanze sospette in cui si ventila il coinvolgimento del magister Ricimero e quindi Antemio, genero dello stesso Ricimero, che però non esitò ugualmente a scontrarsi con lui in una vera e propria guerra civile, dopo sei anni di governo. Non serve dire che vinse Ricimero, che si liberò così del suo terzo imperatore.
Toccò poi all’italico Anicio Olibrio salire al trono, per pochi mesi, mentre governavano il solito Ricimero e Gundobado, figlio del re burgundo Gundioco e secondo alcune fonti, della sorella dello stesso Ricimero.
Alla sua morte era già passato a miglior vita anche Ricimero, ma ci pensò il nipote Gundobado a porre sul trono il successore: Glicerio. Evidentemente il burgundo non aveva però la stoffa del presunto zio nello scegliere gli imperatori, perché Glicerio non venne riconosciuto né dall’imperatore d’Oriente Leone I né dalla classe senatoria. Così quando Leone inviò in Italia il suo “collega” imperatore Giulio Nepote, Gundobado non reagì e Glicerio fu deposto.
Gundobado tornerà in Burgundia e a breve diverrà l’unico re di quel regno, stringendo alleanze con il regno italiano dei Goti di Teoderico.
La stessa sorte toccò, come per contrappasso, anche a Giulio Nepote, il quale fu deposto dal suo magister militum Flavio Oreste. Questi pose sul trono il proprio figlio quattordicenne Romolo Augusto. Anch’egli in seguito deposto, dopo soli undici mesi in cui a governare fu il padre, per mano del magister militum Odoacre.
Odoacre e Teoderico
Siamo arrivati così alla fatidica data del 476 in cui Odoacre si pone sotto l’autorità dell’imperatore d’oriente, ma non ritiene di dover cercare un simulacro di imperatore occidentale. Ormai i tempi sono maturi per non dover rispettare nemmeno le apparenze: nei circa vent’anni dalla morte di Valentiniano all’ascesa di Odoacre, l’essere barbari non sembra rivestire più un veto per l’esercizio del potere su quel che restava dell’Impero d’Occidente. Come si legge da questa breve carrellata l’elemento barbarico ha per così dire ormai preso piede. I Vandali a sud del mare nostrum minacciano costantemente la Sicilia, l’occidente europeo è in mano ai Visigoti, a nord e a est dell’Italia premono svariate popolazioni germaniche. Nella stessa penisola italica il potere scivola gradualmente dalle mani dell’imperatore a quelle dei generali che da principio instaurano legami matrimoniali e se ne fanno spingere la carriera, poi, lentamente prendono vigore fino all’aperta assunzione di potere. Non dobbiamo pensare a uomini isolati, ma a interi clan che compongono le schiere dell’esercito. Questi uomini sono vissuti sul suolo italiano, hanno avuto mogli e amanti italiche o di altre tribù, con cui hanno generato figli. Si sono stabiliti e sono morti sulla nostra terra. Mescolando lingua e tradizioni, oltre al genoma, in una realtà per molti versi confusa e caotica ma indubbiamente vitale.
Anche l’etnia di Odoacre è confusa. «Le notizie contrastanti circa la sua origine etnica – unna, scira, turingia, ruge – sono dovute a una complessa interconnessione tribale più che all’incertezza delle fonti» si legge sul Dizionario Biografico della Treccani. Altrettanto composito il suo esercito se Jordane riporta «Non molto tempo dopo che Augustolo era stato ordinato imperatore a Ravenna dal padre Oreste, Odoacre, re dei Turcilingi si impadronì dell’Italia, avendo con sé Sciri, Eruli e ausiliari provenienti da genti diverse»
(Iordanis de origine actibusque getarum).
Ambigua fu anche la sua posizione istituzionale e il suo rapporto con la parte orientale dell’impero. Si comportò di fatto da bravo governatore dell’Italia, pagando un tributo ai Vandali riprese il controllo della Sicilia, sedò rivolte interne, sconfisse i Rugi nel Norico, attuale area attorno a Vienna, da cui però si ritirò permettendo così l’avanzata in quella zona dei Longobardi provenienti da nord. Dopo aver annesso la Dalmazia cogliendo il pretesto di punire il governatore romano Ovida, assassino di Giulio Nepote, delineò il confine della penisola verso nord seguendo quello naturale delle Alpi. Durante alcune dispute dottrinarie si schierò con la sede pontificia contro la posizione dell’imperatore Zenone. Questo gli fece ottenere alcuni privilegi rispetto alla chiesa, tali da legittimarlo come regnante, anche senza il placet di Costantinopoli.
Più o meno a questo punto del suo successo, nel 488, l’imperatore d’Oriente Zenone decise di porgli un freno. Le ambizioni e i risultati militari di Odoacre lasciavano intendere un eccessivo potere e pertanto una minaccia per la sua sovranità. Zenone si accordò con un altro cosiddetto barbaro, il re degli Ostrogoti Teoderico, perché sconfiggesse Odoacre e prendesse possesso della penisola italica e degli annessi territori.
Teoderico era un principe Ostrogoto inviato come ostaggio a Costantinopoli per suggellare gli accordi tra il padre Teodemiro e i bizantini. Cresciuto alla corte imperiale ricevette un’ottima istruzione, compreso l’apprendimento di greco e latino. Riscattato dopo dieci anni dal padre si fece notare per la competenza militare. Costantinopoli gli riconobbe lo status di federato e lo nominò anche console, consolidando il suo potere nei Balcani. L’accordo per sconfiggere Odoacre avrebbe potuto risolvere a Zenone il problema di essere premuto da due potenti personaggi sia a est che a ovest. La guerra durò cinque anni con numerose e complesse vicende di alterne alleanze e tradimenti. Teoderico sconfisse Odoacre una prima volta presso l’Isonzo nel 488, infliggendogli poi il colpo definitivo in territorio veronese, nella Campagna Minore (oggi Madonna di Campagna), tra le attuali San Martino Buon Albergo e San Michele.
Secondo la tradizione è proprio in occasione del tremendo scontro tra i due eserciti, quello di Odoacre e quello di Teoderico, che nacque uno tra i più tipici piatti della tradizione culinaria veronese: la Pastissada de’ Caval, lo stracotto di carne di cavallo. Alla fine della cruenta battaglia rimasero sul campo centinaia di cavalli, anch’essi, come molti combattenti, vittime dello scontro. La popolazione affamata chiese al vincitore Teoderico il permesso di utilizzare quella carne. Il nuovo sovrano lo concesse ma, data la grande abbondanza, si dovette escogitare il modo di conservarla immergendola in vino e spezie. La successiva cottura diede vita al celebre piatto che oggi si mangia accompagnato dalla tipica polenta molle.
Forse la storia non è vera, ma è suggestivo pensare di mangiare un cibo del V secolo legato a due re barbari, non vi pare?
A proposito di cibo: Odoacre finì i suoi giorni assassinato su ordine di Teoderico, pare durante un banchetto, e lasciò ai Goti l’incontrastato dominio sull’Italia.
Continua con I Goti in Italia
Per approfondire niente di meglio delle cronache antiche, che si possono trovare in molte traduzioni con testo originale a fronte:
- Chronicon, Marcellino
- Chronica, Cassiodoro
- Historia Gothorum, Cassiodoro
- De bello Gothico, Procopio di Cesarea
- De origine actibusque Getarum , Jordane
- Historia Langobardorum , Paolo Diacono
- Storia Universale, Eunapio
- Rerum gestarum libri XXXI, Ammiano Marcellino
Ci sono poi dei libri fondamentali di storici successivi:
- Declino e caduta dell’Impero Romano, Edward Gibbon
- 9 agosto 378. Il giorno dei barbari, Alessandro Barbero
- Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano, Alessandro Barbero
E dei romanzi storici tra cui:
- Danubio Rosso, Alessandro De Filippi
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