Un altro articolo di Luigi Barnaba Frigoli, studioso dei Visconti e autore del romanzo storico “La vipera e il diavolo”, sull’ennesima figura femminile misconosciuta dai libri di storia, così bistrattata da non aver lasciato di sé nessun ritratto: Violante Visconti, la Vedova Nera
Inesorabilmente vedova. Disperatamente zitella. Irrimediabilmente sola. Questo l’infame destino di Violante Visconti, nobile rampolla della Biscia milanese, passata a miglior vita a soli 31 anni dopo aver accarezzato per ben tre volte il sogno di diventare moglie e madre felice.
Pensare che a soli quattordici anni la vita della figlia di Galeazzo II Visconti, vicario dell’Imperatore in Lombardia, e di sua moglie Bianca di Savoia pareva destinata a essere una fiaba. Se al figlio maschio Gian Galeazzo era riuscito a infilare nel letto la figlia del re di Francia Isabella di Valois, per la sua secondogenita il signore di Milano trovò nozze non meno sfarzose. Violante, infatti, fu destinata a Lionello di Clarence, duca di Anversa, figlio del re d’Inghilterra Edoardo III. La famiglia reale ci guadagnò 200mila fiorini d’oro, mentre i Visconti si assicurarono, attraverso le nozze, la più prestigiosa delle alleanze. Il matrimonio venne celebrato a Milano, nel giugno 1368. E fu talmente sontuoso ed eccentrico che i cronisti del tempo ne descrissero per filo e per segno i dettagli, come accade solo in occasione di eventi assolutamente straordinari. Unici e irripetibili.
Lo sposo, un giovanotto viziato e quanto mai incline ai bagordi, arrivò in Italia accompagnato da duemila cavalieri. La famiglia della sposa andò a riceverlo alle porte della città in pompa magna. Un comitato d’accoglienza di tutto rispetto, di cui facevano parte anche decine di notabili e gran dame, tutte agghindate con abiti di preziosa stoffa scarlatta. Tra due ali di folla acclamante il principe britannico venne scortato fino alla chiesa di Santa Maria Maggiore, dove, con la benedizione del vescovo di Novara, venne pronunciato il fatidico sì. Quindi sposi e invitati si trasferirono nel maestoso palazzo dell’Arengo.
Il banchetto, cui parteciparono (pare) anche letterati del calibro di Francesco Petrarca e Geoffrey Chaucer, fu qualcosa di meraviglioso, degno di Lucullo. Diciotto imbandigioni, composte ciascuna da pietanze di terra e di acqua. Un’interminabile processione di vassoi stracarichi di carne di vitello, bue, porcello, capretto e capriolo. Quaglie e lepri, anatre e aironi. Picchi allo spiedo e capponi grossi in salsa d’aglio. Ancora: trote dorate, storioni lessati, lamprede in gelatina, pasticci d’anguilla, carpe e trote arrosto. Il tutto annaffiato da litri di malvasia e vernaccia custoditi in fiaschi d’argento e corredato da ricchissimi doni per gli ospiti illustri. Cavalli, levrieri, bracchi, falchi e sparvieri addobbati con collari di velluto, fibbie dorate, bottoni d’argento, cappucci ornati di perle, lacci di seta e catene di oricalco. E poi: stoffe e panni preziosi, corazze cesellate, selle finemente lavorate, lance, scudi, mazze e armature con inserti d’oro e d’argento. Una festa memorabile, alla faccia del popolo affamato, che fece scalpore in tutta Europa.
Dopo aver consumato pranzo e matrimonio, Lionello decise di parcheggiare la moglie dai suoceri, per concedersi assieme ad amici e sodali un tour per le città del Piemonte, visto che con la dote pagata dai Visconti gli vennero donate anche le città di Alba e di Cuneo. E a ogni tappa il duca d’Anversa non mancava di gozzovigliare, mangiando e bevendo come se non ci fosse un domani. Finché, trangugiato l’ennesimo boccale e spolpato l’ennesimo fagiano, un domani, Lionello, davvero non ebbe più: si ammalò e morì, stroncato dai postumi di un’indigestione, lasciando Violante vedova dopo neanche quattro mesi di matrimonio.
Il colpo fu duro, per la ragazza. Ancor di più lo fu per l’intera casa Visconti: con tutto quello che avevano speso per comprarsi la parentela coi Plantageneti!
Smaltita la delusione e tolto il lutto, Violante si affidò nuovamente al padre e al fratello, che iniziarono a guardarsi intorno alla ricerca di un altro partito. Non certo per soddisfare i sogni d’amore della fanciulla, quanto piuttosto per rafforzare il proprio potere. Ci vollero nove anni, durante i quali la giovane vide amiche e cugine accasarsi con nobiluomini e valorosi cavalieri. Sembra quasi di vederla, poveretta, mentre ricama paziente nelle sue stanze, forse un poco invidiosa, di certo impaziente di tornare a indossare il velo candido delle spose. Lo rivestì nel 1377. I Visconti erano impelagati in un’aspra contesa coi marchesi di Monferrato per il controllo di alcuni castelli. Occorreva un accordo. Un grimaldello che permettesse a Milano di radicarsi una volta per tutte nelle terre piemontesi, per portare avanti i propri interessi. L’intesa fu suggellata proprio immolando Violante, che divenne consorte di Secondotto Paleologo. Un personaggio inquietante. Malvagio. Superbo. Intrattabile. Ma pur sempre marchese. Un marchese che in realtà la Biscia voleva raggirare, strappandogli Asti. Anche in questo caso l’unione ebbe vita breve. Meno di un anno. Nel dicembre 1378 Secondotto, durante una trasferta a Langhirano, nei pressi di Parma, ebbe un alterco con un giovane scudiero. In preda a un raptus, cinse il collo del malcapitato con entrambe le mani, tentando di strangolarlo. Un cavaliere tedesco del suo seguito – o, secondo altre fonti, un villano – assistette alla scena. E intervenne per impedire al marchese di finire l’opera, colpendolo al capo con la propria spada. I medici tentarono per cinque giorni e cinque notti di sanare la ferita. Non ci fu nulla da fare. Secondotto trapassò e Violante si ritrovò di nuovo vedova. E, per la seconda volta, vide i propri sogni di donna precipitare nel baratro.
Nel frattempo, la gotta si portò via suo padre Galeazzo, lasciando le redini del dominio lombardo al di lui fratello Bernabò e al figlio Gian Galeazzo. Tra i due s’innescò presto un’acerrima battaglia. Entrambi bramavano lo scettro solo per se stessi. Ed entrambi iniziarono a brigare per ottenerlo.
Prima che lo scontro si facesse palese, però, i due rami della dinastia provarono a riappacificarsi. Bernabò diede in sposa sua figlia Caterina proprio a Gian Galeazzo, previa dispensa papale, necessaria in caso di nozze tra cugini. E anche Violante, ancora una volta, divenne una pedina sullo scacchiere politico-dinastico. Il fratello le impose il matrimonio con un altro cugino, Ludovico, quartogenito dello zio-rivale. Era il 1381. La giovane dovette accettare. Ma ancora una volta il Dio dell’Amore le voltò le spalle. Nel 1385 Gian Galeazzo tese un subdolo tranello a Bernabò, facendolo arrestare e imprigionare. La stessa sorte toccò ai suoi figli maschi, Ludovico compreso. Nuovo schiaffo per la giovane Visconti: dopo aver assistito alla prematura dipartita dei suoi due precedenti consorti, la principessa e marchesa mancata dovette mandar giù, impotente, la rovina del terzo, questa volta non per i ghiribizzi del Fato, ma per mano dell’ambizioso e spregiudicato fratello. Bernabò esalò l’ultimo respiro dopo pochi mesi di prigionia, nelle segrete del castello di Trezzo d’Adda. Ludovico, invece, restò in gattabuia per anni finché la morte non lo colse, nel 1404. Vane le suppliche di Violante al novello dominus: suo fratello non volle sentire ragioni. Sulla bilancia della ragion di Stato, lo scettro era tonnellate più pesante della felicità di sua sorella. Il cognato-cugino era un pretendente al trono troppo scomodo. Doveva restare in catene per sempre.
Violante, per l’ennesima volta delusa e prostrata, si rinchiuse nel castello di Pavia, ipocritamente consolata dalla madre Bianca, che il colpo di mano del figlio aveva incoraggiato e sostenuto. La vedova nera, come il lutto che per tutta la vita fu condannata a portare, campò un altro anno, uno soltanto. Ammalatasi, consumata forse più nell’animo che nel corpo, si spense nel 1386. In pochi ricordano, oggi, il suo triste destino. Chissà se la scrittrice americana Lynn Caine aveva in mente anche lei, quando – seicento anni dopo – scrisse: Vedova, parola dura e che ferisce. Deriva dal sanscrito. E significa “vuota”.
BIBLIOGRAFIA MINIMA:
- Annales Mediolanenses
- Bernardino Corio, “Storia di Milano”
- Giorgio Giulini, “Memorie spettanti…”
- Ludovico Muratori, “Annali d’Italia”
- Benvenuto da San Giorgio, “Cronica del Monferrato”
- Tommaso Ghilini, “Annali di Alessandria”
- Barbara W. Tuchman, “Uno specchio lontano”
- Lynn Caine, “Widow”
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